Ian Cheng – Emissary in the Squat of Gods

Informazioni Evento

Luogo
FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO
Via Modane 16, Torino, Italia
Date
Dal al

Giovedì: 20-23: ingresso libero
Venerdì - Sabato - Domenica: 12-19

Vernissage
23/04/2015

ore 18,30 conversazione tra l’artista Ian Cheng e il curatore Hans Ulrich Obrist, co-Direttore della Serpentine Galleries di Londra

19.00: performance di Isabel Lewis

dalle 19 alle 21: inaugurazione e aperitivo

Contatti
Email: silvio.salvo@fsrr.org
Biglietti

Biglietti Intero € 5 Ridotto € 3 (over 65, studenti). Gruppi € 4 (minimo 6 persone). Gratuito (Per i bambini fino a 12 anni, Insieme per l’Arte, abbonamento Torino Musei, giornalisti accreditati, soci ICOM). Il museo è accessibile ai disabili.

Artisti
Ian Cheng
Curatori
Hans Ulrich Obrist
Generi
arte contemporanea, personale
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La tecnologia nel lavoro di Cheng è protagonista, intesa come risultato della naturale evoluzione della natura umana, e che ha la potenza oggi di modificare i nostri corpi così come le nostre capacità percettive.

Comunicato stampa

La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo presenta, dal 23 aprile al 30 agosto 2015, Emissary in the Squat of Gods, la personale di Ian Cheng, a cura di Hans Ulrich Obrist, Direttore della Serpentine Gallery di Londra. Il giovane artista americano (Los Angeles, 1984. Vive e lavora a New York) si avvale di una formazione multidisciplinare proveniente dall’ambito scientifico e umanistico. Dopo aver conseguito la laurea in scienze cognitive presso la Berkeley Univesity in California, si specializza in Arti Visive alla Columbia University di New York. Collabora poi con la prestigiosa Industrial Light & Magic, tra le più note aziende americane di produzione di effetti speciali digitali, fondata da George Lucas, visionario regista di Guerre Stellari e di L’uomo che fuggì dal futuro.
La tecnologia nel lavoro di Cheng è protagonista, intesa come risultato della naturale evoluzione della natura umana, e che ha la potenza oggi di modificare i nostri corpi così come le nostre capacità percettive.
Nella sua produzione ricorrono tematiche quali l’evoluzione dell’intelligenza emotiva, la complessità della mente umana, la percezione degli ambienti circostanti e la conseguente risposta agli stimoli esterni. Gli strumenti di cui si avvale sono appunto le ultime intelligenze artificiali, sperimentazioni tecnologiche quali gli Oculus Rift – schermi da indossare come occhiali – software che assumono vita propria e video installazioni.
I suoi lavori sono spesso video privi di inizio e fine, concepiti come realtà viventi che scorrono in tempo reale e non registrato. Essi sono popolati da uomini, piante, oggetti viventi e non, definiti con specifici comportamenti all’interno di ecosistemi più vasti, anch’essi rispondenti alle loro regole. Questi ecosistemi appaiono neutri e indefiniti, privi di riferimenti geografici, campi magnetici dotati di energie che muovono i personaggi verso multiple direzioni. Nel corso dei video, l’animazione inizia a scivolare fuori dal controllo del suo creatore, ad assumere forme imprevedibili, e ad acquisire una vita propria. I vari protagonisti, infatti, rispondendo a stimoli, ostacoli e situazioni sempre mutevoli, interagiscono e si condizionano vicendevolmente senza margine di prevedibilità. L’artista li definisce come algoritmi evolutivi, combinazioni che assumono forme sempre differenti, software che generano realtà parallele definibili non tanto come “meccanismi” artificiali bensì “organismi” in continua e imprevedibile evoluzione.
Nell’intervista che Ian Cheng ha rilasciato a Hans Ulrich Obrist e che sarà nel catalogo: “Se riesci a immaginare una cosa a metà fra il genere del videogame e quello del film, ecco, è quello. È un po’ come una storia vivente, io la chiamo ‘smart-story’, non perché sia intelligente, ma nel senso di uno smartphone o di una smart house, cioè un telefono o una casa, concepiti non come oggetti inerti ma come organismi. Immagina una storia che vive di vita propria, non una vita metaforica ma una vita vera, e che quindi può cambiare leggermente la propria sceneggiatura, può modificarsi e lasciare spazio alla casualità, proprio come un organismo nella vita reale può accogliere in sé la casualità. È una narrazione che ha la capacità di automodificarsi”

