Peter Ydeen – Waiting for Palms
“Waiting for Palms” è una serie di fotografie di paesaggi urbani scattate in Marocco ed Egitto, che esplorano i punti in cui le tracce silenziose della tradizione si intersecano con la turbolenza dell’espansione moderna.
Comunicato stampa
La AOC F58 Galleria Bruno Lisi è lieta di presentare “Waiting for Palms” di Peter Ydeen a cura di Camilla Boemio.
“Waiting for Palms” è una serie di fotografie di paesaggi urbani scattate in Marocco ed Egitto, che esplorano i punti in cui le tracce silenziose della tradizione si intersecano con la turbolenza dell'espansione moderna. Le immagini si soffermano sulla quotidianità, ambientate in paesaggi monumentali e costruite da un'accumulazione di piccoli momenti non eroici. Insieme, formano un arazzo di mondi immediati ed enigmatici, intimi eppure sempre sfuggenti, creando un'esperienza di perpetua interpretazione.
Scattate tra il 2016 il 2017 a Essaouira, nella zona di Tafilalet, a Fez in Marocco e dal Cairo ad Assuan in Egitto, le immagini catturano un mondo senza tempo con colori tenui, luci suggestive, geometrie delicate e il ritratto di un popolo riflessivo. È un reportage fotografico che intende mostrare il calore e la dolcezza di una regione spesso misteriosa.
Questa serie è una sofisticata fotografia di viaggio costruita sulla base dell’approccio dell’autore al paesaggio urbano. Le persone in queste fotografie sono parte integrante del paesaggio stesso, piuttosto che essere ritratti in modi e contesti tradizionali. Il tema centrale esplora come i paesaggi riflettano le gestalt delle comunità che li abitano, ne è l’emblema la fotografia che dà il nome al titolo, che ritrae una donna completamente coperta, in piedi accanto a un murale di palme.
In questa serie è presente una vena sotterranea che riguarda "l'etica della visione". La serie include alcuni scatti influenti: "A Mother, a Baby and a Tree" la fotografia più nota della serie, "Waiting for Palms", che dà il titolo alla serie, "Exhale" che rappresenta il lato egiziano e la foto più pubblicata dalle riviste e dal web.
“Waiting for Palms” è l'unica serie realizzata da Ydeen che includa costantemente le persone, sebbene tutti i suoi paesaggi urbani in definitiva riguardino le persone, raccontate attraverso i loro ambienti costruiti. In questa serie, esse appaiono spesso in scala ridotta, raffigurate come parti del paesaggio, elementi imprescindibili che riescono ad evocare una profonda lettura del tessuto sociale, storico e urbano. Nell’intervista a The Dreaming Machine mi conferma che “sia unica tra le sue diverse serie nella quale le persone fungono effettivamente da elementi funzionali di scena, come i bambini che tornano a casa da scuola, dove non si tratta affatto di un ritratto, ma di un giocoso raggruppamento che si sposa completamente con i vecchi edifici in pietra e il paesaggio roccioso, diventando un unico pensiero coerente. “Toy Story” è una fotografia simile di Assuan, in cui le due donne vestite in modo tradizionale non sono ritratte in modo statico, ma creano un forte dialogo con i moderni giocattoli di plastica nei negozi, creando una singolare affermazione di come la tradizione interagisca con la modernità.”
Il suo approccio alla discussione della serie, e nella pubblicazione del catalogo di prossima uscita negli Stati Uniti, si è arricchita attraverso lo studio di diversi teorici e delle loro pubblicazioni, che sono diventate di riferimento nella realizzazione, tra i quali: il critico di orientalismo Edward Said e la sua argomentazione sulla creazione dei parametri della rappresentazione e degli stereotipi creati dall'occidente; Debra Kapchan nella sua Moroccan Poetry Anthology: Poetic Justice, per come affronta la traduzione e il ruolo della fotografia; arrivando a toccare i problemi della traduzione esposti da Susan Sontag con il suo invito ad andare oltre i limiti.
L’allestimento nella galleria è studiato appositamente ed è in dialogo con lo spazio, presentando stampe di formati diversi, cartine geografiche che accompagnano la visita suddividendo la serie nei luoghi visitati nelle due nazioni; spezzano la narrazione tre fotografie doppie appese al soffitto che creano un maggiore impatto estetico ed un racconto in movimento.
