Anche la polvere può essere monumentale. La mostra di Urs Fischer a Roma
Tra riferimenti classici, opere di polvere e riflessioni filosofiche sulla percezione, le nuove opere di Urs Fischer alla galleria Gagosian sfidano l’idea di presente e di proporzione

Otto nuove opere a parete, una scultura monumentale e un’installazione video, tutte realizzate per l’occasione, fanno After Nature, il solo show di Urs Fischer (Zurigo, 1973) nei luminosi e ampi spazi di Gagosian a Roma. Una mostra personale con cui l’artista svizzero, senza rinunciare a un tocco di frizzante ironia, si spinge in una direzione decisamente filosofica e concettuale, per riflettere sul tema della percezione a partire dai concetti di proporzione e tempo.
Da Gagosian a Roma Urs Fischer concede alla polvere l’immortalità
A parete sono esposte grandi opere (che fatico a definire dipinti) con cui Fischer consacra dei granelli di polvere all’immortalità. La palese ispirazione è la celebre fotografia Dust Brandign (1920), in cui Man Ray cattura la sporcizia sulla superficie di Mariée mise à nu par ses célibataires, même (meglio noto come il Grande Vetro) di Marcel Duchamp. Opere che tuttavia si distinguono dalla precedente serie di Fischer sul tema (2007-2010) per una componente più scultorea, una matericità percepibile al tatto. Il titolo delle installazioni in alluminio deriva dalle nuance di colore che le caratterizzano: Solitaries dalla tonalità specchiante nel foyer della galleria; Infernal, giocata sui toni caldi del giallo e del rosso, e connotata da una superficie che lascia intravedere il lavoro di stratificazione sottostante; la serie Celestial, sull’azzurro che, nella sala ovale, è disposta secondo un climax ascendente, dato dal graduale aumento dei granelli di polvere sulla superficie iridescente. Sono opere derivanti da un elaborato processo creativo che, tra acrilico, smalto, fotografia e serigrafia, si compone di almeno sette strati. Una varietà sorprendente di tecniche e materiali che, conferendo alle superfici una vibrante opalescenza, le impreziosisce attivando un dialogo con lo spazio circostanze, sotto forma di suggestivi giochi di luce e cangianti riflessi.










“Body”: l’omaggio di Urs Fischer alla classicità di Roma
Al centro della sala, troneggia, come un silenzioso omaggio alla storia di Roma, Body; grande scultura morbida che, con la fisionomia di una figura femminile sdraiata, si colloca in bilico tra arte e design proponendosi, insieme ai due pendant simili a pouf, come rassicurante seduta. Ironicamente, l’opera di proporzioni gigantesche, che l’artista considera “un’incarnazione viscerale della forza di gravità, un luogo statico di attrazione sul quale soffermarsi o dal quale contemplare il resto della mostra”, è rivestita da un tessuto mimetico, come se potesse nascondersi o passare inosservata. Anche in questo caso Fischer strizza l’occhio alla storia dell’arte e non solo alle Veneri, a partire dalla celebre Paolina Borghese (Canova, 1805-08) che inevitabilmente ricorda, ma anche al più recente progetto She—A Cathedral,1966, di Niki de Saint Phalle, Jean Tinguely, P.O. Ultvedt e Pontus Hultén al Moderna Museet di Stoccolma, in cui la figura cava di una donna incinta, in scala architettonica, conteneva una sorprendente varietà di opere d’arte e progetti.

Da Gagosian a Roma Urs Fischer traccia una metafisica del presente perpetuo
Completa il percorso, a livello fisico e concettuale After Nature (After Dan Graham), opera che racchiude la summa di tutto il progetto, incarnando a pieno una riflessione su percezione, spazio e tempo. Partendo anche in questo caso da un riferimento storico, Time Delay Room (1974) dell’artista statunitense citato nel titolo, Fischer elabora un’installazione video che si può definire metafisica. Lo schermo, trasmettendo a meno di due secondi di distanza, le immagini registrate nella sala ovale, mostra al visitatore se stesso nell’atto di osservare le opere, in un presente continuo che induce inevitabilmente una riflessione sullo stato di “presente perpetuo” in cui stiamo attualmente vivendo. L’opera che paradossalmente non registra, ma trasmette solo in real time, si può leggere come una critica alla contemporaneità in cui, l’abuso di freddi supporti digitali, rischia di sminuire progressivamente l’importanza di ricordo e memoria, tracce emotive delle esperienze vissute.
Ludovica Palmieri
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