In tal senso, il lavoro di Cheng può essere interpretato come uno strumento per riflettere sui limiti e sulle possibilità umane, oltre che un tentativo di ridefinire modelli di relazione tra la complessità della mente umana e la mutevole realtà esterna. Il loro esser privi di inizio e fine li rende allora materia di un’unica grande riflessione.

Per la mostra personale alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Ian Cheng presenterà il primo episodio di una nuova serie di film intitolata Once Out of Nature, una trilogia dedicata alla storia dell’evoluzione cognitiva. L’opera si basa sullo sviluppo della coscienza ed è stato ispirata dalla ricerca dello psicologo americano Julian Jaynes: “Jaynes sostiene che gli esseri umani sono arrivati a sviluppare una coscienza riflessiva e introspettiva non prima di tremila anni fa, quindi abbastanza di recente. Tutti pensano che, dopo l’uomo di Neanderthal, gli esseri umani abbiano acquisito di punto in bianco la coscienza, ma Jaynes dice che in realtà, se riflettiamo un attimo su quel che che facciamo quotidianamente, gran parte dei processi in cui siamo coinvolti sono inconsci, e in realtà siamo in grado di risolvere moltissimi problemi con la parte inconscia del nostro cervello. Solo all’incirca tremila anni fa, con la comparsa della metafora del tempo come spazio, per cui il passato si trova alle nostre spalle e il futuro di fronte a noi, e con lo sviluppo della narrazione scritta e l’incontro fra culture diverse, caratterizzate da mentalità estremamente distanti fra loro, si assiste alla nascita della coscienza” Ian Cheng.

Inoltre il 23 aprile (giorno dell’inaugurazione) Isabel Lewis (Repubblica Domenicana, 1981. Vive e lavora a Berlino) presenterà una delle sue “occasions”. Incontro festivo e sensoriale composto di cose, persone, piante, musica, danza e odori, l’occasion’ – termine coniato dalla stessa Lewis -, è uno spazio di ritrovo pubblico a metà strada fra un bar, una conferenza e un salotto.
La drammaturgia di Lewis, che combina parola, DJing, danza e odori sintetizzati da un chimico e studioso dell’olfatto (il norvegese Sissel Tolaas) creerà un ambiente che si sintonizza sulle energie di ciascuna occasione e degli ospiti che vi partecipano. Attenuando la formalità dell’osservazione a distanza, che spesso caratterizza contesti come il teatro o la mostra, Lewis offrirà uno spazio di relax in cui tutta la gamma delle sensazioni umane ha modo di attuarsi. I visitatori saranno accolti con una bevanda e uno stuzzichino, e potranno andare e venire quando come preferiscono, durante tutta “l’occasione”.

Isabel Lewis è un’artista di origini dominicane e argentine, cresciuta su un’isola suburbana al largo della Florida sudoccidentale. È vissuta a New York, dove ha danzato per diversi coreografi, esponendo anche opere realizzate su commissione dal 2004 in poi, in luoghi come The Kitchen, il Dance Theater Workshop, il New Museum e Movement Research presso la Judson Church. Lewis è residente a Berlino dal 2009. Partendo da una formazione di critica letteraria, danzatrice e coreografa, attualmente produce opere che assumono la forma di ‘hosted occasions’, termine coniato dalla stessa Lewis per indicare incontri in cui si celebrano cose, persone, piante, musica, odori e danze.