A Napoli torna per il secondo anno la mostra da scovare nelle stanze di un albergo
Chi viaggia lo sa, spesso le opere d’arte negli hotel lasciano a desiderare. Non è il caso dell’albergo SuperOtium a Napoli, che per la seconda edizione di “Look Closer” apre le stanze dell’hotel a 7 artisti e 9 curatori
Look Closer 02 scandaglia il confine, cerca l’equilibrio e la prossemica tra intimo e condiviso. Tra ritiro e nutrimento, tra quando, quanto e come far girare i cardini delle proprie porte interiori nell’incontro con l’altro. Giunto alla sua seconda edizione, il progetto esprime la stessa essenza dell’hotel SuperOtium a Napoli, dove ha luogo, plasmandola come materia prima concreta, e inoltre funzionando come dispositivo di vera e propria format art.
Il progetto “Look Closer 02” a Napoli
Con la macro-curatela di Nicola Ciancio, Look Closer 02 invita infatti nove curatori a interpretare con sette artisti la natura e vocazione dell’art hotel da lui stesso creato con Vincenzo Falcione: farsi accoglienza, stimolo e costruzione di una comunità internazionale di viaggiatori e creativi, resi protagonisti di una rete di scambio e osmosi tra le energie della città partenopea e del mondo, ponendo in dialogo il tessuto locale con gli ospiti dell’hotel. Che però divengono a loro volta “ospitanti” che aprono la propria camera e temporanea riservatezza per permettere la visione delle opere, fluidificando ruoli e apporti.
L’esplorazione, il dubbio, la discussione, il disagio e il piacere nel confine tra se stessi e l’esterno emergono già a inizio percorso nell’ambivalenza “fragile e potente” – con le parole di Ciancio – di Kobramulata, a cura di Dario Biancullo e Lorenzo Xiques López: una poltrona, o prigione, intrecciata letteralmente con afro-braids identitarie, tessili avviluppati come overthinking, lenzuola stracciate come aneliti di libertà ed evasione dal comfort, o carcere, del ritiro in sé. Trasformativa, metamorfica, inquietantemente seducente e multisensoriale come le creature di Nathalie Djurberg o Louise Bourgeois, istituisce la tesi interrogativa del tema espositivo, restando in sospeso tra arte e oggetto-arredo di funzione.

Le opere di Libero De Cunzo e Adriano Tenore al SuperOtium di Napoli
Disorienta dunque, in apparente tranquillizzazione di geometrie sentimentali, il quadrato magico di Libero De Cunzo, a cura di Raffaella Morra e Loredana Troise, nella stanza successiva. Nove tessere di visioni pulite, eredi di onirismi e lirismi di Luigi Ghirri, che accolgono la randomica soggettività del fruitore come parte integrante dell’opera. In svolgimento interattivo, gli scatti sono concepiti infatti per essere spostati e riallestiti dall’ospite della camera: l’autorialità lascia andare direttività e controllo per rimodulare i confini di integrità e intimità nel policentrismo di una creazione partecipata. L’immagine fotografica, e filmica, ci riaccoglie nella deluxe successiva, con Adriano Tenore curato da Francesca Blandino per Collezione Agovino. Ma stavolta la porta della camera diviene portale per l’oltre, il dubbio e confine irrompono al di là della stessa certezza realistica di quanto vediamo. In un tunnel di visioni animiche, le memorie fotografiche dell’autore sono il punto di partenza per flussi percettivi in dialogo con l’intelligenza artificiale, che rende mobili in video gli scatti iniziali. Pur se strettamente diretto dall’autore, l’attingere all‘inconscio collettivo visivo dell’AI, indagando la relazione tra naturale e artificiale, finisce per esplorare quella multigenerazionale e ubiqua tra anime, evocando una sovra-entità transpersonale, quasi affettivamente partecipe dell’individuale.
Le opere di Chiara Arturo e Ciro Battiloro al SuperOtium di Napoli
Non si può essere umani senza empatia sociale, e la strisciante inquietudine dei piccoli still di Chiara Arturo nella cura di Pietro Gaglianò, in contrasto con l’allestimento sul luogo del riposo per eccellenza – il letto della suite seguente – neanche necessita, per agire, della lucida cognizione che ne svela la provenienza da video di tragici salvataggi marini di migranti. L’ossessività ruvida della ripetizione, intensificata dalla ricercata tattilità della stampa su dibond spazzolato, il cupo indaco gelato della cromia, l’angosciosa sfocatura raggiungono la coscienza senza tante spiegazioni. Le stesse chiarezze omesse che privano paesaggi di dettagli nell’altra serie in mostra dell’autrice, che fa efficacemente delle informazioni mancanti il centro di una epistemologia emotiva.
È nell’assenza che si è più presenti, sa bene Ciro Battiloro nella curatela di Ivano Bove per Dispaccio. La sua prassi fotografica stringe profonda intimità con gli oggetti del suo sguardo per via di presenza discreta, quasi invisibile. Gesti improvvisi e domestici, posture e movenze dello spirito, prima che moti del corpo, rubati a un contesto collocato solo con pochi cenni, mostrano come il sentimento e il ricordo brillino proprio nell’apparente marginalità. Così come nella marginalità sociale delle realtà fotografate brucia la loro negletta assenza, che infatti si fa continua presenza in una infelicità endemica del sistema che si ostina a ignorarle.
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Le opere di Nives Widauer e Teresa Gargiulo a Napoli
Ci viene in soccorso la mitologica creatività immaginifica dei collage di Nives Widauer con la cura di Adriana Rispoli. Oleografia e stereotipi, per non inchiodare la mente ai pregiudizi, attingono agli archetipi psicodrammatici che vi sono sottesi, trasformando cartoline in esseri mostruosi e surreali, tra Miró e bestiari medievali. Ma è talmente libera l’assonanza che innesca la mutazione da svincolare dettagli percettivi da ogni sovrastruttura, traghettandoli verso un’assoluta indipendenza di risignificazione, come nella metalinguistica di Cangiullo.
Un senso possibile alla riflessione espositiva sul confine, non a caso a fine percorso, pare offerto proprio dall’elegante levità di Teresa Gargiulo, a cura della Galleria Tiziana Di Caro: mio/tuo/collettivo, suono/sguardo/tatto, nascosto/esposto/condiviso si fondono nella frase “il mio silenzio per i tuoi occhi”, ricamata su un telo a muro lasciato in libera sospensione, viola come il chakra dello spirito, quasi oggetto da meditazione.
In una sinestesia esistenziale, prima ancor che retorica: se blocchi e pareti si aprono al divenir fluttuante, respiro dopo respiro, silenzio dopo silenzio, rispetto dopo rispetto, lo sguardo si fa più intimo – closer – alla verità.
Diana Gianquitto
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