Nel super hotel di lusso a Capri una mostra esplora spazi e visioni da attraversare

Il progetto espositivo di Galleria Continua a Jumeirah Capri Palace di Anacapri prosegue con “Colore Luce” mostra che esplora il potere trasformativo dei due elementi cardine della visione, per restituire allo spettatore uno sguardo consapevole sulla definizione di percezione

Nel cuore di Anacapri, sospeso tra cielo e mare, il Jumeirah Capri Palace unisce eleganza, arte e benessere in un’esperienza immersiva e raffinata che lo trasforma in un laboratorio culturale in cui ogni dettaglio, dalle suite silenziose alla cucina d’autore, fino ai progetti espositivi, è parte di una visione che concepisce “l’hotel come un’opera d’arte”, come afferma Ermanno Zanini, General Manager e Vicepresidente regionale sud Europa e Regno Unito del gruppo Jumeirah.

L’arte come elemento fondante del Jumeirah Capri Palace

Qui, l’arte non è un’aggiunta accessoria, ma un principio generativo, un elemento fondante che nutre lo spirito e stimola il pensiero. Ogni progetto espositivo è concepito come un ecosistema vivo, in cui si intrecciano linguaggi, sensibilità e discipline in continua evoluzione. La cultura si radica così nell’identità stessa dell’hotel, diventando strumento di conoscenza, dialogo e apertura verso l’altro. Il Capri Palace si propone come una fucina creativa, un luogo in cui l’arte contemporanea non solo abita lo spazio, ma lo interroga, lo trasforma e lo mette in relazione con la complessità del nostro tempo.

“Colore Luce” la nuova tappa del progetto espositivo della Galleria Continua a Capri

È in questa visione che si inserisce la mostra temporanea Colore Luce, nuovo capitolo di un percorso espositivo con Galleria Continua, con cui è attiva una collaborazione dal 2021. Il progetto raccoglie opere di Michelangelo Pistoletto, Loris Cecchini, Pascale Marthine Tayou, Nari Ward e Giovanni Ozzola, riunite attorno a una riflessione comune sui due elementi fondanti della percezione visiva: il colore e la luce.

Gli artisti in mostra al Jumeirah Capri Palace

Prende così forma un dialogo raffinato e polifonico, in cui ogni riflesso e ogni sfumatura divengono occasioni di esplorazione sensoriale ed emotiva. Loris Cecchini (Milano, 1969) intreccia scienza e poesia, traducendo la forma organica in paesaggi plastici dalla carica onirica. La sua ricerca fonde natura e artificio, e il connubio tra luce e colore si traduce in esperienze visive che vibrano di delicatezza. Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933), invece, prosegue il suo discorso sulla moltiplicazione dei punti di vista: i suoi celebri specchi agiscono come varchi tra dimensioni, dove l’assenza di luce lascia spazio al colore, in una tensione continua tra visibile e invisibile, materia e riflessione. A completare questa partitura visiva, le opere di Pascale Marthine Tayou (Yaoundé, 1967) e Nari Ward (Giamaica, 1963) aggiungono ulteriori livelli di lettura, tra memoria collettiva, migrazione culturale e stratificazione simbolica.
A completare l’esposizione con un’opera site specific, nel silenzio minerale dei suoi bunker, Giovanni Ozzola (Firenze, 1982) sembra dar voce a un tempo senza tempo, dove la materia – dura, cementizia, ferita – si lascia attraversare dalla luce, trasformandosi in soglia. È una soglia percettiva, certo, ma soprattutto emotiva: un passaggio che conduce altrove, e che per farlo ci riporta dentro. Le opere qui esposte, appartenenti prevalentemente alla serie dedicata ai bunker, si offrono come luoghi di contemplazione e disvelamento, aperture concrete che si affacciano su orizzonti evanescenti, varchi che interrogano lo sguardo e lo invitano al raccoglimento.

Al Jumeirah Capri Palace un allestimento poetico e concettuale

La scelta di collocarle all’esterno dell’hotel – proprio in quello spazio oggi dedicato all’accoglienza dell’effimero, delle esposizioni temporanee – non è solo una questione allestitiva. È, piuttosto, un gesto poetico e concettuale. Come facciate immobili che sembrano guardare verso un interno, e che invece si aprono verso il mare, queste immagini ribaltano le coordinate visive e simboliche dell’architettura che le ospita. L’apparente solidità si frantuma nella contemplazione dell’orizzonte, e ciò che ritroviamo davanti agli occhi, in realtà, è alle nostre spalle: un’interiorità sopita, una memoria visiva da cui non possiamo fuggire.

Capri Palace, Colore Luce, Pascale Marthine Tayou, Installation View, Courtesy of Jumeirah Capri Palace
Capri Palace, Colore Luce, Pascale Marthine Tayou, Installation View, Courtesy of Jumeirah Capri Palace

La luce nella pratica artistica di Giovanni Ozzola

La luce, per Ozzola, non è semplicemente un mezzo per illuminare: è materia viva, sostanza che crea e deforma, che costruisce il visibile ma anche lo dissolve, ci acceca, ci confonde, ci protegge. È proprio in questa ambivalenza che si annida il cuore della sua poetica: nello scarto tra rivelazione e vertigine, tra mappatura e smarrimento. Ogni scorcio ritratto è insieme documento e visione, memoria e sogno, e in questo dualismo si manifesta quel “minimo comunicatore multiplo” che l’artista riconosce come impulso ancestrale dell’umanità: la necessità di andare verso, di attraversare il noto per sfiorare l’ignoto.
C’è una delicatezza consapevole nel suo sguardo. Ozzola non si propone d’imporre o illustrare. I suoi frammenti di quotidiano – finestre, spiragli, pareti consumate – parlano un linguaggio universale, tanto intimo quanto collettivo, capace di accogliere lo sguardo di chi osserva e restituire, per brevi istanti, una verità sussurrata. Sono opere che non chiedono interpretazione, ma disponibilità: quella di sostare, di lasciarsi attraversare, di accogliere il senso inafferrabile del proprio viaggio interiore. Così, il bunker si fa cranio, luogo fisico e metaforico dove abitano memorie, desideri e cicatrici: è uno spazio che protegge e imprigiona. E in questo suo essere rovina abitabile, struttura che si disgrega mentre ancora ci contiene, diviene specchio del nostro stesso corpo, del nostro bisogno di rifugio, del nostro desiderio di infinito. È qui che il dialogo tra opera e spettatore si compie, non nella pretesa di una verità, ma nella disponibilità a condividere una soglia.

Diana Cava

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