Teatro. Il Vangelo di Pippo Delbono

Pippo Delbono ha portato in scena al teatro Bellini di Napoli uno spettacolo che ha diviso il pubblico. Protagonista il Vangelo e una visione non rasserenante del cristianesimo.

Vangelo, l’ultimo lavoro di Pippo Delbono, è uno di quegli spettacoli che poco si presta a una critica oggettiva – anche se poi in fin dei conti la critica non è mai oggettiva –, perché tocca degli aspetti a tal punto intimi, complessi, profondi ed esistenziali che in un’ora e mezza circa di messa in scena non è possibile coglierne il senso profondissimo, a meno che quella stessa battaglia di Pippo non la si sia vissuta e combattuta in prima persona. Una battaglia contro la menzogna millenaria, una battaglia contro lo svilimento della grandezza dell’essere umano, una guerra contro il depauperamento delle forze creatrici e rigeneratrici dell’uomo terreno in nome di un essere ultraterreno. Messa così sembra più un’opera nietzschiana, ma forse è proprio di fronte a questo che ci troviamo quando assistiamo disarmati a Vangelo: è la lotta che fu di Giordano Bruno, di Voltaire, di Hume e di Nietzsche, solo per citarne alcuni, ma anche di miliardi di essere umani comuni che non si accontentano di risposte grossolane alle loro innumerevoli domande. E Dio è una risposta grossolana.

Pippo Delbono, Vangelo, photo Luca Del Pia

Pippo Delbono, Vangelo, photo Luca Del Pia

PUNTI DI VISTA SUL CRISTIANESIMO

Ormai vicina alla morte, la mamma di Delbono espresse un desiderio, ovvero che il figlio realizzasse un lavoro teatrale sul Vangelo e Pippo questo desiderio lo ha finalmente esaudito, ma a modo suo: irriverenza e ribellione, denuncia e delusione, costrizione e libertà, menzogna e verità. L’atto creativo a tratti bauschiano regala la bellezza del teatro organico in cui nessuna forma espressiva è relegata nell’angolo in nome di una predilezione, e allora danza, recitazione, canto, video, racconto, performance collaborano al raggiungimento di un medesimo scopo: suscitare sensazioni, stati d’animo. Ma in fin dei conti cos’è questo Vangelo di Delbono? E qui si ritorna al punto iniziale, è un ricordo, un insieme di ricordi che risvegliano antichi tormenti e turbamenti e solo chi ha vissuto la struggente liberazione da un’eredità così pesantemente imposta come quella del cristianesimo, e ancor di più della religione cattolica, può comprenderlo e rivivere in quei novanta minuti il percorso di una conquistata autonomia rispetto allo schiacciante peso della morale. Per tutti gli altri, per coloro cioè che la religione cattolica la vivono ogni giorno e ne seguono i precetti, questo spettacolo suona come un anatema o, nella migliore delle ipotesi, come una parodia.
L’attenzione deve tornare sugli uomini e sulla loro vulnerabilità, riscoprendo l’immenso valore del reciproco sostegno ed ecco che vengono rievocati quei passi del Vangelo ‒ la parola di Cristo – in cui si annuncia che il paradiso è degli ultimi, degli umili, dei peccatori. Con un magistrale colpo di coda, invece, a partire da San Paolo, i protagonisti della morale cristiana divengono coloro che giudicano e che condannano, dimentichi della compassione, del perdono e dell’accoglienza. Ed ecco che a portare su un piano universale il lavoro tanto intimo di Delbono pensa un giovane profugo proveniente dall’Afghanistan, che racconta in una manciata di parole la sua tragedia, il suo essere ultimo tra gli ultimi. Pregare, espiare le colpe, portare il fardello del peccato originale, sentire le contrizioni di una coscienza sempre pronta a giudicare se stessa e gli altri sono tutte azioni fini a se stesse che allontanano dall’uomo in carne e ossa e dai suoi bisogni, fanno intendere che la vita sia un ponte per un’altra vita facendoci dimenticare che invece Cristo è proprio lì davanti a noi e aspetta solo che gli tendiamo la mano.

Pippo Delbono, Vangelo, photo Luca Del Pia

Pippo Delbono, Vangelo, photo Luca Del Pia

UN PUBBLICO DIVISO

Delbono è ateo e buddista praticante da ormai tanti anni e durante lo spettacolo racconta di un insegnamento ricevuto da un maestro riguardo alla compassione, che non è solo un nobile sentimento, ma un’azione: la compassione è scender nell’abisso, trovare qualcuno e risalire con lui.
Delbono si ribella non solo a Dio, ma all’uomo che si serve di Dio per svilire e soggiogare l’altro uomo, legge con la sua calda e rassicurante voce passeggiando in platea i più dolci e celebri versetti del Vangelo, seducenti e consolatori, che tutt’a un tratto divengono ricatto e comando in nome di un mondo che dovrà venire: il mondo dei cieli. Danza inebriato dalla sua stessa libertà, urla la sua ribellione a un Dio maschio che mortifica, invita tutti a guardare il mondo e la storia dell’uomo con gli occhi semplici del bambino. Al teatro Bellini di Napoli il pubblico si spacca dinanzi a un lavoro del genere e tra i corridoi di un teatro gremito in molti manifestano distacco e disappunto senza avere però il coraggio di definirsi bigotti e di dirsi offesi. Troppo materiale concentrato in un’ora e mezza, troppe sensazioni, troppe provocazioni che in un lasso di tempo così contratto non hanno modo di svilupparsi. Un lavoro introspettivo, ma anche antropologico e filosofico al limite del filologico, uno spettacolo, che sulla scia di Jan Fabre, dovrebbe svilupparsi in una dodici ore non stop.  Il cristianesimo ha educato a tal punto alla ricerca della verità da portare i più temerari a scoprirla davvero la Verità, a non poter più tornare indietro verso un oscurantismo quasi medievale. Vangelo non ha una storia che si sviluppa, non ha un’ossatura riconoscibile e su cui l’autore ha potuto lavorare in maniera scientifica e razionale. Vangelo è un ricordo, un insieme di ricordi di un uomo che parla all’altro uomo con la sfrontatezza di chi è ormai libero da un ricatto millenario e porta dentro di sé la malinconia di chi invece avrebbe voluto crederci e sentirsi coccolato da un messaggio d’amore. È per questo suo tormento che porta dentro, nonostante l’ateismo conquistato, che conclude il suo spettacolo con più o meno queste parole: eppure, se solo ce lo avessero raccontato come un messaggio di felicità, di allegria, di serenità e leggerezza, forse ci avremmo creduto tutti e lo avremmo amato.

Manuela Barbato

www.teatrobellini.it

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Manuela Barbato

Manuela Barbato

Dottoressa di ricerca in Filosofia Politica e critica di Arti Performative si occupa soprattutto di danza in tutte le sue declinazioni in un lavoro fatto di scrittura, critica e programmazione artistica. È programmatrice e direttrice artistica al Teatro Bellini di…

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