Case Chiuse a Milano: dopo anni di progetti itineranti il format trova casa a Porta Venezia

Case Chiuse da anni sostiene gli artisti nella produzione di nuove opere e organizza esposizioni in luoghi insoliti, come appartamenti privati o attività commerciali in disuso. Abbiamo ripercorso i passi più importanti della sua storia con Paola Clerico, fondatrice di Case Chiuse.

Tutto nasce nel 2014, quando la curatrice Paola Clerico intraprende l’organizzazione di una serie di mostre itineranti in collaborazione con giovani artisti. Il progetto prende il nome di Case Chiuse, dalle location in cui le esposizioni sono ospitate: appartamenti privati o ex attività commerciali che danno a Case Chiuse un carattere forte e riconoscibile. Dopo sei anni di attività, però, Paola Clerico ha trovato un luogo fisico in cui stabilirsi, ovvero lo studio di via Rosolino Pilo – nelle stradine retrostanti Porta Venezia, sedi di pittoresche palazzine liberty – rinominandolo Case Chiuse HQ. E apre con una mostra “libera”, nella quale sono riuniti alcuni degli artisti che l’hanno accompagnata in questa avventura curatoriale fin dagli inizi, invitati a portare una o più opere a piacimento: Tarek Abbar, A Constructed World, Roberto Coda Zabetta, Gabriele De Santis, Nick Devereux, Tamara Henderson, Carlo Valsecchi e Nico Vascellari. L’apertura di una sede fisica segna quindi la fine di uno spirito nomade? Niente affatto, e Paola Clerico ci ha spiegato perché, in questa intervista.

Case Chiuse#08 Credit: Henrik Blomqvist

Case Chiuse#08
Credit: Henrik Blomqvist

Come è nato il progetto Case Chiuse?
Case Chiuse è nata come piattaforma nomade di produzione artistica nel febbraio 2014 e ha risposto innanzitutto a una necessità personale: trovare il contesto più consono per continuare ad occuparmi di arte seguendo i canoni a me più cari di flessibilità e sperimentazione.

Queste mostre itineranti ti hanno portato per lo più a esporre in appartamenti e luoghi privati. Qual è stata la prima edizione in assoluto?
La prima edizione di Case Chiuse con Nick Devereux è stata realizzata a casa mia ed è stata una sorta di “prova generale”, perché non avevo idea se potesse realmente suscitare l’interesse di un pubblico più ampio. Dato il riscontro positivo ho pensato di continuare e di strutturare il lavoro in maniera più compiuta.

Raccontaci qualcosa a proposito delle tappe successive.
In ordine cronologico abbiamo poi “invaso” il Garage Soccol, un grande spazio sotterraneo abbondonato da vent’anni, con il progetto di Roberto Coda Zabetta e Carlo Valsecchi. Subito dopo l’ex-casa Cipelletti – un piccolo appartamento, realmente un ex-bordello ai tempi dell’occupazione francese – ha accolto il dialogo fra le Tavole Anatomiche di Aldo Mondino e i disegni visionari di Tarek Abbar. La mostra di Nico Vascellari prevedeva un giardino ed è stata la volta di casa Bonacossa. Gabriele De Santis ha poi letteralmente stravolto Casa Vautrin-Vudafieri. Con A Constructed World abbiamo occupato un ex-elettrauto. Tamara Henderson e Carla Accardi nel laboratorio di Francesco Russo e infine Nick Devereux in dialogo con alcuni lavori della Collezione Ramo all’ultimo piano ancora a rustico del Bosco Verticale.

Quali sono stati gli elementi interessanti di questo format?
Sono tutti luoghi molto differenti, scelti in relazione alle mostre che avrebbero dovuto accogliere. Sul nostro nuovo sito, anche coloro che non sono riusciti a seguirci in questi anni, potranno “girovagare” tra i testi e le immagini dei progetti. Gli elementi più interessanti sono sempre il dialogo e il processo di decisione con gli artisti, innanzitutto per capire quale può essere la tipologia di luogo più adatta da ricercare e di conseguenza lavorare per quello spazio specifico. È molto speciale vivere insieme il momento in cui si aprono le porte della Casa Chiusa e si percepisce lo stupore del pubblico.

Su quali criteri si basa la scelta degli artisti con cui collaborare? Cosa deve avere un artista per “conquistarti”?
Ovviamente e principalmente sono conquistata dalle opere e dalla serietà della ricerca. Poi, senza ombra di dubbio, il fattore umano gioca una parte preponderante: non posso pensare di collaborare con persone che non condividono la mia visione non solo sull’arte, ma sull’esistenza perché non mi interessa attivare relazioni solo con una finalità utilitaristica.

Case Chiuse#08 Credit: Henrik Blomqvist

Case Chiuse#08
Credit: Henrik Blomqvist

All’inaugurazione del nono appuntamento di Case Chiuse, nello studio di Porta Venezia, hai organizzato una mostra senza tema, come un incontro tra vecchi amici. Come mai?
Perché non ho avuto dubbi: l’apertura dello spazio poteva essere celebrato solo con chi aveva condiviso il percorso fatto fino a qui. Se gli artisti non avessero avuto fiducia in me, Case Chiuse non esisterebbe. Se le persone che hanno accettato di offrire i loro spazi non avessero accolto con generosità ed entusiasmo lo spirito del progetto, non avremmo avuto la fortuna di aprire luoghi così speciali. Per questo ringrazio tutti loro infinitamente e per questo ho voluto festeggiare con loro l’inaugurazione del nuovo spazio senza bisogno di inventare un tema, creando una sorta di recap degli episodi precedenti e lavorare bene insieme. 

