Nuova formula al Premio Lissone che dice stop alla competizione
Tre selezionatori, sei vincitori ex aequo: il rinnovato meccanismo dello storico riconoscimento porta al Mac tre doppie personali, per delineare un panorama “a campione” della scena contemporanea
Torna con una nuova formula l’ormai classico Premio Lissone, al Museo d’Arte Contemporanea della cittadina lombarda: tre curatori in veste di selezionatori, sei artisti, tre doppie personali e nessun vincitore. O meglio sei vincitori ex aequo, dato che la dotazione economica del riconoscimento viene divisa equamente tra gli invitati. La nuova modalità di svolgimento stempera dunque la competizione per esplicita volontà di Stefano Raimondi, direttore del museo e uno dei tre selezionatori. La sua scelta guarda alla scena internazionale con Ariel Schlesinger (Gerusalemme, 1980) e Landon Metz (Phoenix, 1985), entrambi astrattisti sui generis e, tra i sei artisti, quelli più direttamente legati all’eredità delle Neoavanguardie. Schlesinger mette in discussione la forma canonica del quadro, ricorrendo a perfettamente calibrate bruciature che fanno del dipinto un paradossale oggetto sospeso tra bidimensionalità e tridimensionalità. Le sue installazioni costituiscono poi interventi minimi ma in qualche modo “violenti” sullo spazio espositivo. Nei dipinti di Metz, invece, la forma assoluta tipica di certo astrattismo novecentesco diventa relativa, liquida e vagamente corporea: sulle sue tele campeggiano ombre di una forma potenziale anziché forme conclamate.

Onirismo e questioni esistenziali al Premio Lissone 2025
Di tutt’altro tenore la doppia personale dei due artisti scelti da Hanne Mugaas. Nelle sale da lei curate si viaggia tra atmosfere oniriche, sottocultura giovanile, trasfigurazione di generi come l’illustrazione. Delle tre mostre, questa è sicuramente quella più intonata con la generale tendenza della giovane pittura. I corpi raffigurati da Cecilia Granara (Jeddah, 1991) sono ibridi potenziati, in metamorfosi, quasi mistici. La sua ricerca sulla forma, memore di spunti che furono della Transavanguardia, coincide con l’atto stesso di delineare la figura umana, aliena ma anche compenetrata con lo spazio che la contiene. Giuliana Rosso (Chivasso, 1992) adotta invece un approccio decisamente alternativo, quasi “punk”, che descrive stati d’animo postadolescenziali come simbolo di più generali questioni esistenziali. I tratti marcati e antigraziosi della sua pittura trovano una misura inaspettata.

Scompaginare i canoni al MAC di Lissone
La doppia mostra che deriva dalla selezione di Lorenzo Balbi è, infine, quella che più gioca a scompaginare i canoni, a mettere in discussione le categorie di alto e basso, di raffinato e di kitsch. Valerio Nicolai (Gorizia, 1988) espande e parodizza il linguaggio pittorico, proponendo un unico quadro di grande perizia e due installazioni stranianti, anch’esse descritte in didascalia come olio su tela in quanto dipinte a mano: un “divano parlante” e una serie di portafogli allineati sul pavimento. Viola Leddi (Milano, 1993), invece, sorprende perché utilizza come soggetti le classiche “buone cose di pessimo gusto” e riesce a trasformarle in spunti poetici dotati di un’eleganza sui generis. Le sue visioni descrivono allo stesso tempo la quotidianità e la dimensione intima/psicologica, mentre il linguaggio si assesta su un punto ibrido tra figura e astrazione.
Stefano Castelli
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