L’associazione dei musei d’arte contemporanea non riesce a incontrare Monti e scrive a Napolitano. Ma invece di attendere incontri simbolici, meglio proporre atti concreti

Si lamenta dell’abbandono e del disinteresse della politica e delle amministrazioni nei confronti dei musei, l’Amaci, nella sua lettera al Capo dello Stato. Ma verrebbe da dire: “magari”. Magari ci fosse disinteresse e abbandono; in alcuni casi, al contrario, il problema è proprio l’inverso: l’eccesso di interesse delle amministrazioni e degli apparati nei confronti dei […]

Si lamenta dell’abbandono e del disinteresse della politica e delle amministrazioni nei confronti dei musei, l’Amaci, nella sua lettera al Capo dello Stato. Ma verrebbe da dire: “magari”. Magari ci fosse disinteresse e abbandono; in alcuni casi, al contrario, il problema è proprio l’inverso: l’eccesso di interesse delle amministrazioni e degli apparati nei confronti dei musei, considerati l’ultimo baluardo da spolpare per una politica famelica e senza vergogna che dopo aver massacrato aziende da decine di migliaia di dipendenti (c’era una volta Finmeccanica, c’era una volta Monte dei Paschi…), se la piglia con i piccoli e coi piccolissimi sempre e solo per poter controllare bacini, diciamocelo chiaro, ove ru-ba-re. Questo è.
Lettera al Capo dello Stato, dicevamo. Ebbene sì, l’Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani ha chiesto audizione d’urgenza al premier, Mario Monti, una ventina di giorni fa, e oggi, non avendo avuto risposta, scomoda il Capo dello Stato. Di questo passo tra un mesetto il mondo dell’arte contemporanea del paese rischia di doversi appellare al Santo Padre. Appare evidente che la strada non è questa. Incontrare Mario Monti serve? Serve fargli comprendere l’importanza della cultura dell’economia del paese? Probabilmente non serve perché il nostro primo ministro questi dati già ce li ha o è in grado di farseli produrre in qualsiasi momento. Benché appaia complicato dimostrare quale sia l’apporto del settore culturale all’economia, al turismo, ai posti di lavoro generati (è il grande problema dell’accountability su cui discuteremo nel numero di Artribune Magazine che sta andando in stampa in questi giorni), alcuni dati esistono. Di più: molti dati esistono. E davvero non serve, dato il profilo del capo del governo e dei suoi collaboratori, che qualcuno glieli vada a illustrare. Che gliene faccia digerire il peso. Il peso c’è, il peso è noto. Ma c’è una volontà politica di non conferire importanza a tutto questo.
Il governo non è disattento nei confronti della cultura, il governo ha scelto di non dare priorità a questo settore. Lasciamo perdere se questa scelta è giusta o sbagliata: è la scelta dell’attuale esecutivo. Il quale evidentemente ha deciso che sono tanti e tali i problemi del momento, che quello culturale può essere attualmente lasciato sullo sfondo. A fronte di questo quadro, ha senso chiedere a Napolitano che solleciti Monti a rispondere? Ha senso farlo in giorni allucinanti, in cui l’Europa sta crollando addosso a se stessa?
Quando un settore viene ignorato scientemente e volutamente da chi governa e da chi amministra, questo settore, più che chiedere audizione, deve percorrere altre strade. Percorsi interni ed esterni. Un percorso rivolto all’esterno, ammesso e purtroppo assolutamente non concesso che vi sia massa critica per farne, è quello della manifestazione di piazza. Un percorso interno è quello di una protesta di tipo amministrativo (chiusura simultanea di tutti i musei; dimissioni in massa di tutti i direttori) o, meglio ancora, dell’inizio di un percorso di riforma del concetto stesso di museo. Una riforma (un’auto-riforma) da mettere sul tavolo possibilmente prima che la rete dei musei d’arte contemporanea italiani si tramuti in un vecchio ricordo.

Il testo completo della lettera dell’Amaci a Giorgio Napolitano

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