The Last of Us, la seconda stagione: l’apocalisse non basta a renderci più buoni

Su Sky e in streaming su Now è in corso la seconda stagione dell’adattamento del videogame cult targato Naughty Dog: una fenomenologia di un’umanità spezzata dai mostri fuori e dentro di noi

Non c’è spazio per la misericordia dopo la fine del mondo. E tu, chi sceglieresti di essere se tutto andasse in pezzi? In The Last of Us, videogioco che ha venduto oltre 37 milioni di copie in tutto il mondo, puoi essere Sarah, che si sveglia nel cuore della notte senza sapere che il suo mondo sta per essere divorato da un’infezione fungina che trasforma i contagiati in famelici assassini. Puoi essere Joel, uno spregiudicato contrabbandiere svuotato dal lutto della figlia, che sceglie di salvare un affetto al posto della specie. Puoi essere Ellie, una persona non binaria forte, ostile, nata nel sangue e senza amore, cresciuta tra duri addestramenti e imposizioni, ma immune al fungo Cordyceps che ha decimato il mondo. Puoi anche essere Abby, una superdonna che dopo aver perso tutto si fa strumento di vendetta, più letale degli infetti.

Non è semplice trasporre un videogame: il successo di  The Last of Us

L’omonima serie HBO co-creata da Neil Druckmann, autore del gioco originale, e Craig Mazin (Chernobyl) ha debuttato nel 2023 con più di 40 milioni di spettatori solo negli Stati Uniti, attirando i consensi sia della severa fanbase sia del nuovo pubblico.“The Last of Us parla di quanto le persone riescano ad espandere la propria umanità”, spiega Druckmann. Il risultato? Un manuale di sopravvivenza e autodistruzione, un’Odissea senza Itaca, senza eroi. Un’istantanea di chi resta, che scruta nell’abisso e rischia di precipitare.

Nonostante il cambio di medium e l’inevitabile distaccamento del punto di vista, da giocatore a spettatore, la storia continua a vibrare, anche senza joystick. Le emozioni restano interattive, non nel gesto, ma nell’intensità con cui il pubblico le riceve e attraversa: si entra nei personaggi, uno dopo l’altro, sentendo il peso delle loro scelte, delle colpe, delle paure. E non sono gli infetti a far paura, ma ciò che resta di umano: il bisogno di amare e di essere amati, di perdonare ed essere perdonati.

The Last of Us 2
The Last of Us 2

I protagonisti di The Last of Us: Joel ed Ellie, Ellie e Dina

In un mondo costantemente polarizzato, Pedro Pascal mette d’accordo tutti. È lui Joel, il personaggio più amato della serie: un antieroe spietato, ma che va in terapia. Ha lo sguardo rassicurante di un padre iperprotettivo, ma in tasca ha una pistola fumante. La sua è una mascolinità ipnotica, morbida, goffa, inconsapevole, lontana dagli standard. Rispetto alla controparte videoludica, Pascal aggiunge nuove sfumature di vulnerabilità, rendendo Joel più umano e tridimensionale, soprattutto nella dinamica con Ellie, interpretata da Bella Ramsey. Due analfabeti emotivi che si scelgono senza parole, che si vogliono bene per sottrazione. A tenere insieme i loro silenzi è una chitarra, una canzone – Future Days dei Pearl Jam – e quella frase che pesa come un presagio: “If I were to lose you, I’d surely lose myself”. E accanto a loro, Dina – interpretata da Isabela Merced – emerge come una presenza altrettanto potente: compagna e ancora emotiva di Ellie, con cui condivide una fragile intimità in un mondo che lascia poco spazio all’amore. La loro relazione non è solo rifugio, ma anche tensione e promessa, destinata a essere messa alla prova dalla spirale di vendetta che incombe.

L’ambientazione della seconda stagione di The Last of Us

John Paino (Big Little Lies, The Morning Show), production designer della serie e candidato a tre Emmy, ha spiegato come ogni ambiente sia stato costruito con l’intento di evocare un realismo emotivo: ogni dettaglio è frutto di ricerca e ricostruzione fedele del videogame. Ogni luogo doveva apparire sia vissuto che abbandonato, con la natura che dominava senza mai prevalere completamente: l’impronta dell’umanità affiora in ogni rovina. L’ambiente, così, diventa un narratore silenzioso, capace di trasmettere emozioni e memoria, senza dialogo. La seconda stagione amplifica questa estetica, esplorando nuove comunità e territori con lo stesso rigore visivo, mantenendo l’equilibrio tra la fedeltà al videogioco e le possibilità offerte dal linguaggio televisivo.

Noemi Palmieri

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