Secondo Boemio: “L'estetica del filone della fotografia documentaristica diviene popolare negli anni '90, soprattutto con soggetti paesaggistici e architettonici. I soggetti di queste fotografie, che spaziavano attraverso una serie di luoghi costruiti, architettonici, archeologici industriali, ecologici e del tempo libero, erano vicini ad essere l'arte perfetta e autoreferenziale per gli imponenti edifici, spesso convertiti da magazzini e fabbriche industriali, in cui ora veniva esposta l'arte contemporanea. Le fotografie documentaristiche, ricche di informazioni visive e con una presenza imponente, si prestavano bene alla nuova sede privilegiata della galleria come luogo per scoprire la fotografia. Il Festival di Arles non era ancora un luogo nel quale “la cultura mangia la cultura”*, ma aveva il primato di essere un contesto inclusivo dove sono avvenuti scambi fondamentali tra i fotografi, sono cresciuti gli appassionati e il mondo della cultura non ostentava, ma anzi si proiettava in un contesto di ricerca.
Anche dall’altra parte dell’oceano c’era un mondo da fotografare; Peter è riuscito a raccontarne l’anima dei luoghi con rigore e poesia. Storie sommerse di quella America, che amiamo. Che siano siti archeologici industriali del nord-est o la sua città natale ritratta di notte o la maestosità dei canyon in Utah; ogni sua immagine è una realizzazione perfetta nella quale convergono l’attenzione del luogo, la storia urbana, il paesaggio, con un approccio narrativo che collega passato e presente. Sono racconti nel racconto che svelano l’animo del fotografo; un cercatore errante, un poeta sedotto dall’immagine che evoca lirismo.
Questo suo bagaglio intenso, il suo rigore, sono trasferiti nella realizzazione di “Waiting for Palms”. In qualche modo questa serie sviluppa un approccio simile al documentario di Pier Paolo Pasolini “Appunti per un’Orestiade africana”, descrivendo il continente mai in modo convenzionale (come riteneva Moravia), mai pittoresco; anzi attuando un’osmosi, uno stato di grazia nel quale l’autore diventa uno spettatore silenzioso ma partecipe, in grado di raccontare i luoghi con lirismo e originalità”
*Riferimento all’articolo: E. Ratto, Ad Arles qualcosa è andato storto, Rivista Studio, 12 agosto 2025.
Peter Ydeen è un fotografo che vive a Easton, in Pennsylvania. Lavora a New York e cattura magistralmente paesaggi urbani con uno sguardo poetico e visionario. Negli ultimi anni Peter si è concentrato sulla fotografia, dove può mettere a frutto i molti anni trascorsi imparando ad assimilare e a osservare. La sua formazione è profondamente legata all’arte; ha frequentato la Skowhegan School dedicandosi alla pittura e alla scultura, seguendo corsi tenuti da Judy Pfaff, Francesco Clemente, Martha Diamond e William Wegman.
Quest’anno alla Biennale Architettura di Venezia sono stati esposti i suoi plastici alla mostra ACROS Fukuoka Prefectural International Hall di Emilio Ambasz & Associates. La sua collaborazione con l’architetto Emilio Ambasz è di lungo corso.
Ha esposto in numerose mostre personali e collettive negli Stati Uniti e in Europa, tra le quali ricordiamo: alla LACDA a Los Angeles; Black Box Gallery a Portland, nell’Oregon; a Lancashire in Inghilterra; al Littlefield Performance Center di Brooklyn, a New York; al Copenhagen Photo Festival; al Susquehanna Art Museum di Harrisburg in Pennsylvania; nel 2021 ha avuto la sua prima personale romana “Easton Nights” curata da Camilla Boemio alla AOC F58 Galleria Bruno Lisi; ha partecipato ai Trieste Photo Days nella cornice di eventi fotografici che si svolgono fuori città nel contesto URBAN Photo Awards 2023 all’aeroporto di Trieste; nell’estate del 2024 ha esposto in una doppia personale al TRYST a Los Angeles con la curatela di AAC Platform.
Camilla Boemio è una scrittrice d'arte, curatrice di ricerca la cui pratica indaga l'estetica contemporanea. Osserva il ruolo svolto dall'attivismo politico e dalle forme di socializzazione influenzate dai media e dall'immagine in movimento; è associata all'AICA (International Art Critics) e all’IKT. Con questa mostra la curatrice celebra il suo ritorno alla fotografia, dopo avere curato negli anni varie mostre di ricerca sulla fotografia in gallerie romane, tenuto interventi per il noto festival britannico FORMAT al museo Quad di Derby e curato Gianpaolo Arena My Vietnam per la XIII edizione di FOTOGRAFIA, Festival Internazionale di Roma, al MACRO Museo D’Arte Contemporanea Roma dedicata al ritratto (2014) e la personale di Antonio Palmieri “TEN YEARS: BSR People 14-24” alla British School at Rome (2024).