Ian J Brown – Illusion of the Interior
La ricerca di Ian J Brown prende forma a partire da una rilettura in chiave contemporanea dei Teatrini di Lucio Fontana, attraverso l’impiego di cornici sagomate che accentuano la profondità spaziale e attivano un dialogo dinamico tra pittura, scultura e architettura.
Comunicato stampa
EGO Projects è lieta di annunciare Illusion of the Interior, la prima mostra personale in Italia dell’artista britannico Ian J Brown (Londra, 1980), a cura di Filippo Zagarese, che inaugurerà il 27 Novembre 2025 a Milano.
La ricerca di Ian J Brown prende forma a partire da una rilettura in chiave contemporanea dei Teatrini di Lucio Fontana, attraverso l’impiego di cornici sagomate che accentuano la profondità spaziale e attivano un dialogo dinamico tra pittura, scultura e architettura. Queste soglie diventano dispositivi visivi capaci di trasformare la superficie pittorica in un palcoscenico in cui si intrecciano dimensioni interiori ed esteriori, psicologiche e sociali.
A partire dagli anni Sessanta e Settanta, in seguito alle rivoluzioni sessuali e femministe, la riflessione sul corpo, sul desiderio e sull’iden¬tità conosce una svolta decisiva. Negli anni Novanta, con Gender Trouble (1990), testo cardine della teoria queer, la filosofa statunitense Judith Butler introduce una concezione destinata a trasformare radicalmente il pensiero contemporaneo: il genere non è un’essenza stabile, ma un atto performativo, continuamente costruito e negoziato attraverso gesti, linguaggi e relazioni sociali.
È in questo orizzonte teorico che si inscrive il lavoro di Ian J Brown, profondamente in dialogo con il pensiero butleriano. Le sue opere si configurano come autentici palcoscenici della performatività: spazi in cui l’identità non è mai fissata, ma costantemente rimessa in discussione. Brown costruisce micro-teatri in cui il soggetto queer si muove tra desiderio e dubbio, visibilità e invisibilità, luce e ombra: le stesse polarità che Butler identifica come luoghi di tensione e possibilità del sé.
In questo contesto, la pennellata stessa si fa gesto performativo: immediata, fisica, tesa tra controllo e impulso. Il segno pittorico manife¬sta le tensioni tra rivelazione e occultamento, radicando le riflessioni sull’identità nella materialità del dipinto. I lavori incastonati nei Teatrini, con le loro composizioni stratificate e le intricate relazioni tra forme, restituiscono la complessità dell’e¬sperienza queer. Occupano uno spazio di continua oscillazione tra timore e liberazione, segretezza e disvelamento, mettendo in scena l’instabilità del sé e la sua costante ridefinizione in dialogo con il contesto, lo spazio e lo sguardo altrui.
L’indagine di Brown, tuttavia, non si limita alla sfera dell’identità: si inserisce anche in una più ampia riflessione sulla rappresentazione e lo spettacolo, evocando le analisi di Guy Debord ne La società dello spettacolo (1967). Così come Debord denunciava la sostituzione dell’esperienza diretta con la sua rappresentazione, in una società che privilegia l’apparire rispetto all’essere, anche Brown esplora la perdita di autenticità nella cultura contemporanea, dove l’identità rischia di ridursi a pura immagine da consumare.
Nei suoi Teatrini, l’artista sovverte questa logica: lo spettatore non è più un osservatore passivo, ma diventa parte attiva di un’esperienza viva, in cui la rappresentazione si fa presenza. Le piccole architetture pittoriche si trasformano così in spazi di intimità e riflessione: non seducono, ma interrogano. Perché l’arte, come ci ricorda Brown, non offre risposte, ma genera domande. Invita a superare la superficie.
In queste opere, forme scultoree, oggetti e figure non sono mai fissi: esprimono invece la malleabilità dell’identità, la continua trasforma¬zione dei desideri, delle storie e delle espressioni del sé. Il teatro diventa metafora del divenire queer, un luogo di esplorazione e speri¬mentazione, in cui il soggetto si costruisce performando, provando, giocando con le maschere che la società impone. Le aree illuminate evocano il desiderio di essere visti, mentre le zone d’ombra custodiscono la vulnerabilità e il bisogno di protezione.
