
Avete presente vostra zia, amorevole signora sulla sessantina con la risata sempre pronta, che nella vita “le ha viste tutte, ma proprio tutte” e che, in quei pranzi di famiglia in concomitanza delle tradizionali festività, dopo il terzo bicchiere e la quinta portata riparte con l’elenco di esperienze passate di quando era giovane, la più bella ma sfortunata in amore, con una promettente carriera davanti svanita per una scelta che è stata costretta a fare, che ha viaggiato in tutto il mondo ma che alla fine la campagna lombarda ha avuto la meglio, che “mio marito è bravo ma non capisce niente e litighiamo sempre”? Quando si va a trovare la zia, alla fine, si lascia il tavolo del pranzo con una duplice sensazione: divertiti dalle tante risate genuine ma con un’amarezza di fondo, quella del nipotino che guarda da fuori la vita di una persona che non ha propriamente scelto o inseguito un obiettivo, tutto è in un certo senso capitato.
LO SPETTACOLO
Qualcosa di simile accade dopo Stanno tutti male ‒ uno studio collettivo sull’infelicità individuale, spettacolo scritto a sei mani dal cantautore Lorenzo Urciullo in arte Colapesce, dal drammaturgo Riccardo Goretti e dal regista e attore Stefano Cenci: sul palco di Triennale Milano Teatro i tre autori/interpreti allestiscono una sorta di karaoke bar diviso in due parti, la scena e il fuori scena, entrambe sempre visibili. A turno i tre interpreti avanzano verso i microfoni in proscenio per enunciare un monologo, interpretando ogni volta un personaggio diverso: le storie presentate sono frutto di un reale sondaggio durante il quale gli autori hanno chiesto a gente comune di raccontare il proprio malessere. Nonostante le vite rappresentate siano diverse, sono tutte accomunate da quel senso di amarezza e impotenza della zia di cui sopra: in parole molto (forse troppo) semplici e genuine ciascun personaggio racconta le proprie paure e insicurezze, i propri insuccessi, le esperienze di fallimento che contribuiscono a mantenere quell’onnipresente sensazione di stare male. La messa in scena non ha pretese o desideri di aggiungere teatralità a quelle che sembrano a tutti gli effetti normali confessioni al più caro amico, o al diario, fatta eccezione per la presenza costante della musica curata e composta da Colapesce, elemento di accompagnamento che contribuisce a caratterizzare ciascun personaggio. “Abbiamo scelto di tralasciare le storie di grave malessere come le malattie o la perdita di persone care” ‒ spiegano Goretti e Cenci durante il talk successivo alla replica di venerdì 29 novembre ‒ “concentrandoci piuttosto sui racconti più leggeri e che in qualche modo potessero essere resi in modo ironico, perché per noi l’ironia è la chiave della comunicazione. Senza ironia non possiamo capirci”. Di certo la chiave ironica dello spettacolo è emersa dal primo istante, così come l’intenzione di non dare risposte alla domanda perché stanno tutti male?: nel corso del talk infatti i tre autori hanno raccontato alla moderatrice Margherita Devalle che il loro è più un desiderio di fare il ritratto di un’epoca, la nostra, certamente caricaturale ma comunque sincera, senza pretese di aggiungere un commento personale.

IL BISOGNO DI INTIMITÀ
Forse ci è mancato un pochino, durante le quasi due ore di recitazione in musica, un momento di intimità, un istante in cui togliersi le maschere e scendere sotto la superficie di un monologo fatto al microfono del karaoke, per sbirciare da lontano la sensazione sincera dietro alle spassose battute. Raccontarsi senza filtri è di certo complicato: perfino la zia sente il bisogno di costruire il personaggio di sé stessa per sopravvivere al pranzo della domenica! Allo spettacolo del trio Colapesce-Cenci-Goretti sembra non ci sia nulla da aggiungere alla constatazione di partenza, né domande né risposte: stanno tutti male, punto e basta.
‒ Giada Vailati