A Milano c’è un programma di formazione per giovani artisti nell’audiovisivo che è un unicum in Italia: l’intervista

Curato da Marta Bianchi e Giacomo Raffaelli e promosso da Careof, il programma ArteVisione si distingue per un approccio che va oltre la didattica frontale, sostenendo le ricerche nel tempo e inserendole in un ecosistema condiviso

Sono undici anni che il programma ArteVisione rappresenta uno dei rari “spazi” in Italia dedicati alla formazione delle giovani artiste e artisti che lavorano con le immagini in movimento. Un premio, certo, ma anche, e soprattutto, una piattaforma di confronto tra curatela, competenze tecniche e una rete di professionisti che accompagnano lo sviluppo di un progetto nelle sue molteplici fasi. Curato da Marta Bianchi e Giacomo Raffaelli e promosso da Careof, ArteVisione si distingue per un approccio che va oltre la didattica frontale: una forma di cura, come la definiscono Bianchi e Raffaelli, che sostiene le ricerche nel tempo e le inserisce in un ecosistema condiviso.

L’edizione 2025 di ArteVisione a Milano

I sei finalisti selezionati per questa edizione – Camilla Cardia, Giulia Crivellaro, Elisabetta Laszlo, Federica Mariani, Gio Peres, Martino Santori – sono nati tra il 1990 e il 2001 e arrivano da percorsi diversi ma condividono la necessità comune di trovare ascolto, legittimazione e spazi di sperimentazione in un contesto, quello italiano, che offre poche occasioni di dialogo e produzione nell’ambito dell’audiovisivo sperimentale. Accanto a loro, la Visiting Professor Elisa Giardina Papa accompagna – dal 9 al 12 dicembre 2025 – il gruppo in un percorso intensivo di formazione, insieme a professionisti come Alessia Tripaldi ed Eva Sangiorgi e allo staff di ArteVisione e Careof. Ma il programma prevede anche appuntamenti aperti al pubblico, come l’incontro di martedì 9 dicembre alle ore 18.30, presso Careof, in cui Giardina Papa dialogherà con Barbara Casavecchia, editor in chief di Mousse Magazine, in un incontro che prevede la visione dei suoi lavori più recenti. Per l’occasione, Marta Bianchi e Giacomo Raffaelli ci raccontano le scelte di questa edizione, le risonanze con la pratica di Giardina Papa e l’urgenza che attraversa la nuova generazione di artisti: quella di essere visti, riconosciuti e sostenuti all’interno di un sistema culturale che ha bisogno, oggi più che mai, di rafforzare le proprie forme di comunità.

L’intervista ai curatori Marta Bianchi e Giacomo Raffaelli di ArteVisione

ArteVisione è uno dei premi più longevi dell’audiovisivo in Italia. Qual è la sua specificità rispetto ad altri programmi dedicati ai giovani artisti?
Una delle specificità di ArteVisione è il fatto di essere un programma rivolto esclusivamente ad artisti italiani – o residenti in Italia – con l’intenzione di sostenere in modo mirato una scena che spesso non trova occasioni strutturate di formazione e produzione nell’ambito delle moving images. Fin dalle prime edizioni, ArteVisione non ha coinvolto soltanto figure curatorali, ma anche professionisti tecnici, maestranze e specialisti della produzione audiovisiva, riconoscendo il valore formativo del dialogo con tutte le componenti che contribuiscono alla realizzazione di un’opera. Un altro elemento distintivo è che il premio è promosso da una realtà no-profit che è anche un archivio: Careof. Questo comporta un’attenzione intrinseca alla conservazione, alla circolazione e alla valorizzazione a lungo termine delle opere e degli artisti che il programma accoglie. ArteVisione non è quindi solo un’esperienza intensiva di formazione, ma un investimento duraturo nella crescita delle ricerche e nella loro memoria futura.

