Le realtà alternative di un pittore italiano in mostra a Madrid. Intervista a Siro Cugusi 

L’artista sardo si muove tra i generi tradizionali della pittura per dare vita a nuovi mondi, così paesaggi, nature morte e ritratti creano realtà parallele in cui perderci. In occasione della sua mostra da SOLO CSV ci ha raccontato quali sono le influenze e i temi ricorrenti del suo lavoro

Siro Cugusi (Gavoi, 1980), attualmente impegnato anche nella Quadriennale di Roma, reinterpreta i generi tradizionali della pittura – paesaggio, natura morta e ritrattistica – per creare qualcosa di nuovo, mondi alternativi dove tutto sembra possibile grazie ad atmosfere oniriche e una luce evocativa. La sua mostra spagnola Imminence propone una selezione di opere per lo più di grande formato: paesaggi in cui coesistono natura, oggetti quotidiani e simboli ricchi di riferimenti storici. La personale si inserisce nel programma di SOLO CSV, il centro progettato da Juan Herreros all’interno della galleria Bowman Hal, a sua volta parte della galassia di iniziative che costituiscono SOLO, un’istituzione che sostiene e accompagna la pratica degli artisti. “La prima volta che mi è capitato di guardare i lavori di Siro ho immediatamente pensato all’idea di ‘sospendere l’incredulità’, lasciare da parte la logica e avere fede nella poetica”, commenta Rebekah Rhodes, responsabile della ricerca e delle pubblicazioni presso SOLO. “Sembrano riunire insieme elementi classici in scene oniriche, surreali e poetiche. Io credo che il visitatore debba addentrarsi in questi scenari e abitarli, piuttosto che limitarsi a osservarli, e farlo con una mente aperta”. 

Intervista a Siro Cugusi 

Con la sua arte trasforma i generi tradizionali della pittura in scene ibride. Ci racconta questo procedimento? 
Si tratta di un’indagine sulla tensione tra figurazione e astrazione, una sorta di narrazione personale rivisitata che a volte corrisponde alla realtà e a volte no. Un misto di elementi iconografici e figurativi che si fonda sull’idea di mondi e realtà alternative. Cerco di creare una combinazione tra i generi tradizionali: i paesaggi contengono elementi di natura morta e dei corpi umani. Ciò che mi influenza varia continuamente, su tanti livelli: cerco di rispondere a ciò che mi circonda, che risuona in me, dato che la vita interferisce nel mio processo artistico. A volte ci vogliono anni, perché qualcosa rimane dormiente in attesa di essere attivato. Spesso disegno queste idee e le conservo e mi capita di imbattermici nel mio studio. 

Che ruolo ha la storia dell’arte nella sua pratica? 
L’arte antica ha un ruolo significativo, mi ha suggerito il senso di monumentalità nella pittura, mentre i movimenti artistici del ‘900 mi hanno aiutato a trovare modi per descrivere l’inconscio e hanno guidato la mia comprensione dello spazio pittorico. Le opere del Medioevo e del Rinascimento hanno un grande impatto sul mio lavoro: artisti come Giotto e Piero della Francesca sono fonti di ispirazione, se li consideriamo in continuità con quanto accaduto all’inizio del XX secolo. Hanno utilizzato strutture architettoniche per creare un senso di suspense e mistero, dando vita a uno spazio metafisico ed enigmatico, fondamentale per lo sviluppo dello stile di De Chirico e del movimento surrealista, successivamente canalizzato in altre forme d’arte contemporanea come il cinema, come nelle opere di David Lynch, Tarkovskij e Bergman. Cerco di creare un linguaggio che sia qualcosa di simile ai ricordi che appaiono in un sogno: illogici, incompleti e non razionali. La parola Imminence è una sensazione che cerco di trasmettere attraverso i dipinti. 

