L’importante artista polacca Alicja Kwade parla di ‘sublime’ in una mostra a Roma

Filosofica e profonda ma con un tocco d’ironia. Così è “Infra / Supra” mostra dell’artista polacca selezionata dal curatore Valentino Catricalà per la V° stagione dello spazio che, nel cuore di Roma, intreccia arte contemporanea e archeologia

È Alicja Kwade (Katowice, Polonia, 1979), l’artista selezionata per la V° stagione di Forof – spazio culturale che dal 2022 porta avanti nel cuore di Roma un dialogo tra archeologia, arte contemporanea e tessuto urbano – che, con la mostra Infra / Supra a cura di Valentino Catricalà, accompagnerà i visitatori lungo l’arco dell’anno, in cui sarà attivata da cinque eventi di musica, poesia e cinema. Come lascia intuire il titolo che rimanda al latino, negli spazi trans-storici di Forof l’artista ha voluto mettere in crisi, in maniera ficcante ma anche ironica, la pretesa puramente umana di “avere sempre tutto sotto controllo”. E, riflettendo sui concetti di tempo e spazio, Kwade ha riattualizzato il concetto di sublime con un percorso che, come ha osservato Catricalà: “è giocato sull’ambivalenza tra la pretesa illusione di avere il controllo e l’amara constatazione di non averlo mai totalmente”.    

La mostra di Alicja Kwade negli spazi di Forof di Roma  

Abbracciandone la mission, Kwade ha trasformato Forof in un ambiente immersivo in cui passato e presente si intrecciano, con opere che dialogano con l’architettura contemporanea e l’archeologia. Come ha affermato Catricalà, “Infra / Supra contempla tre temporalità: il tempo archeologico dello spazio, il tempo geologico delle opere e il tempo umano di coloro che visitano la mostra. Tre dimensioni che, creando una trazione temporale, mettono per l’appunto in discussione quella pretesa di controllo che spesso gli esseri umani si illudono di avere”. 

FOROF, ep.5: Alicja Kwade, INFRASUPRA, Installation view, ph. Monkeys video lab
FOROF, ep.5: Alicja Kwade, INFRASUPRA, Installation view, ph. Monkeys video lab

Il sublime nella poetica di Alicja Kwade  

Davanti al tempo millenario delle rovine e a quello ancor più lungo della geologia, infatti, l’essere umano non può che constatare la sua piccolezza e riconoscersi, tra le opere, semmai nelle mele bacate, non certo nella perfezione delle sfere. Precarietà espressa sin da Uranus e Jupiter, scultura che apre il percorso, nel contrasto tra la monumentalità dei materiali e l’instabilità della forma, una seduta impossibile. 

Le opere di Alicja Kwade a Roma 

L’esposizione prosegue al piano inferiore con Fantasma, opera in bronzo che, ancora una volta, ironizza sul concetto di monumento, ridimensionando l’idea che l’uomo ha di se stesso. A ricevere i visitatori nell’ipogeo, infatti l’artista ha posto un suo autoritratto che, pur riprendendone le fattezze, ne cela l’identità, precludendo la vista del suo volto al pubblico che, di fatto, si trova di fronte a un Fantasma.  

FOROF, ep.5: Alicja Kwade, INFRASUPRA, Installation view, ph. Monkeys video lab
FOROF, ep.5: Alicja Kwade, INFRASUPRA, Installation view, ph. Monkeys video lab

L’idea della caducità del tempo umano raggiunge il suo climax nelle mele, di cui è costellato il corridoio che conduce al cuore archeologico dell’edificio. Mele imperfette, con più torsoli e bacate, che giacciono con noncuranza anche sul pavimento; simbolo di un potere solo anelato e di una vanità svanita, di cui permane un’esigua traccia nel vivace colore che ancora le anima. Tra tutte, una in bronzo e bacata in più punti, si colloca isolata su un piedistallo da cui ingaggia un toccante dialogo con le pareti antiche, anch’esse martoriate dallo scorrere del tempo. 

Alicja Kwade di fronte alle vestigia dell’antica Roma   

Così si arriva cospetto dei resti della Basilica Ulpia, di fronte ai quali il tempo umano cede il passo alla maestosità dell’archeologia e all’eternità della geologia. Kwade, adottando un registro solenne, nell’ambito di una scenografia costituita da pieni e vuoti, ove i marmi sono messi in risalto dalle luci e da coperture di feltro strategicamente ideate, colloca due sfere, oltre quella posizionata all’ingresso. Nella loro perfezione e grandiosità, le opere diventano memento mori della contemporaneità, tracciando, come notato dal curatore: “un parallelismo tra l’immenso peso della storia umana e il peso fisico della pietra che, nella sua densità materiale, incarna simbolicamente sia la Terra sia la ripetizione ciclica della storia cosmica e umana”.

Alicja Kwade una riflessione non priva di speranze sull’umanità 

E in questo percorso che non lascia adito a dubbi circa la finitezza umana, Kwade chiude lasciando un margine di speranza, con l’installazione site specific Heavy Light. Un duetto tra l’etereo e il massiccio, costituito da una lampadina e una pietra naturale che sospese, sebbene diverse per peso e consistenza, ruotano insieme in un moto perpetuo, amplificato dal riflesso suggestivo dell’ombra nello spazio. Opera con cui, attraverso l’armonia delle forze gravitazionali e centrifughe, l’artista mette in evidenza come, nonostante l’intrinseca caducità, l’essere umano, grazie al lume del suo pensare, possa se non controllare, quantomeno entrare in sintonia con le grandi temporalità che dominano il cosmo. E proprio attraverso questa dialettica, che connota tutto il percorso, Kwade offre un nuovo punto di vista sulla realtà che ridimensiona il ruolo dell’umanità da protagonista a parte di un’immensità.   

Ludovica Palmieri 

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Ludovica Palmieri

Ludovica Palmieri è nata a Napoli. Vive e lavora a Roma, dove ha conseguito il diploma di laurea magistrale con lode in Storia dell’Arte con un tesi sulla fortuna critica di Correggio nel Settecento presso la terza università. Subito dopo…

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