A Milano c’è un programma di formazione per giovani artisti nell’audiovisivo che è un unicum in Italia: l’intervista
ArteVisione 2025, MARTA BIANCHI, CAREOF © EMANUELE ZAMPONI

Negli anni il progetto ha assunto un ruolo sempre più formativo. Quanto è centrale la dimensione pedagogica nel vostro lavoro curatoriale?
Più che parlare di un approccio pedagogico in senso stretto, ci piace pensare che ArteVisione adotti un vero e proprio approccio di cura nei confronti dell’artista. Una cura che comprende la formazione, certo, ma che va oltre: significa costruire reti, facilitare connessioni, accompagnare lo sviluppo di progetti futuri. Pensiamo ad ArteVisione come a una piattaforma di scambio il più possibile non gerarchica, in cui ogni partecipante – artiste e artisti, staff, visiting professor, professionisti ospiti – contribuisce con la propria esperienza umana e professionale. È in questa dimensione collettiva, più che in una didattica frontale, che vediamo la forza formativa del progetto.

A Milano c’è un programma di formazione per giovani artisti nell’audiovisivo che è un unicum in Italia: l’intervista
ArteVisione 2025, Giacomo Raffaelli, credit: Andrea Pizzalis per Centrale Fies

I sei finalisti dell’edizione 2025 di ArteVisione

Quali criteri sono stati determinanti nella selezione delle finaliste e dei finalisti della XI edizione?
Valutiamo ogni candidatura attraverso tre criteri principali: la forza e l’originalità del progetto proposto, la coerenza con il percorso artistico, la qualità del portfolio complessivo. Siamo consapevoli della scarsità di spazi di confronto e di sostegno alla produzione per chi lavora con l’immagine in movimento nel contesto italiano; per questo ci assumiamo la responsabilità di leggere i progetti con grande attenzione, cercando di capire non solo il valore della proposta, ma anche sia il momento giusto per intercettare e accompagnare la ricerca dell’artista attraverso ArteVisione.

Avete scelto progetti capaci di dialogare con la pratica della Visiting Professor, Elisa Giardina Papa. Che tipo di risonanze avete visto tra le sue ricerche e quelle delle artiste e degli artisti selezionati?
Le risonanze che ci interessano non sono mai letterali né tematiche. Ciò che ci guida è una vicinanza di metodo, di postura critica, di approccio alla ricerca. I progetti selezionati quest’anno spaziano dal documentario all’azione performativa, da indagini sul paesaggio che utilizzano strumenti dell’antropologia e della sociologia, all’uso dell’archivio, fino a pratiche partecipative mediate dal digitale. Questa pluralità rispecchia bene la complessità dell’approccio di Elisa Giardina Papa, che combina rigore teorico, attenzione alle marginalità e una sensibilità poetica capace di interrogare la storia e i suoi vuoti.

Marta parla della “grazia del fallimento” e del procedere per tentativi. Giacomo sottolinea la difficoltà della selezione di quest’anno. C’è un’urgenza comune nella generazione di artisti nati negli anni Novanta e Duemila?
L’urgenza più evidente che abbiamo intercettato non riguarda tanto i temi o i formati, quanto il desiderio – e la necessità – di essere riconosciuti, ascoltati e sostenuti. Molti giovani artisti lavorano in un contesto, quello italiano, che offre poche occasioni strutturate di confronto, visibilità e supporto produttivo nel campo dell’audiovisivo sperimentale. Questo genera un bisogno forte di legittimazione e di appartenenza. Crediamo che tutti noi – istituzioni, artisti, curatori, promotori – facciamo parte di uno stesso ecosistema. Riconoscerci reciprocamente è il primo passo per rafforzarlo e renderlo più equo e generativo.

Caterina Angelucci

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Caterina Angelucci

Caterina Angelucci

Caterina Angelucci (Urbino, 1995) è laureata in Lettere Moderne con specializzazione magistrale in Archeologia e Storia dell’arte presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Oltre a svolgere attività di curatela indipendente in Italia e all'estero, dal 2018 lavora come…

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