Max Leiß – Aus dem Leben der Wildkatzen

Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA ENRICOFORNELLO 2
Via Massimiano 25, Milano, Italia
Date
Dal al

22 Marzo – 10 Aprile / 24 Aprile – 18 maggio 2012 Martedì-Sabato 14-19

Vernissage
21/03/2012

ore 18

Artisti
Max Leiß
Generi
arte contemporanea, personale
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Nel lavoro di Leiß la dimensione virtuale non può essere pensata come un’essenza reale al di là di una pragmatica esperienziale perciò gli oggetti disposti qui non possono che non collimare con se stessi senza per questo divenire atomi sostanziali.

Comunicato stampa

Galleria Enrico Fornello è lieta di presentare la prima personale italiana dell’artista tedesco
Max Leiß. Se ‘l’immagine’ dell’oggetto non può far altro che preservare l’inevitabile riflesso
di un prototipo invisibile, in quale modalità possiamo rendere invisibilità a questa dimensione
manifestante che non è differente dal visibile pur non coincidendo con esso? Nel lavoro di
Leiß la dimensione virtuale non può essere pensata come un’essenza reale al di là di una
pragmatica esperienziale perciò gli oggetti disposti qui non possono che non collimare con se
stessi senza per questo divenire atomi sostanziali. La differenziazione è anche modulazione e
queste cose altro non possono fare che differirsi restando assolutamente non separate,
incatenate nel rovescio metonimico che non cessa mai di ritirarsi in un movimento di
presentificazione che sottolinea, sempre di nuovo, la congenita ‘infondatezza’ che lo
contraddistingue. Le rimanenze nuomeniche di questi grumi di formalizzazione senza ritorno
infettano ogni risoluzione identitaria attraverso una cosità a-topica che scivola e insiste da
qualche parte sotto ogni tassonomizzazione, da qualche parte sotto lo iato ricorrente del
‘sempre qui’ e del ‘non ancora’.
L’identità presunta si scontra così con una coincidenza implosa che non cessa mai di tornare
dove non è mai stata. L’oggetto, come sembra indicare Leiß, deve ‘dire’ l’evento senza
distruggerlo, l’evento inaudito che torna in sé solo perdendosi in sé e precisamente nel punto
cieco in cui si tocca toccando, si vede vedendo in una corrispondenza incrostata
indecidibilmente in un futuro anteriore costitutivamente impreconizzabile: “dopo la prima
morte non ce ne sono altre”, scriveva Dylan Thomas. Un’articolazione impossibile,
un’articolazione dell’impossibile che non è niente, un’articolazione attivamente inoperante il
cui senso s’annida nel grado-zero primario in cui i raggi di mondo s’intersecano in una
dischiusura elementale intrinsecamente operarativa in ogni configurazione d’esperienza.
Un’apertura interstiziale di vestigia celibatarie (argilla, terra, metallo, legno, bronzo) che
avranno testimoniato gli arti fantasma di questi acrostici infestati che implicano già ogni
negazione come ogni affermazione, innestandosi silenziosamente a tergo di ogni asserzione,
diniego e addirittura di qualsivoglia domanda formulabile. Qualcosa che Leiß, insieme a
Merleau-Ponty, chiamerebbe il “vero negativo”: il vero negativo all’interno del positivo, il
vero niente all’interno del qualcosa, il vero non-essere all’interno dell’essere ovvero
l’intrecciarsi inesausto di una scarnificazione chiasmica che ha sempre gia sperimentato,
dall’esterno più all’interno di sé, la potenzialità di un evento radicalmente imploso.
Max Leiß (1982 Bonn, Germany) vive e lavora tra Basilea e Karlsruhe. Ha ottenuto il Master
alla Akademie der Bildenden Künste Karlsruhe nel 2012 e ha studiato alla École de Beaux-
Arts di Parigi nel 2010. Ha partecipato a molte mostre collettive negli ultimi ani, per citarne
alcune nel 2010 la mostra “Passage” presso la galleria Meyer Riegger a Karlsruhe,
“Drancy/Bobigny presso “Le Centquatre” a Parigi e la mostra “Der unaufhaltsame Aufstieg
von Draufgängern und Flaschen” a cura di Meuser presso la Städtische Galerie in Karlsruhe.
Infine ricordiamo nel 2009 la mostra “Regionale 10” presso la Kunsthalle di Basilea. Pubblica
la sua rivista personale “Ausgabe” in collaborazione con Mark Pezinger Verlag

Galleria Enrico Fornello is pleased to present the first italian solo show of the german artist
Max Leiß. If the ‘image’ of the object can do nothing but preserve the unavoidable reflection
of an invisible prototype, how can we give to this sort of invisible, this dimension of
manifestation which is not different from the visible but nevertheless not identical to it? In
Leiß’s work the dimension of virtuality cannot be thought as a real being existing beyond the
circle of experience so the objects displayed here are neither identical to themselves nor
substantial atoms. Differentation is also a modulation, therefore while differing these things
are however absolutely together, enchained in a metonymic havoc that never stops
withdrawing in a movement of presencing that does nothing but underlining itself in a
congenital groundlessness. The noumenal leftovers of these clots of formalization beyond
repair infect the status of any individuation so the a-topic thingness of the materializing thing
drifts and insists essentially somewhere below unity and taxonomy, somewhere below the
recurring between of ‘the always already’ and the ‘not yet’.
The presumed identity finds itself faced to a imploding coincidence that never stops coming
back where it has never been. The object, as Leiß seems to indicate, must ‘say’ the event
without distroying it, the inconceivable event that returns to itself only by losing itself and
precisely in the blind spot in which it touches itself touching, sees itself seeing in a
correspondence lingered in an undecidable and never accomplished future perfect: “after the
first death, there is no other”, Dylan Thomas used to write. An impossible articulation, an
articulation of the impossible which is not nothing, an actively inoperant articulation by
means of which sense lurks in the primary zero-point in which the rays of the world cross one
another in an elemental disclosure intricately operative in every configuration of experience. A
gaping-openess of celibatarian relics (clay, metal, wood, bronze) that will have witnessed the
phantom limbs of these haunted acrostics that keep on encompassing its negation as well its
affirmation, silently grafting behind all assertions, denials, and even behind all formulated
questions. Something that Leiß, together with Merleau-Ponty, would call “the true negative”:
the true negative inside the positive, the true nothing inside the something, the true non-being
inside being, in other words, the endless intertwining of a chiasmic fleshing, wherein the
potential of a radically implosive event, with alterity as its very heart, has already been
constituted, already enjoined.
Max Leiß (1982 Bonn, Germany) lives and works in Basel and Karlsruhe, Germany. He
received an MA at Akademie der Bildenden Künste Karlsruhe in 2011 and studied at École de
Beaux-Arts in Paris in 2010. He participated in several group shows, among them in 2010
“Passage” at Meyer Riegger Gallery in Karlsruhe, “Drancy/Bobigny” at Le Centquatre in
Paris and the show “Der unaufhaltsame Aufstieg von Draufgängern und Flaschen” curated by
Meuser at Städtische Galerie Karlsruhe. In 2009 he participated to the show “Regionale 10” at
the Kunsthalle Basel. He publishes a personal magazine called "Ausgabe#" in collaboration
with vienna-based Mark Pezinger Verlag.