Salvatore Emblema – NudaLuce

Informazioni Evento

Luogo
PALAZZO COLLICOLA ARTI VISIVE - MUSEO CARANDENTE
Piazza Collicola, 1, 06049 , Spoleto, Italia
Date
Dal al

dal mercoledì al lunedì
10.30-13.00/15.30-19.00
chiuso il martedì

Vernissage
27/06/2015

ore 12

Contatti
Email: museo@salvatoreemblema.it
Sito web: http://www.salvatoreemblema.it
Biglietti

biglietto integrato intero € 9.00 ridotto € 5.00 (dai 15 ai 25 anni) omaggio (bambini e ragazzi fino ai 14 anni di età) Il biglietto è unico e consente l’ingresso alla collezione permanente del Museo Carandente, all’ Appartamento Gentilizio e alle Mostre Temporanee. biglietto mostre temporanee ridotto € 2.00 (residenti e possessori SpoletoCard)

Artisti
Salvatore Emblema
Curatori
Gianluca Marziani
Generi
arte contemporanea, personale
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Un viaggio antologico nella pittura di Salvatore Emblema (1929-2006), artista campano amato da Giulio Carlo Argan e Palma Bucarelli, noto per l’utilizzo coerente della tela grezza e dei pigmenti naturali, ricreati in un rapporto di profonda filiazione con la potenza del paesaggio vesuviano.

Comunicato stampa

L’artista campano disse un giorno: “Io appartengo alla luce”, ragionando su una vertigine metafisica che avrebbe segnato la sua visione della Natura, il suo legame con lo spazio abitabile, le sue campiture di colore mutevole. Emblema decise presto che tutto ruotava attorno alla LUCE, la pittura stessa era questione di luce, così come lo sguardo esisteva nel suo legame retinico con la luce. Si trattava di un viaggio a ritroso lungo il margine della Storia, un anelito alle origini della figura primordiale, verso lo scheletro cromatico che precede ogni abito della figurazione visiva.

Partiamo dalla superficie, la fatidica tela su cui, da sempre, si ripete il misfatto universale del dipingere. Per Emblema il materiale aveva rilevanza autonoma, non era più soltanto un contesto di avvenimenti luminosi ma un testo espressivo, una geografia e al contempo un corpo geografico. La trama doveva mostrarsi nel suo abito arcaico e odoroso, evidenziare la fibra e il colore grezzo, affermando, al contempo, la sua distanza dal tempo storico e dallo spazio univoco. Pochi artisti hanno ragionato in modo altrettanto rigoroso, dichiarando un principio poetico e concettuale attorno alla riduzione drastica degli elementi.

Emblema aveva deciso negli anni Cinquanta che la pittura poteva fare a meno della pittura. Nel senso che il quadro meritava un ragionamento autonomo, relativo alla natura biologica della superficie, del colore, delle materie coinvolte. Era questa un’attitudine diffusa tra maestri informali e difensori del colore poetico come Mark Rothko, Barnett Newman o Clyfford Styll; la stessa che colse Emblema in giovane età, quando soggiornò negli Stati Uniti e scoprì gli esiti drammaturgici di un’astrazione radicale, portata alle massime conseguenze da Jackson Pollock e Yves Klein. Il nostro artista stava anticipando diversi approcci che avrebbero caratterizzato il processo metabolico di Arte Povera, rimanendo però fedele alla geografia del quadro, capendo che il dialogo polifonico con la Natura aveva bisogno di una semplice superficie elettiva, senza necessità di aprirsi alle protesi del reale. Quando inserì foglie secche, leggendo la lezione di Jean Dubuffet, lo fece con tale amalgama da indicare insospettate vie della pittura, verso un poverismo che già splendeva di luce propria. Lo stesso colore, ricreato sul posto con pigmenti e preparazioni autoctone, confermava la personalità radicale, il passo ascetico, la chiave biologica del suo pensiero filosofico. I suoi non erano solo pigmenti ma risultati di un processo empatico con il Vesuvio, con una terra che ti si avvinghia addosso, tenendoti legato da un compromesso atavico e indelebile.