Guardando indietro a questo percorso, c’è qualcosa che cambieresti o faresti diversamente?
Questa tua domanda è strettamente connessa a quella successiva. In effetti negli ultimi due anni ho molto riflettuto sul mio percorso e questi pensieri mi hanno portato alla decisone di trovare uno spazio permanente, un headquarter che potesse diventare il catalizzatore delle nostre attività. Tutto questo è nato dalla consapevolezza che, negli ultimi tempi, i progetti e le mostre “fuori sede” sono centuplicati. Tutto si sussegue ad una velocità esponenziale e, di conseguenza, spesso deprivato della giusta attenzione e del tempo necessario per essere davvero compreso. 

E in che modo, trattando di questo aspetto, il tuo progetto si differenzia?
Il progetto Case Chiuse è nato per offrire un modo più intimo per vivere le mostre e vorrebbe continuare a insistere su questo tema. In passato mi sono molto rammaricata nel sapere che molte persone non erano riuscite a vedere le Case Chiuse per questioni di tempo e sono felice che d’ora in poi, nello spazio di via Rosolio Pilo, potremo finalmente spiegare, documentare e anche accogliere alcuni dei lavori prodotti per i progetti off-site. Al contempo affiancheremo una programmazione parallela, ma le modalità nel procedere saranno sempre le stesse.

Il fatto di aver trovato un luogo fisico non significa che Case Chiuse diventerà una galleria. Puoi spiegarci perché?
Grazie per avermi posto questa domanda in maniera diretta, vorrei che fosse molto chiaro che Paola Clerico “non” ha aperto una galleria. Nella scelta di aprire uno studio con il nome Case Chiuse HQ è già insita la mia posizione; se avessi aperto una galleria l’avrei dichiaratamente chiamata con il mio nome.

Qual è, in definitiva, la tua idea?
Solo e semplicemente desidero continuare a lavorare con estrema libertà di azione, rispettando il lavoro di tutti, ma senza essere incasellata in una posizione specifica. Case Chiuse è un’impresa che cerca di operare in modo agile e creativo insieme agli artisti e nella produzione, ricoprendo sempre di più il ruolo di agenzia per facilitare connessioni e creare nuove opportunità per gli artisti con cui collaboriamo.

Case Chiuse#08 Credit: Henrik Blomqvist

Case Chiuse#08
Credit: Henrik Blomqvist

Quando ti potremo trovare in studio?
Lavoriamo nello studio di via Rosolino Pilo 14 perciò siamo quasi sempre lì e aperti al pubblico da martedì a venerdì dalle 11 alle 19 o su appuntamento. Consiglio però di controllare sul sito, o di scriverci una mail, perché gli orari varieranno a seconda dei singoli progetti, in loco o fuori sede.

Ora che ti sei trasferita in un luogo fisso porterai avanti parallelamente anche attività al di fuori di questo spazio?
Assolutamente sì. Il “vagare”, sia fisico che mentale, è stato fonte di grande libertà e ispirazione e rimarrà come connotazione primaria del nostro lavoro. Le Case Chiuse continueranno sempre anche al di fuori dello spazio di via Rosolino Pilo 14.

Altri progetti per il futuro? Investirai anche sui giovani (giovanissimi) artisti?
Su questo sono un po’ criptica. Tendo a non svelare troppo in anticipo quello che accadrà perché credo fondamentalmente che un alone di mistero sia molto più seducente di una programmaticità dichiarata. Ho riscontrato una grande energia nei “giovanissimi”, nel loro modo di lavorare e nelle loro opere. Continuare a dialogare e collaborare è fondamentale e di questo se ne occuperà primariamente Ginevra D’Oria che lavora con Case Chiuse da tre anni. 

Cosa pensi che manchi al sistema italiano in questo momento? Mi riferisco anche al sistema dato agli artisti e alla loro produzione.
In Italia esistono validissime realtà pubbliche e private che sostengono gli artisti, l’arte e la cultura. E al contempo siamo “bloccati” da altrettante realtà che non permettono di operare al meglio a tutti coloro che stanno investendo nel sostegno dell’arte e della cultura. Ma questo è “un fuori tema” molto complesso e non sintetizzabile in poche righe.

-Giulia Ronchi

Case Chiuse #08 by Paola Clerico
Fino al 18 aprile 2020
Case Chiuse HQ
Via Rosolino Pilo, 14 Milano
[email protected]
www.casechiuse.net

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Giulia Ronchi

Giulia Ronchi

Giulia Ronchi è nata a Pesaro nel 1991. È laureata in Scienze dei Beni Culturali all’Università Cattolica di Milano e in Visual Cultures e Pratiche curatoriali presso l’Accademia di Brera. È stata tra i fondatori del gruppo curatoriale OUT44, organizzando…

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