Nell’ex cimitero di San Pietro in Vincoli di Torino va in scena un “funerale performativo”. Intervista all’artista 

Si intitola “The End of Pink” la performance dell'artista Marco Abrate che chiude il ciclo dell'esistenza di Mr. Pink. Una riflessione sulla perdita e la rinascita (artistica) che abbiamo deciso di approfondire 

Nato nel 1777 fuori dalle mura cittadine su progetto dell’architetto Francesco Valeriano Dellala di Beinasco, il cimitero di San Pietro in Vincoli di Torino è stato il primo della città sabauda. Date le piccole dimensioni, nel 1829 si decise di costruire un cimitero monumentale, facendolo cadere in disuso il primo. Diventato oggetto di vandalismo e profanazioni negli anni, l’ex cimitero venne completamente ristrutturato nel 1988 e adibito a luogo di eventi e spettacoli culturali. Una cornice suggestiva dove l’artista Marco Abrate (Torino, 1996) ha deciso di svolgere The End of Pink, un “funerale artistico” che chiude il ciclo durato nove anni di Mr. Pink. Volevamo saperne di più e abbiamo deciso di fare qualche domanda all’artista. 

Mr. Pink: un personaggio nato da un errore di comunicazione 

Il progetto Pink nasce nel 2017 da un errore di comunicazione. I media italiani, infatti, avevano indicato le opere di Marco Abrate con il nome di Mr. Pink, creando un personaggio nonostante l’artista firmasse le sue creazioni come Rebor. L’artista sceglie dunque di appropriarsi di questo nome, trasformando il media stesso in strumento e parte integrante della sua ricerca in rosa, che affonda le radici nell’indagine delle soglie percettive. 

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Marco Abrate. Foto di Carl Stacy

Intervista all’artista Marco Abrate

“The End of Pink” segna la conclusione di un ciclo lungo nove anni. Quando arriva la decisione di celebrare questa fine con un funerale artistico?
Osservando la realtà, accettandola, ho sentito il bisogno di interrogarmi su come oggi viviamo la fine, il lutto e la trasformazione, dentro l’illusione dell’eterno digitale, dove tutto sembra poter continuare all’infinito: fare morire Pink è parte del percorso. Compresa questa fine, abbiamo girato i video negli studi a Montréal in Canada con il duo Banana Killers con cui collaboro da anni. Questa volta nessuna mostra o fiera, sarà un vero funerale, con bara e fiori, sostenuto da Giubileo Torino. 

Cosa succederà?
In due ore il rosa scompare, muore, si trasforma. È come nascere di nuovo.

Il luogo scelto, l’Ex Cimitero di San Pietro in Vincoli, è fortemente simbolico. Come è nata questa scelta?
All’inizio mi era stato proposto di farlo a Milano. Pink è nato a Torino, e a Torino volevo morisse. Dopo le personali milanesi e i progetti tra Cina e America, questo era un ritorno necessario, una forma di restituzione. Ho chiamato l’Accademia Albertina che mi ha poi gentilmente suggerito questo spazio straordinario: l’ho visto, e ho capito subito che era quello giusto. Un luogo che respira teatro, silenzio e metamorfosi e riflette perfettamente ciò che voglio esprimere.

Le tue opere riflettono spesso sulla tensione tra umano e digitale, presenza e assenza. In che modo “The End of Pink” mette in dialogo queste dimensioni?
La morte del rosa è un inno alla vita, ho voluto interrogare il nostro modo di vivere la fine. 

L’arte come strumento di consapevolezza della “fine”

Il digitale ci promette eternità: credi che l’arte possa restituire, invece, la consapevolezza della fine?
Questo XXI Secolo non sarà un secolo facile. Molte sfide si pongono davanti a noi. Le azioni distruttive provengono da emozioni altrettanto distruttive. Il nostro mondo ha bisogno di conoscere, investigare, senza paura. Riconoscere le emozioni ci dà modo di capirle e di affrontarle con la dovuta attenzione.

Spiegaci meglio…
Credo che l’arte debba mantenere viva la consapevolezza della fine. L’intelligenza artificiale vende bene, ma di “intelligente” ha poco. È artificiale, e basta. Il rischio è diventare le nostre stesse invenzioni, smettendo di abitare la parola, il linguaggio, la cooperazione, il limite, che sono il risultato del proprio sentire. 

Se il rosa è finito, quale colore o materia potrebbe incarnare il prossimo capitolo della tua ricerca?
Ora posso concedere l’intera ricerca al discorso dei muri, in questi giorni sto abitando quello spazio intermedio, il momento in cui qualcosa svanisce e si trasforma. Il 31 ottobre volerò a Shanghai per una residenza artistica di alcuni mesi: lì proseguirò il lavoro dei muri, su cemento e intonaco. Il muro mi piace leggerlo anche come a-muro, amore, l’amore per qualcosa che resiste e che è difficile, come la leopardiana Ginestra. Ho avuto bisogno della lente del Pink per nutrire il discorso dei muri, fino a quando ho sentito di non averne più bisogno. In questi anni mi sono concentrato molto fuori dall’Italia senza però abbandonarla e sto lavorando per una futura personale che avrò sempre a Shanghai.

“Chi non cambia, muore davvero”: cosa significa per te oggi questa frase?
Talvolta noi esseri subiamo un accrescimento grazie a una perdita, talvolta una perdita è causa di un accrescimento. L’amore oggi può essere la rivoluzione più profonda perché è sinonimo di cura, e se dovessi scegliere un epitaffio per il mio periodo rosa, credo scriverei solo: “non sono più qui”. 

Valentina Muzi 

Ex cimitero di San Pietro in Vincoli di Torino
The End of Pink
dalle 19 alle 21
Via S. Pietro in Vincoli 28
Partecipa all’evento

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Valentina Muzi

Valentina Muzi

Valentina Muzi (Roma, 1991) è diplomata in lingue presso il liceo G.V. Catullo, matura esperienze all’estero e si specializza in lingua francese e spagnola con corsi di approfondimento DELF e DELE. La passione per l’arte l’ha portata a iscriversi alla…

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