Al cinema esce il film su Anna Magnani. Intervista a Monica Guerritore, la protagonista
Monica Guerritore ritrova lo sguardo e l’anima di Anna Magnani, in un dialogo che attraversa il tempo. Dalla notte dell’Oscar ai ricordi più privati, l’attrice e regista ne racconta la forza, la fragilità e il coraggio di restare sé stessa, sempre
“Durante le riprese de La Lupa avevo incorniciato una sua foto e spesso mi perdevo a guardarla, cercando una connessione dell’anima che poi ho trovato. La stessa che oggi mi porta a raccontarla nel film che le dedico” e gli occhi della Magnani se li porta addosso, fiera. Guardando Monica Guerritore non possiamo che ritrovarla, se non marcatamente nei tratti, in quello stesso sguardo furente di passione vera, intensa: “Finalmente possiamo tornare a commuoverci per la sua faticosa vicenda umana e riaccendere la luce sul grande gigante che è stata” racconta. Con Anna, la sua opera prima uscita il 6 novembre in tutte le sale italiane, Guerritore omaggia l’indimenticata attrice con cura e consapevolezza, come si fa nel rendere un affetto che ci è caro. Il film si concentra su una sola notte, quella del 21 marzo 1956, quando Magnani vinse l’Oscar per La rosa tatuata, e la immagina per le strade di Roma, tra la sua gente, mentre riaffiorano i ricordi di una vita: la solitudine, la fama, gli amori, da Suso Cecchi D’Amico e Carlo Levi fino a Roberto Rossellini, “un’impronta nel cuore che continua a vivere anche quando il tempo ha cancellato tutto il resto”.
Intervista a Monica Guerritore, protagonista di “Anna”
È un progetto emotivo, il suo, che ha richiesto una lunga gestazione. Che sensazione le dà oggi portarla sul grande schermo?
Tra il sogno e il traguardo interiore. Ogni attrice cresce con il mito della Magnani, ma io l’ho sentita davvero mia dopo La Lupa con Lavia, un ruolo che lei aveva già interpretato. Da allora non mi ha più lasciata. Anna è una guida, una donna che continua a parlare al pubblico con la stessa forza di allora. Con questo film ho voluto restituirle la parola, riportarla in vita non solo come artista ma come persona: raccontarne i dolori, le fragilità e quella forza capace di sostenerla fino alla fine.
Come si è avvicinata al suo mondo privato?
Non volevo fare una biografia tradizionale, ma un racconto immaginario, filtrato dalla mia sensibilità. Ho cercato Anna per suggestioni, per intuizioni, partendo da momenti veri e intrecciando un filo emotivo. Mi ha colpito la notte degli Oscar del ’56: l’attesa, la solitudine, e poi la vittoria che diventa isolamento. L’ho immaginata per le strade di Roma, con i biscotti per i suoi gatti, mentre la gente le grida “Hai vinto tu!”. Da quell’immagine nasce il film, una storia piena della sua presenza, di luce e malinconia.
Anna Magnani, l’Oscar e Rossellini
Dopo l’Oscar, qualcosa in lei cambiò?
Perché ha vinto troppo, e troppo tardi – come diceva lei stessa. L’Oscar è un premio ingombrante, pesante da portare. Anna era un’attrice straordinaria, ma con una vita dura, faticosa. Una professionista autentica, nata dal teatro, che costruiva ogni personaggio con passione e rigore assoluti. Era una borghese, sì, ma profondamente umana. Forse la ferita più grande fu quella inflittale dai critici all’uscita di Mamma Roma: dissero che Pasolini avrebbe dovuto scegliere una “popolana vera” per interpretare Roma Garofolo. Eppure, con lei, quella verità c’era già.
Ha vinto tardi, perché?
Il neorealismo preferiva i volti presi dalla strada, la gente comune – non attrici immense come la Magnani. Il suo trionfo, paradossalmente, la rese più sola. Ma non ha mai smesso di difendere la vita vera, con la passione e la verità che solo il teatro può insegnare.
L’amore per Rossellini attraversa tutto il film. Che rapporto c’era tra loro?
Un amore assoluto, che la ferisce ma non la distrugge. Disse: “Lui ha perso la brocca, io tutto…” Eppure restarono legati per sempre.
Quale scena l’ha toccata in modo particolare?
