La forza ecologica dell’arte contemporanea. Intervista all’artista Aviva Rahmani
Arte ed ecologia. Intervista all’artista americana che unisce femminismo, attivismo e rinnovamento ambientale in un’unica pratica di impegno sociale

Aviva Rahmani (New York, 1945) è un’artista che unisce creatività e impegno per il rinnovamento ambientale e culturale. Al centro del suo lavoro c’è l’Aviva Rahmani Eco-Art Project, che include opere come Blued Trees, Ghost Nets, Cities and Oceans of If e Gulf to Gulf, denunciando l’impatto distruttivo dell’uomo sull’ambiente e l’ecocidio, invitando il pubblico a rivalutare il legame con un ambiente fondamentale per la nostra identità culturale.
Chi è Aviva Rahmani
Con una solida formazione artistica e studi ambientali, Rahmani ha sviluppato teorie che sfidano le convenzioni tradizionali. Il suo lavoro unisce la concettualità alla critica culturale, intrecciando narrazioni storiche ed eredità letterarie, collegando il passato ai cambiamenti sociali di oggi, rendendoli simbolo di resilienza e rinnovamento. Abbiamo raccontato la sua pratica in questa intervista.
Intervista ad Aviva Rahmani
Partiamo dall’inizio. Che ruolo possono avere le tue esperienze culturali e paesaggistiche, la tua sensibilità per la natura, l’esplorazione nell’arte performativa e concettuale, nel rinnovamento ambientale?
I miei primi ricordi, legati alla natura e ad una insaziabile curiosità per il mondo, mi hanno spinta verso l’arte performativa e concettuale. Da giovane artista, ho voluto esprimere sia i miei impulsi creativi che le crescenti preoccupazioni ambientali. Queste esperienze hanno posto le basi del mio lavoro, che ho chiamato Trigger point theory as aesthetic activism. Il confronto con fenomeni come deforestazione, inquinamento ed ecocidio, mi ha spinto a creare un’arte che mira a innescare trasformazioni reali nel rapporto tra umanità e ambiente.

I progetti, Blued Trees, Ghost Nets, Cities and Oceans of If e Gulf to Gulf, sono diventati fondamentali in questo ambito. Quale messaggio intendi trasmettere?
Ogni mia opera nasce dalla convinzione che un piccolo gesto possa fare la differenza sull’ambiente. Blued Trees e Ghost Nets evidenziano le gravi conseguenze del collasso degli ecosistemi, mentre Cities and Oceans of If e Gulf to Gulf immaginano un futuro in cui spazi urbani e ambienti naturali convivono in armonia. Insieme, queste opere invitano a riconoscere la nostra responsabilità verso il pianeta, ricordandoci che ogni gesto creativo può contribuire a risanare le ferite del pianeta.
Hai collaborato con personalità di spicco come Judy Chicago, arricchendo il tuo lavoro con una prospettiva femminista.
Il lavoro con Judy Chicago ha rivoluzionato il mio concetto di collaborazione performativa, approfondendo il legame tra femminismo e attivismo ecologico. Tale esperienza ha messo in discussione e superato narrazioni patriarcali e coloniali. L’opera Ablutions, realizzata insieme a Suzanne Lacy e Sandi Orgel nel 1973 sul tema della violenza sessuale, ha ulteriormente rafforzato il mio impegno nel contrastare la colonizzazione del territorio e l’ingiustizia sociale, temi che mi accompagnano fin dai primi giorni del movimento femminista.
La tua arte unisce scienza, saggezza indigena e critica culturale in modo originale. Come si fondono nel tuo processo creativo?
Considero il mondo un sistema complesso e interconnesso. Attingo dalla fisica, dagli studi ambientali e dalle tradizioni indigene per costruire una visione olistica che guida il mio lavoro. Questo approccio mi permette di creare opere rigorose e capaci di suscitare forti emozioni, evidenziando i legami tra salute ecologica, identità culturale e le devastanti conseguenze dell’ecocidio. Una visione che apre spazi di pensiero e azione concreta.
Nonostante il riconoscimento internazionale, il tuo lavoro in Italia rimane ancora poco conosciuto. Hai presentato Trigger Points / Tipping Points alla Biennale di Venezia 2007, ma c’è molto ancora da scoprire.
L’elevata cultura artistica italiana offre il contesto ideale per un dialogo sull’ambiente. Vedo l’opportunità di coinvolgere maggiormente il pubblico, non solo esponendo le mie opere, ma anche stimolando una riflessione profonda sulla sostenibilità e la giustizia ecologica. Questo impegno è essenziale in un’epoca in cui sfide globali, come l’ecocidio, richiedono soluzioni innovative e restaurative.
Nel tuo progetto più recente, Tolstoy & I, reimmagini la letteratura classica attraverso autoritratti a matita blu, realizzati su pagine strappate di una vecchia edizione di Guerra e Pace, appartenuta a tua madre.
Tolstoy & I è un viaggio introspettivo nella mia storia personale e nel mio rapporto con la politica contemporanea. Riutilizzando pagine della tanto amata copia di Guerra e Pace appartenuta a mia madre, mi confronto con la violazione della storia, ossia il modo in cui le forze politiche frammentano la memoria collettiva. L’impiego della matita blu, richiamo al mio progetto Blued Trees, crea un collegamento simbolico tra il mio attivismo ecologico e la riflessione letteraria, invitando a riscoprire narrazioni nascoste e a comprendere come memoria, eredità e realtà politica, siano indissolubilmente legate.
Guardando al futuro, quale messaggio vorresti trasmettere agli artisti emergenti e agli attivisti ambientali di oggi?
Abbracciate la vostra creatività come strumento di trasformazione. L’arte può rivelare la verità al potere, sfidare lo status quo e immaginare futuri alternativi. Invito i giovani artisti a osare, superare i confini disciplinari e usare la propria voce per affrontare le urgenze del nostro tempo. Il nostro pianeta ha bisogno di innovazione, passione e azione decisa: ogni gesto creativo è un passo verso un mondo più sostenibile e giusto.
Antonino La Vela
https://www.avivarahmani.com/biography
Libri consigliati:
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati