Strapotere burocratico dei soprintendenti. Marianna Madia sta cercando di smontarlo e parte il tiro al piccione di chi vuole che nulla si tocchi

Ormai è un refrain tutto italiano: non appena si affacci sulla scena un politico che solo ipotizzi qualche genere di riforma che poco poco vada a intaccare prerogative spesso anacronistiche o un’organizzazione del lavoro incompatibile con la modernità, puntualmente si solleva la prevedibile armata dei conservatori-di-professione. Quelli che sono prontissimi a snocciolare i mali del […]

Ormai è un refrain tutto italiano: non appena si affacci sulla scena un politico che solo ipotizzi qualche genere di riforma che poco poco vada a intaccare prerogative spesso anacronistiche o un’organizzazione del lavoro incompatibile con la modernità, puntualmente si solleva la prevedibile armata dei conservatori-di-professione. Quelli che sono prontissimi a snocciolare i mali del Paese, ma guai a chiedere a loro, o a loro famigli, di cedere qualche quota di potere o comunque di status incancrenitosi in decenni di gestioni politiche e amministrative che badavano a tutto tranne che all’efficienza e alla qualità. Si deve mettere mano alle riforme, ma sempre iniziando da altri.
Gli esempi sono a bizzeffe: ma uno che potrebbe fare scuola guadagna in questi giorni le pagine dei giornali. Parliamo del disegno di legge delega del Ministro Marianna Madia sulla semplificazione dei procedimenti amministrativi e dell’organizzazione della “macchina dello Stato”: DDL che nell’articolo 3 – quello che ci interessa in questa sede – prevede il silenzio-assenso nei procedimenti autorizzativi presso le Soprintendenze. Tradotto: se io, cittadino, o azienda, o imprenditore, chiedo un’autorizzazione a una Soprintendenza, le medesima avrà 90 giorni per darmi una risposta, in caso contrario la legge riterrà la mia autorizzazione concessa. Sacrosanto, civile metodo, diffuso in ogni Paese che non sia nel Medioevo.
E invece, apriti cielo: immediati sono scattati i lai contro il Governo che agirebbe – tuona Italia Nostra – in “palese violazione dei principi volti alla tutela del nostro patrimonio storico-artistico e paesaggistico sanciti dall’art.9 della Costituzione e dall’obbligo della funzione di tutela contenuto nell’art.117 della stessa Costituzione”. E – paradosso nel paradosso – contrario si è a più riprese detto Franceschini, collega di scranno della Madia ma evidentemente in qualche caso ancora legato a vecchi schemi: oppure sottoposto a pressioni “interne” che cerca in qualche modo di mediare, come quella (quasi scontata, per un organo che fu diretto da Salvatore Settis) del Consiglio Superiore dei Beni Culturali. E questo perchè? Perchè una legge vuole imporre ai pubblici impiegati di lavorare, invece di fare qualcosa che spesso gli assomiglia soltanto, e anche di poco.
Ma ancora più ridicole appaiono le ragioni poste alla base delle proteste: gli uffici sarebbero sotto organico, impossibilitati ad evadere tante pratiche in poco tempo. Ebbene, e allora che ti fa, una Italia Nostra (qualcuno la chiamerebbe Italia Vostra)? Invece di chiedere che gli organici siano – se davvero lo necessitano, cosa tutta da verificare – adeguati, chiede che tutto resti com’è. Le autorizzazioni ritardatarie bloccano tante attività anche economiche? La soluzione non è fare qualcosa per sveltirle: la soluzione è lottare perchè possano continuare ad arrivare dopo mesi, anni, decenni…

– Massimo Mattioli

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Massimo Mattioli

Massimo Mattioli

É nato a Todi (Pg). Laureato in Storia dell'Arte Contemporanea all’Università di Perugia, fra il 1993 e il 1994 ha lavorato a Torino come redattore de “Il Giornale dell'Arte”. Nel 2005 ha pubblicato per Silvia Editrice il libro “Rigando dritto.…

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