La natura è protagonista dei suoi dipinti, trasformata da aggiunte che vogliono sorprendere l’osservatore. Le piante e gli alberi richiamano elementi del paesaggio mediterraneo, mentre l’uso della prospettiva si ispira al Rinascimento italiano e all’arte metafisica e surrealista. Dopo anni trascorsi a Parigi e in America ha scelto di tornare a vivere e creare in Sardegna: quale ruolo ha la natura nella sua arte? 
Il giardino è un tema ricorrente nelle mie opere, dove il paesaggio è spesso visto proprio da un giardino, rappresentato con oggetti creati dall’uomo. Michel Foucault ha detto che “Il giardino è il più piccolo frammento del mondo e poi è la totalità del mondo” e io vedo il giardino come un frammento, ma allo stesso tempo come un riflesso del mondo intero, uno spazio segreto, un luogo di creazione, un labirinto e allo stesso tempo la mente dell’artista. Un microcosmo che riflette il mondo esterno. Un luogo di introspezione meditativa dove si può contemplare la bellezza e il mistero, i ricordi e i pensieri. 

Nei suoi quadri la luce della sera crea un senso di atemporalità, che però sembra contrastare con elementi di movimento…
È come se il tempo si fosse momentaneamente fermato e messo in pausa. Suggerisce l’idea che qualcosa stia per succedere, sia imminente o sia già successa, ma non sappiamo cosa e non ci è dato saperlo. 

In generale il contrasto è un elemento ricorrente nelle sue opere, dove un rosa viscerale si mescola con oggetti di metallo, marmo o pietra. L’immobilità dell’attimo sospeso viene compensata dall’erba che si muove, mentre ceramiche rotte suggeriscono violenza o disagio. Cosa rappresentano per lei questi opposti? 
Penso che il mio compito sia trovare un equilibrio tra gli elementi. In un certo senso, gli artisti sono alchimisti e la pittura è una sorta di alchimia, un processo di creazione e trasmutazione dell’opera d’arte in una nuova entità. La pittura si trasforma in immagine, e la pittura e l’immagine si convertono in una terza e nuova cosa. Credo che l’arte si trovi nel mezzo delle cose, una sorta di equilibrio tra opposti. Nel mio lavoro troverete l’artificiale e il naturale, il reale e il surreale, il razionale e l’irrazionale, la staticità e il dinamismo, e così via; forme e texture convergono non per creare un’illusione, ma piuttosto come suggerimento di un’invenzione. 

La tavolozza di verdi e rosa ricorda i nudi rinascimentali, unita a vari simboli cari alla storia dell’arte che rendono le sue opere familiari, ma al tempo stesso contribuiscono a generare confusione nell’osservatore, mescolandosi con elementi come cancellature o colate di colore. Diverse scene presentano una spirale rossa, simbolo del ciclo della vita, la cui forma ricorda gli edifici della civiltà nuragica della Sardegna. Poi, utilizza oggetti come tavoli e vasi per conferire fisicità ai suoi paesaggi: come mai? 
Voglio sentire, non solo vedere. Ciò che mi interessa sono le forme, sono un modo per dare peso. Il colore è secondario, rispetto alla forma. Il cono svasato è un elemento ricorrente, che appare in una serie di formati scultorei, come un’ala di farfalla o un seno stilizzato. Mi chiedo ancora cosa ci sia in questa forma che attira la mia attenzione, ma questi elementi esistono già negli schizzi che facevo da bambino. 

Il suo processo creativo è lungo e si basa su successivi strati di costruzione e rimozione, generando immagini in costante metamorfosi che invitano gli spettatori a scoprirne i molteplici significati. Lei fotografa e torna sulle sue tele per lunghi periodi di tempo… 
È una ricerca costante. Si tratta di perdersi all’interno del dipinto, di cui l’osservatore è parte attiva. Qualsiasi cosa può succedere dentro al dipinto. Penso che l’opera d’arte debba essere abbastanza complessa da offrire nuovi segreti. In una tela tutto è possibile. Forse è un modo per essere liberi. 

Suggerisce ottimismo, con la presenza di fiori e melograni, che sono considerati simboli di fertilità e rinascita? 
Mi piace sempre includere elementi positivi, anche se piccoli, e di solito sono legati alla vita che sboccia. 

Giulia Bianco 

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Giulia Bianco

Giulia Bianco

Ha frequentato a Milano il Master Economia e Management per l'Arte e la Cultura della 24Ore Business School. Laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Catania con tesi dal titolo “I contratti nel mondo dell’arte”, è specializzata in diritto…

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