Proprio quella della sua morte. Mi sono ispirata al fatto reale: accanto ad Anna ci sono Luca, suo figlio, e Rossellini, i due uomini che ha amato di più. È un addio dolce, pieno d’amore e di riconciliazione. Un’immagine che, per me, racchiude tutta la sua vita.
Quando Rossellini la lasciò per Ingrid Bergman fu un dolore immenso.
Eppure, in qualche modo, si sono sempre ritrovati, forse ancora di più nell’assenza, come se fossero legati in un altro modo. Pensa che nell’ultimo mese della sua vita, quando Anna era molto malata e ricoverata in ospedale, Rossellini rimase con lei ogni giorno, senza allontanarsi mai.
Monica Guerritore regista e attrice in “Anna”
In “Anna” è sia attrice che regista, come a chiudere il cerchio.
Le due cose si fondono. Ho lottato tre anni per realizzarlo, e nel frattempo Anna è entrata dentro di me. Ho imparato a muovermi come lei, con le gambe leggermente divaricate, le braccia aperte, quell’energia che le apparteneva. Sul set non recitavo più, ero come lei, una donna che corre con i lupi: selvaggia, autentica, indomabile. Durante le riprese la sentivo accanto, quasi mi guidasse. A volte, di notte, mi sembrava di sentirla parlare, quasi volesse dirmi come voleva essere raccontata.
Ha incontrato più difficoltà di quelle che si immaginava nel portare a termine il film?
Decisamente. Pensavo che la storia di una donna come lei trovasse spazio naturale, invece non è stato così. Ma credo che sarà il pubblico a darle la risposta giusta, perché Anna è del popolo, e la verità arriva sempre.
Chi le è stato a fianco in questo percorso?
Roberto, che mi ha sostenuta con amore e concretezza, e Andrea Purgatori, che ha creduto nel progetto fin dal primo momento. Gli devo tanto: la sua intelligenza e il suo affetto mi hanno dato forza.
Ha curato con grande attenzione anche l’aspetto estetico del personaggio.
Con Diego Avolio abbiamo lavorato sui dettagli: il naso un po’ più marcato, la radice egiziana, il colore intenso, la teatralità del volto. Tutto questo mi appartiene naturalmente, e mi ha aiutata a sentirla ancora più vicina.
Cosa sente di condividere con lei?
L’istinto, la sincerità, la spontaneità. Diceva: “Urlo io perché nessuno lo fa per me!” È una frase che mi rappresenta, il grido di tante donne libere e indomite. Anna era una donna anticonformista, fedele a se stessa in un mondo che chiedeva silenzio. È questa la sua lezione più grande: la libertà.
Nel film si racconta anche il rapporto col figlio. Quanto la tocca personalmente?
Molto. È un legame pieno d’amore ma anche di dolore: “Bisogna morire per averti accanto!” le disse, esprimendo un sentimento di rimprovero potente. Era una donna sola, che lavorava, non sposata. Le sarebbe stato impossibile rinunciare a una parte così importante di sé.
Aveva l’anima divisa in due.
Sensazione che in parte conosco. Anch’io ho dovuto bilanciare maternità e lavoro. Ma so, come lei, che i figli crescendo sanno comprendere e anche perdonare certe mancanze.
Vi accomuna anche il teatro, dove avete imparato molto.
Che il carattere, la passione e il calore sono essenziali per dare vita a ogni personaggio. Un attore deve saper rompere la quarta parete, il nostro compito è difendere la verità della vita, lontano dalle banalità. Anna conquistò Hollywood proprio per l’autenticità e la forza scenica che la rendevano unica. Rossellini disse che aveva restituito all’Italia la sua immagine e la sua dignità, e aveva ragione. Per questo sento il dovere di ricordarla e di farla rivivere, in modo un po’ magico, nel cuore di tutti.
E sul palcoscenico tornerà a breve con un nuovo spettacolo, ci anticipa qualcosa?
Si chiama La sera della prima ed è un viaggio dentro cinquant’anni di teatro, tra emozioni, paure e risate del dietro le quinte. Ripercorro i miei personaggi più amati, dagli inizi con Strehler ne Il giardino dei ciliegi ai grandi ruoli femminili che mi hanno accompagnata, come Madame Bovary e Giovanna D’Arco. È, in fondo, una dichiarazione d’amore al teatro e alla libertà di mettersi in gioco ogni volta come fosse la prima. In scena con me ci sarà Nicolò Giacalone, e debutteremo al Politeama Pratese il 15 e 16 novembre, inaugurando la nuova stagione di prosa.
Ginevra Barbetti
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