Emblema dipingeva forme elementari: ovali, orizzonti ondulati, rettangoli, geometrie floreali, riquadri, macchie cespugliose, filamenti… tutto ruotava attorno ai codici del paesaggio amato, una lotta incessante tra acqua, terra e fuoco per conquistare la luce, per far nascere un segno luminoso dentro la basilare espressione geometrica. C’era qualcosa di sacrale in questo rito pagano, l’artista si affidava all’ascolto silenzioso degli elementi naturali e si piegava alla direzione del vento, del sole, della pioggia… aveva compreso l’immanenza del Pianeta e la piccolezza degli uomini, così microscopici davanti ad un vulcano dal sonno difficile. Emblema sembrava un cacciatore di scarti planetari, un costruttore di utopie da muro che non sfidava la Natura, cosciente di quanto fragile fosse il gesto umano rispetto al rumore delle placche terrestri o al sommovimento degli oceani.

Salvatore Emblema: “Guardate i miei quadri e vi piace la forma, la pennellata, il colore. Ci vedete un fiore, un corpo, un paesaggio. Ma vi dimenticate di cercare la luce che sta dove io non ho dipinto. Questo capita perché abbiamo una cultura con cui dobbiamo fare i conti. Bisogna trovare una lingua nuova, una nuova cultura.”

BIOGRAFIA
Salvatore Emblema nasce nel 1929 a Terzigno (Napoli), alle falde del Vesuvio. Fin da giovanissimo dipinge ispirandosi alla natura che lo circonda, pronto a carpirne l’essenza, utilizzando gli elementi naturali per produrre colori e atmosfere. La sua storia è caratterizzata da una serie di eventi dal sapore letterario: nel 1954 il suo amico Ugo Moretti, poeta e scrittore, lo presenta a Monsignor Francia, che in quegli anni era la mente dei Musei Vaticani. Questi, entusiasta delle opere di Emblema, le mostra a Papa Pacelli (Pio XII) che gli commissiona un suo ritratto, poi pubblicato sulla copertina della "Settimana Incom" e acquistato dai Musei Vaticani per cinquecentomila lire. Lo stesso anno Emblema espone a Roma l’opera “Capuzzella” presso la galleria La Vetrina di Chiurazzi. Il dipinto, raffigurante una testina adorna di foglie secche, era eseguito con l’innovativa tecnica della fullografia. Chi rimarrà folgorato dall’opera, un giorno di passaggio a Roma? Rockfeller in persona. Da qui inizia l’ascesa dell’artista. Nel 1956 arriva a New York, ricevuto dal magnate con tutti gli onori. E qui conosce i suoi artisti più amati: Mark Rothko e Jackson Pollock. Altro incontro determinante avviene a New York con Giulio Carlo Argan che ne apprezza da subito le doti artistiche. Argan gli pone un problema, raccontando l’esperienza di Lucio Fontana che taglia la tela, affermando la necessità di rendere protagonista lo spazio. Nel 1965 l’artista torna definitivamente in Italia, le sue risorse economiche sono esigue, motivo che lo porta a usare tela di sacco per dipingere. Torturato dalle parole di Argan "far vivere lo spazio dietro la tela", Emblema trova la sua idea: sfila la tela, in pratica la detesse, e mostra un piccolo quadro sfilato ad Argan, che rimane entusiasta, dicendo “Salvatore ce l’abbiamo fatta! Siamo riusciti a rendere partecipe di vita lo spazio dietro il quadro”.

Comincia così il felice periodo pittorico della detessitura, che unita all’unicità dei colori sviscerati dalla sua terra amata, fa di Emblema il maestro che oggi conosciamo. Nel 1969 Argan gli propone l’insegnamento in alcune Accademie di Belle Arti. Ma il pittore, schivo fino al parossismo, non accetta e si rifugia a Terzigno con i suoi dipinti, la sua natura e il suo Vesuvio. Nel 1981 a Cesena, durante la mostra al Palazzo del Ridotto, Argan sceglie un ritratto per la Galleria degli Uffizi, dove ancora viene conservato in collezione permanente. Dal 1972 al 1994 le grandi mostre dell’artista avvengono in prestigiose sedi delle maggiori città italiane. Nel 1982 partecipa alla XL Biennale di Venezia, mentre a New York il curatore del Metropolitan Museum, Philippe de Montebello, acquisisce cinque tele per la collezione. In quegli stessi anni anche il Museum Boymans Van Beuningen di Rotterdam espone e acquisisce alcune sue opere. Emblema muore nel 2006 a Terzigno.