Muore a Vienna Arnulf Rainer: l’artista che ha dipinto contro l’immagine
Artista refrattario alle etichette, ma centrale nei dibattiti dell’avanguardia internazionale, Rainer ha costruito un linguaggio inconfondibile fondato sul gesto, sulla sovrapposizione e sulla negazione dell’immagine
È morto il 18 dicembre 2025, a pochi giorni dal suo novantaseiesimo compleanno, Arnulf Rainer, una delle figure più radicali e irrequiete dell’arte europea del secondo Novecento. Nato a Baden, in Austria, nel 1929, Rainer ha attraversato oltre settant’anni di ricerca artistica mettendo costantemente in discussione l’immagine, il corpo e l’atto stesso del fare pittura.
Chi era Arnulf Rainer
Artista refrattario alle etichette, ma centrale nei dibattiti dell’avanguardia internazionale, Rainer ha costruito un linguaggio inconfondibile fondato sul gesto, sulla sovrapposizione e sulla negazione dell’immagine. È all’inizio degli Anni Cinquanta che prende forma il nucleo più noto del suo lavoro: le Übermalungen, le “pitture sovrapposte”, con cui interviene su opere proprie e altrui, coprendo, oscurando, stratificando fino a trasformare l’atto distruttivo in un paradossale gesto di omaggio. Non cancellazione, ma immersione: l’immagine viene sepolta sotto la pittura, trattenendo in sé una memoria silenziosa.
L’arte di Arnulf Rainer
Il processo, più che il risultato, è sempre stato al centro della sua pratica. Rainer concepiva la creazione come un’esperienza quasi ascetica, un attraversamento fisico e mentale che avvicina l’arte a una forma di meditazione. Questa tensione spirituale attraversa anche il suo lavoro fotografico, spesso legato all’autoritratto. Già negli Anni Cinquanta l’artista mette in scena il proprio volto in bianco e nero, deformandolo, aggredendolo con segni pittorici violenti, fino alle celebri Face Farces e Body Poses, dove l’espressione corporea diventa campo di battaglia tra controllo e perdita di sé.
Il Novecento di Arnulf Rainer
Negli Anni Sessanta il suo lavoro incontra l’energia del Viennese Actionism, pur restando sempre autonomo rispetto al movimento. Rainer ne condivide l’urgenza espressiva e l’attenzione al corpo, ma rifiuta la dimensione spettacolare dell’azione, preferendo un confronto più introverso e stratificato con l’immagine. È in questo periodo che la fotografia diventa per lui una superficie da “lavorare” fisicamente: la pittura viene strofinata, battuta, spezzata sulla carta fotografica, generando una fusione inedita tra figurazione e astrazione. La riflessione sul rapporto tra vita e morte attraversa tutta la sua opera. Dai primi cicli segnati dal trauma storico del Novecento, come la Shoah, Hiroshima, la distruzione bellica, fino alle serie dedicate ai cadaveri e ai volti resi anonimi dalla morte, Rainer interroga l’immagine come luogo di sopravvivenza e di perdita. Emblematica resta la sua attenzione per le fotografie scattate a Hiroshima dopo il 1945, accostate come una litania visiva del disastro. A partire dalla metà degli Anni Settanta, il suo universo iconografico si amplia: alle figure umane si affiancano rocce, grotte, corpi femminili e persino le opere di maestri della storia dell’arte, da Leonardo a Goya, da Van Gogh in poi, nuovamente attraversate dal gesto pittorico come se nessuna immagine potesse dirsi intoccabile.
Il riconoscimento internazionale di Arnulf Rainer
Il riconoscimento internazionale arriva presto e si consolida nel tempo. Dopo una delle prime retrospettive al Museum des 20. Jahrhunderts di Vienna nel 1968, Rainer partecipa più volte a documenta a Kassel e alla Biennale di Venezia, dove nel 1978 rappresenta l’Austria. Gli Anni Ottanta segnano il definitivo ingresso nel canone: mostre personali nei principali musei europei e americani, dal Centre Pompidou al Guggenheim di New York, e l’inserimento delle sue opere nelle collezioni del MoMA e di numerose istituzioni internazionali. Parallelamente, l’attività didattica all’Accademia di Belle Arti di Vienna contribuisce a formare nuove generazioni di artisti. Negli ultimi decenni, il lavoro di Rainer è stato oggetto di riletture e grandi retrospettive, fino alla fondazione del museo a lui dedicato nella natia Baden e alla mostra monografica per i suoi 95 anni, nel 2024. Un segno tangibile di come la sua ricerca, pur profondamente legata alle ferite del Novecento, continui a interrogare il presente.
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