Un logo per il nuovo partito a sinistra del PD. Oliviero Toscani lo disegna, ma fa flop

Scelgono un grande creativo per farsi disegnare il logo. Ma lo scaricano. Il simbolo pensato da Oliviero Toscani per il nuovo partito di sinistra non piace. Ricorderebbe troppo il nome di un personaggio ingombrante… 

Acque agitate a sinistra. Il Partito Democratico arranca, dopo una serie di disfatte, un discreto disorientamento e – sul fronte opposto – l’avanzata fiera del centrodestra, che lavora per fare squadra (col redivivo Berlusconi, ormai in odore di immortalità), e la tenuta salda del M5S, primo partito d’Italia nonostante i molti fallimenti amministrativi. Intanto, tra la clamorosa sconfitta del referendum del 5 dicembre – il più sonoro autogol politico di Matteo Renzi – e la batosta presa alle regionali in Sicilia, i dem hanno subito anche la famosa diaspora. Un gruppetto di dirigenti, riconducibili all’archiviata “ditta” e in aperto contrasto col segretario rottamatore, hanno preso il largo molti mesi fa: da Bersani a D’Alema, da Roberto Speranza a Alfredo D’Attorre, riuniti sotto la sigla di un piccolo partito, battezzato MDP.
A pochi mesi dal voto nazionale, fatta la legge elettorale, le manovre e le strategie entrano nel vivo. Ed ecco la compagine dei transfughi organizzarsi per il futuro assetto. Dovrebbe nascere un contenitore nuovo di zecca, che a suo interno riunisca  MDP, il movimento di Civati (Possibile) e Sinistra Italiana di Fratoianni, e che pottenne trovare – in teoria, forse, ma anche no – un accordo con quel “Campo Progressista” a cui lavora da mesi l’ex sindaco di Milano Giuiano Pisapia, sostenuto da Verdi, Radicali, prodiani, democratici di minoranza come Gianni Cuperlo e da una Presidente della Camera Laura Boldrini acclamatissima all’assemblea programmatica di oggi, 12 novembre. Tutti, intanto, puntano a coinvolgere il Presidente del Senato Pietro Grasso, separatosi dal PD in questo primo scorcio infuocato di novembre, sulla scia del voto siciliano.
Prove tecniche di rifondazione a sinistra, sognando una lista unica, provando a gestire attriti e divisioni, e interrogandosi sulla questione nodale: col PD che si fa? Appoggio o netta chiusura?

Bersani e Pisapia, ph. Avvenire

Bersani e Pisapia, ph. Avvenire

MANCA IL NOME. LA BOCCIATURA DI TOSCANI

Ma come si chiamerà il nuovo partito che dovrebbe nascere dal nucleo attuale di MDP? E qui si apre il primo psicodramma, che vede in scena un protagonista straordinario, arrivato non dalla politica ma dal mondo della creatività e della comunicazione. A disegnare il logo della nascente “cosa rossa” è stato – dietro un incarico di qualche mese fa – nientemeno che Oliviero Toscani. Vicino sentimentalmente e politicamente a quell’area e dunque ben felice di dare un contributo (gratis, per puro “impegno civile”). Peccato che, durante la presentazione via Skype del progetto, la reazione non sia stata tra le più liete.
La casa della sinistra-sinistra di domani, lui, voleva chiamarla MAX. E aveva disegnato un simbolo grafico secco, sintetico, squillante, massiccio, dal taglio assai pubblicitario o televisivo, lontano dai classici simboli romantici di partito (falce e martello, garofano, ulivo, asinello…) ma anche da un certo minimalismo imperante o dal gusto progressista made in USA in stile Obama.

Max, il logo disegnato da Oliviero Toscani per il nuovo partito di sinistra

Max, il logo disegnato da Oliviero Toscani per il nuovo partito di sinistra

Toscani spalma le tre lettere cubitali su un cerchio convesso, arrotondandole, e le trasforma in un brand sfacciato, senza fronzoli. Sta tutto nel nome. Max come “massimo”: dare il massimo, fare il massimo, scommettere su un’idea e spingerla… Al massimo, per l’appunto. Questo il concept. E poi, ha spiegato con convinzione, “suona bene”. Il colore? Manco a dirlo, un rosso lacca che più rosso non si può. Perché la tradizione, per un progetto di questo tenore, resta un riferimento essenziale: le radici solide su cui ricostruire un mondo, tra nostalgia e progressismo, rigore purista e sperimentazione. Almeno a parole.