Nello spazio espositivo, morbide tende rosa avvolgono le pareti, trasformando la galleria in un ambiente teatrale e intimo. I dipinti sem¬brano fluttuare su questa pelle di tessuto, sospesi tra occultamento e rivelazione. Questo gesto estende l’esplorazione del palcoscenico e della superficie, la tenda diventa sia confine che soglia, facendo eco alla nozione di Butler dell’identità come illusione recitata piuttosto che verità interiore. All’interno di questa delicata architettura, lo spettatore si muove attraverso strati di esposizione e travestimento, dove il sé, come l’immagine, non viene mai completamente svelato.
In conclusione, il Teatrino non è solo una scena pittorica: è un atto politico e poetico. È la materializzazione di ciò che Butler chiama Gender Trouble: il disordine fertile del genere, la possibilità di reinventarsi oltre ogni norma e categoria imposta.
Filippo Zagarese
Ian J Brown
La ricerca di Ian J Brown prende forma a partire da una rilettura in chiave contemporanea dei Teatrini di Lucio Fontana, attraverso l’impiego di cornici sagomate che accentuano la profondità spaziale e attivano un dialogo dinamico tra pittura, scultura e architettura. Queste soglie diventano dispositivi visivi capaci di trasformare la superficie pittorica in un palcoscenico in cui si intrecciano dimensioni interiori ed esteriori, psicologiche e sociali.
I suoi teatrini attraverso una lente queer
Biografia
Ian J Brown nasce a Londra nel 1980. Si è laureato alla Winchester School of Art e ha conseguito un master al Chelsea College of Art.
Tra le mostre selezionate figurano: Midnight Shadows alla Castor Gallery di Londra; Holding Hands alla Union Gallery di Londra; Costermongering alla Belmacz a Londra; Inspired by Soane al Sir John Soane’s Museum di Londra; My Own Private Idaho alla Chalton Gallery a Londra; The Perfect Nude alla Charlie Smith Gallery di Londra; Fringe MK Painting Award, Milton Keynes, Quo Vadis a Londra; Invasions of Piquancy alla Kenny Schachter Rove Gallery a Londra e molte altre.
Collezioni: Deji Art Museum (Nanjing, Cina)
EGO Projects è uno spazio espositivo artisticamente diretto da Filippo Zagarese e situato nel
cuore di Milano, nato dalla collaborazione tra studenti dell’Accademia di Architettura di Mendrisio. Lo spazio si propone come punto di incontro e scambio di idee tra arte, architettura e pensiero critico, promuovendo il lavoro di artisti emergenti e talenti internazionali. Con una
visione che supera la conservazione dell’arte tradizionale, EGO Projects promuove la cultura visi- va offrendo spunti critici per la lettura del contemporaneo.
Filippo Zagarese è un architetto ed exhibition designer italiano con base a Milano. Ha conseguito un Bachelor of Science e un Master of Science in Architettura presso l’Accademia di Architettura di Mendrisio in Svizzera, con un focus sulla Storia e la Teoria dell’Arte e dell’Architettura. La sua pratica si muove tra architettura, allestimento espositivo e progetti curatoriali, esplorando l’intersezione tra spazio, narrazione e cultura visiva.
Zagarese ha lavorato come architetto presso Studio Lausanne in Svizzera e Ambra Piccin a
Cortina d’Ampezzo, e ha svolto tirocini presso Clavien&Associes a Ginevra e Krill a Rotterdam. Nell’ambito artistico, ha collaborato con la Mucciaccia Gallery a Roma come catalogatore e exhibition designer, contribuendo alla progettazione e all’allestimento di mostre di arte contemporanea.
La sua formazione multidisciplinare è arricchita da workshop e seminari su Arti Visive, Museologia e Scenografia, tra cui collaborazioni con Régis Michel (curatore del Museo Louvre) e Boris Hars-Tschachotin (regista). Zagarese combina abilità tecniche e un approccio concettuale, creando esperienze spaziali che dialogano con le dimensioni materiali e immateriali della cultura contemporanea.