Rileggere la Torre Branca di Milano nelle foto di Francesco Jodice. La mostra alla Galleria Frittelli Rizzo
È curiosa la nuova mostra di Francesco Jodice alla Galleria Frittelli-Rizzo a Milano: una rassegna dedicata alla Torre Branca e ad “altri luoghi comuni” che intreccia architettura, fotografia e storia
“Non si può superare il divino con l’umano”, diceva Benito Mussolini nel 1932 e, nel 1933, si inaugura al Parco Sempione la Torre Branca, progettata da Giò Ponti, in modo che dialoghi con la Madonnina del Duomo, ma che non la superi in altezza. Così vuole la tradizione. Francesco Jodice (Napoli, 1967), presenta nella sede milanese della Galleria Frittelli-Rizzo, aperta a settembre scorso, un progetto attorno a questo monumento, simbolo della città.
La Torre Branca, simbolo di una città che sale
Jodice fotografa la Torre Branca in vari tempi e ripercorre la storia non solo di questa architettura, ma anche del suo “aereo movimento” tra presente e passato. Molti ricordiamo la salita in ascensore tra i piloni di ferro, intervallati dal vuoto, che ci faceva provare l’esperienza di un volo. Chiusa per anni, ha comunque mantenuto il significato di prototipo dello sviluppo industriale e, alzandosi in cielo, diventa un orientamento geografico, culturale. Evoca la città che sale, non solo con Boccioni, ma anche con l’urbanistica e l’edilizia di Milano.
Francesco Jodice e la “sua” Torre Branca
Francesco Jodice propone una ricerca in cui architettura, fotografia, tecnica e sviluppo scientifico, si sovrappongono e al contempo indicano percorsi autonomi. In questa combinazione di arte, storia, tecnologia ritrovo le parole di Carlo Rovelli: “La relatività speciale ha scoperto che nella struttura temporale dell’universo l’insieme di eventi non è né passato, né futuro, come nelle nostre parentele ci sono esseri che non sono né nostri discendenti, né ascendenti” (L’ordine del tempo, 2017). Jodice, infatti, con visioni concrete, cioè le foto che riprogetta, quelle che scatta oggi, il modello autentico realizzato da Giò Ponti, traccia una sequenza di parentele tra passato e presente che alternano immagini, didascalie, memoria soggettiva e collettiva. È sempre quello che scopriamo nell’arte e che oggi è spontaneo abbinare alla scienza e agli strumenti che ha fornito a cominciare dal computer (già previsto da Turing), all’iPhone che poco più di 20 anni ha modificato il sentimento fotografico, fino all’intelligenza artificiale che spaventa e attrae. Tutti elementi che Francesco Jodice collega al suo modo di abitare e osservare, di progettare e costruire.
Ritrae quattro volte la cupola della torre: nelle pareti sotto le vetrate inserisce stampatello nuovi titoli e completa la foto con didascalie che sono effettivi racconti.
Eccoli: TORRE BRANCA MENTA, “brrrr Branca Menta”. MILANO CALIBRO NOVE, è il titolo del film di Fernando Di Leo e sotto la foto trascrive alcuni dialoghi dei personaggi: cinema e fotografia si parlano. NATA DI MARZO, è il film di Nicola Pietrangeli che correda con dialoghi che lo hanno colpito. TORRE LITTORIA, e qui troviamo la frase di Mussolini, Non si può superare il divino con l’umano. Diventa anche testimonianza dell’adesione al fascismo da parte di Terragni, dello stesso Giò Ponti e di molti artisti, a cominciare da Sironi.
La Torre Branca e la misura della libertà
Il parco e la Torre che oggi Francesco Jodice fotografa “dal vero”, è una grande panoramica dove si avverte la temperatura della luce, e già questo è un “punctum che ferisce e ghermisce” (Roland Barthes, La Camera Chiara). Colpisce senza preavviso, come avviene quando uscendo dalla Triennale guardiamo verso la Torre. Ma il “mio” punctum è l’escoriazione su un tronco in alto a destra, come se fosse stato strappato un ramo: immediatamente penso a Giorgio Gaber. “La libertà non è star sopra un albero, la libertà è partecipazione”.
Francesca Pasini
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