Il finto mosaico romano di McDonald’s alla Galleria Sordi: quando la parodia diventa paradosso
Se fosse un’operazione consapevole di autoironia, il finto mosaico romano di McDonald’s alla Galleria Alberto Sordi di Roma sarebbe già una provocazione discutibile. Ma il problema è che non lo è

Personalmente sono un fautore di operazioni di contaminazione che altri definiscono inaccettabili o di cattivo gusto. Ma questa volta mi trovo d’accordo con loro. Ci troviamo davanti a un falso mosaico di epoca imperiale, con cornici dorate e motivi che imitano il classicismo romano, ma che al centro celebra – con grottesca solennità – la figura del Big Mac, incoronato tra tralci d’alloro come fosse un imperatore del gusto. A completare il quadro: fonti ispirate all’epigrafia latina, una composizione da termopolio repubblicano e il logo dorato che domina la scena come un’aquila imperiale.
Volgare, ridicolo, controproducente
In una città che ogni giorno lotta per difendere il proprio patrimonio artistico e architettonico dal logorio dell’abbandono o dall’aggressione del turismo dozzinale, vedere un colosso del fast food travestire i simboli del consumismo da glorie dell’Impero è un insulto al buon gusto e all’intelligenza collettiva. Il risultato non è ironia, non è arte pop, non è nemmeno kitsch consapevole: è solo un’operazione pubblicitaria imbarazzante, che scivola nel carnevalesco trash e travolge anche il luogo in cui si inserisce.
Un atto di violenza simbolica alla Galleria Sordi
La Galleria Sordi, antico salotto urbano, è già da tempo un simbolo della progressiva disneyficazione del centro di Roma: negozi globali, insegne fotocopia, zero identità. Ma trasformare un fast food in un falso tempio romano è un salto ulteriore. Un atto di violenza simbolica, per usare le parole di Bourdieu, che riduce la romanità a un gadget e la classicità a un contenitore vuoto. E se la comunicazione avesse voluto essere “divertente”? Non funziona. Perché non è leggibile nemmeno come parodia. La distanza tra McDonald’s e l’antica Roma è talmente abissale che l’effetto è grottesco, non comico. Il tutto assume i contorni di un fraintendimento culturale che umilia sia il marketing che il patrimonio.
Roma merita di meglio. Anche nel consumo. Anche nell’ironia
Se persino mangiare può essere un atto culturale – e lo è – allora non possiamo fingere che spacciare un hamburger per un’epigrafe latina sia solo un gioco. È un segnale inquietante: che anche la memoria, anche il simbolo, anche il bello, possono essere piegati alla logica del profitto globale senza nemmeno il filtro del gusto o della comprensione. Il mosaico finto non è solo brutto: è una dichiarazione d’indifferenza verso Roma. E quando si smette di rispettare ciò che si imita, si è già perso il senso – non solo del marketing, ma della civiltà.
Angelo Argento
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