LO SPETTRO DI D’ALEMA

E però, MAX, è inevitabilmente anche qualcos’altro. “Lìder maximo”, ad esempio. E il pensiero non va certo a Che Guevara. Come non legarlo alla figura imponente di Massimo D’Alema, tra i registi principali della famosa scissione, nemico numero uno di Renzi e intramontabile uomo di ferro della vecchia nomenklatura dem? Non può certo essere il partito di D’Alema, però. Quel D’Alema, per altro, che con alcuni non va troppo d’accordo e che nessuno vuole subire come eterno burattinaio o come frontman dichiarato. Dunque, un contenitore plurale e coeso, che riunisca molte anime e lavori di mediazione, cercando armonie già difficili di per sé: questo dovrebbe essere il nuovo soggetto, chiamato a rianimare una sinistra seppellita dal renzismo e trasformata in un organismo più globale, internazionale, liberista, alla Blair.
Insomma, la proposta di Toscani è stata bocciata. E lui non l’ha presa bene. “Sono dei coglioni, tutta gente che non è capace a fare un cazzo”, ha sentenziato ai microfoni di Repubblica. Arrabbiatissimo anche per il modo in cui il suo logo è stato diffuso sui giornali. Una riproduzione sommaria e imprecisa: “Quello non è il mio simbolo. Gliel’ho fatto vedere e loro lo hanno disegnato a caso, ad occhio, la cosa più pirla che potessero fare”.

Max, il logo di Toscani nella sua versione infedele apparsa sulla stampa

Max, il logo di Toscani nella sua versione infedele apparsa sulla stampa

TRA FALLIMENTI GRAFICI E POLITICI

E ancora, su un’intervista a Vanity Fair, commenta: “D’Alema porta sfortuna. Max è un soprannome sbagliato per un tipo come lui, tutt’altro che maximo. Io avevo un cane e un cavallo. Sa come si chiamavano? Entrambi Max. Non ho mica pensato a loro. Perché Max non è un nome, è un concetto”. Un concetto espresso – sempre secondo lui – in una forma innovativa, lontana dalle brutte prove che si sono viste in questi anni. I politici, di graphic design, non capirebbero una beata mazza: “Non è un caso che tutta l’iconografia politica, a parte le eccezioni della falce e martello del Cccp, faccia cagare”. Il simbolo del M5S? “Roba da Bed & Breakfast”, dice ancora a Vanity Fair. Quello del PD? “Vecchio”. Lega? “Inconsistente”. Il nascente Albero delle libertà di Silvio? “La solita cagata”. Come sempre il buon Oliviero la tocca piano. E invece “Max”, secondo lui, funzionava. E chi se ne frega di D’Alema. Rimetterci mano, per andare incontro ai committenti? Nemmeno per sogno: “È bellissimo così. Li avrebbe fatti vincere”.

Massimo D'Alema

Massimo D’Alema

E con questa partenza incerta e bellicosa (tanto per cambiare), mentre si cerca il nome si continuano a ipoizzare alleanze, adesioni, convergenze. Obiettivo minimo: superare la soglia di sbarramento per entrare in Parlamento. Ma nei sogni di Enrico Rossi – tanto per citare uno tra i più appassionati sostenitori di una rinascita à gauche – è questo l’inizio di una vittoriosa “rivoluzione socialista”, qualcosa che ripari ai fallimenti del neoliberismo, chiudendo con l’austerità, difendendo i lavoratori e rimodellando lo Stato sociale. Basterà questa narrazione a favore di popolo, tra comunismo ed europeismo, a conquistare i cuori dell’elettorato? A giudicare dai nuovi venti di destra, che soffiano decisi, e dalla quasi certa convergenza tra Berlusocni, Salvini e Meloni, a cui si sommano i vincenti populismi grillini e lo zoccolo duro di Renzi (dato per defunto troppo presto?), l’impresa appare ardimentosa. L’impegno sarà indubbiamente “massimo”, il risultato chissà.

– Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, giornalista, editorialista culturale e curatrice. Ha innsegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a…

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