I resti di un’opera sono l’incipit di un’altra: l’archeologia contemporanea nel lavoro di Darren Almond
Il ritmo del tempo: linearità vs ciclicità. L’infinita vicissitudine braudeliana raccontata nelle pitture di Almond

Congiuntamente all’intuizione greca per cui la realtà si dipana sub specie aeternitatis, il tempo è matrice imperitura di se stesso. L’uroboro, rappresentando l’energia ciclica del mondo, nelle mani del Canova -tra gli altri- si fa testimone degli immortali valori di chi fu, tracce indelebili sulla linea dello scorrere delle cose.
È secondo tale principio condiviso da Darren Almond, che la sua poiesis artistica indaga il tema del gesto compiuto, ma continuo. Il concetto di fine non è percepito come perimetro dell’essere, ma si apre a un’interpretazione gianica per cui il passato e il futuro sono connessi in un punto di incontro. Questa meditazione sul tempo ha lo stesso peso del binomio assenza/presenza.
L’artista inglese nato nel 1971 ad Appley Bridge, è approdato a Napoli con il suo corpus di opere per la sesta mostra personale presso la galleria Alfonso Artiaco.
‘Songbirds and willows’ abbraccia una serie di lavori che si distinguono in due categorie seppur sostenute da un’unica gentile esortazione di fondo: sfuggire alla natura quantitativo-lineare del tempo per concedere spazio a una dimensione ciclica.
Songbirds, un’eco perpetua
I primi due ambienti della galleria ospitano nuove opere dell’artista, ‘Songbirds’, concepite in seguito agli ‘studio visit’ nello spazio del pittore Lucian Freud. L’attenzione di Almond è stata catturata dai ‘resti’ del lavoro svolto: stracci in cotone ‘sporcati’ dei colori usati per dipingere sono gli strumenti del mestiere che hanno trattenuto le tracce del processo compiuto da Freud. L’osservazione di questo utensile, modellato, accasciato, increspato, disordinato ha generato una costruzione plastica tra le mani di Almond, che fotografa e rinvigorisce con pennellate di pittura opalina.
La traccia dell’archè si rinviene in ogni opera, che si fa testimone della storia precedente: diviene strumento di racconto per l’artista, che qui incarna i caratteri di uno ‘storico contemporaneo’ – dalla radice id del termine historia, che rimanda al vocabolo istor, colui che vede e poi narra.
La trama del suo racconto è un’indagine della forma che trova spazio proprio nell’assenza dell’opera di Freud.
In un’altra location, gli spazi della Cappella Sansevero, altri lavori di Almond appartenenti allo stesso ciclo pittorico, dialogano con il barocco napoletano, nel progetto espositivo ‘RAGS’, sviluppato in collaborazione con la galleria Artiaco.
‘Willow works’, le stagioni infinite della natura
Proseguendo il percorso della mostra si scopre la raccolta intitolata ‘Willow works’, una rappresentazione temporale delle stagioni, della loro caducità e ciclicità. L’uso del colore cambia: in alcune di queste opere le tinte accarezzano le tele più dolcemente, accompagnando il gesto lieve dei rami di salici e uniformandosi cromaticamente a un ideale di leggerezza.. Diverso è l’approccio applicato su altre tele della stessa collezione, dove, dai fondali in oro, rame o palladio, emergono i diversi momenti storici di un salice, dalla primavera con foglie verdi ai rami spogli del periodo freddo. L’accostamento a sfondi in metalli preziosi aiuta l’artista a raccontare il calore estivo, il riverbero della luce del sole, gli splendori notturni, sfruttando le loro prerogative specchianti, come gli scenari opulenti bidimensionali prestati dalla cultura medievale. I motivi geometrici sono, invece, attinti dalla tradizione giapponese: i byobu, letteralmente ‘protezione dal vento’ sono i tipici paraventi pieghevoli che nella struttura artistica proposta da Almond rappresentano concettualmente anche la scansione del tempo.
Da zero a infinito: l’incontro degli opposti
Protagonista dei ‘Willow works’ è la luce che irradia energia dalla tela, nascondendo al contempo un indizio chiave per la lettura della weltanschauung dell’artista.
«Zero è silenzio. Zero è inizio. Zero è rotondo. Il sole è Zero. Zero è bianco […]. Zero è l’occhio. La bocca. […]. Circo nomade. Zero. Zero è silenzio. Zero è inizio. Zero è rotondo. Zero è Zero». Così scriveva Otto Piene nel 1963 per indicare il desiderio di ripartire: nello zero si incontrano l’ars destruens e l’ars construens, le antitesi del non essere e l’essere che si coniugano nel punto nodale, simbolo dell’infinito.
Almond identifica nello zero il senso anti-parmenideo della vita e lo incastona preziosamente tra le pareti dei suoi racconti pittorici.
Elizabeth Germana Arthur
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