Enrico Prampolini – (Di)segno in segno

Informazioni Evento

Luogo
FRANCESCO PANTALEONE ARTECONTEMPORANEA
Via Vittorio Emanuele 303 (Palazzo Di Napoli - Quattro Canti) 90133, Palermo, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

dalle 10.00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 19:00.

Vernissage
22/10/2025
Artisti
Enrico Prampolini
Generi
personale, arte moderna

Dopo i recenti lavori di restauro, la Galleria Francesco Pantaleone si arricchisce di un nuovo ambiente espositivo destinato a progetti speciali.

Comunicato stampa

Dopo i recenti lavori di restauro, la Galleria Francesco Pantaleone si arricchisce di un nuovo ambiente espositivo destinato a progetti speciali.

Nasce come estensione naturale della galleria principale: un luogo più intimo, pensato per accogliere proposte agili e sperimentali, in cui si alterneranno artisti storicizzati e giovanissimi autori. Le mostre qui ospitate dialogheranno con le esposizioni in corso nella galleria, creando una continuità di sguardi, tempi e linguaggi che riflettono lo spirito di ricerca di FPAC.

Il nuovo spazio inaugura con una mostra dedicata a Enrico Prampolini, figura chiave dell’avanguardia italiana del Novecento.

Colla colori odori

di Massimo Prampolini

Prampolini comprava le tele e le tavole su cui avrebbe lavorato, e ne preparava personalmente la superficie. Aveva nello studio un fornelletto elettrico, allestiva un intruglio a base di colla di pesce e altri ingredienti, poi avvertiva di aprire le finestre e fare corrente. Per la grande casa di Roma, a via Rubicone, si spandeva un odore tremendo che arrivava fino alla strada, avvolgendo gli alberi di mimosa e i nespoli sotto‐ stanti. Quando l’intruglio era al punto giusto, munito di pennellessa procedeva con accurata lentezza alla stesura della mescola micidiale. Il quadro sarebbe rimasto ad asciugare per qualche giorno.

Ma non erano solo i colori, per lo più costosissimi tubetti di marca Watteau, a finire sulle superfici così preparate. Nello studio, sparsi o raccolti in qualche cassetta, si trovavano materiali di ogni genere, pronti a occupare lo spazio polimaterico che caratterizzava spesso lo stile prampoliniano. Gli zolfi provenivano dal Vesuvio, tramite il pittore e amico caprese Raffaele Castello, che provvedeva anche all’invio di sabbie di varia granulosità e tonalità di grigio. C’erano poi le terre piroplastiche, la pozzolana, qualche scampolo di spugna marina essiccata, i sugheri, la carta vetrata, le lastre di madreperla.

Quanto a me, che per ragioni anagrafiche posso parlare solo del Prampolini nei suoi ultimi anni, spettava il compito di tornare dal parco di Villa Borghese con qualche sinuosa corteccia di pino, qualche penna di piccolo volatile, qualche sacchetto di ghiaia candida con granuli non più grandi di un fagiolo. Un noto museo romano di arte moderna e contemporanea conserva, non esposto e accuratamente confinato in qualche fondo di magazzino, un’opera di Prampolini su fondo nero attraversato da un’unica poetica linea bianca. È un bianco indefinibile, forte e crespo: Prampolini l’otteneva frantumando e incollando i gusci d’uovo, che raccomandava in cucina di non buttare. Quei gusci avrebbero contribuito a rappresentare, col singolare biancore, la poetica dell’idealismo cosmico secondo i canoni del concretismo materico che Prampolini teorizzò dalla fine degli anni Quaranta, dopo averlo già sperimentato molto prima nei collage degli anni Dieci.

Lo studio di via Rubicone era il cuore pulsante della pittura non figurativa romana degli anni Cinquanta. Ragazzino, avevo il permesso di aprire la porta di casa al suono del campanello, e quindi erano nomi e figure a me familiari quelle di Piero Dorazio sempre elegante e pronto all’ironia; Achille Perilli spesso in divisa perché sotto servizio militare; Michelangelo Conte distintissimo e gran signore; Jozef Jarema il soldato polacco, arrivato a Roma con le truppe di liberazione alleate e che, smessa la divisa, si dedicò anima e corpo all’organizzazione dell’Art Club. Jarema aveva una personalità dirompente, emanava energia tanto maggiore quanto più si doveva impegnare a discutere in italiano, che non era la sua lingua. In famiglia eravamo convinti – Prampolini alludeva con impercettibile sorriso – che si fosse invaghito della nostra domestica.

Prampolini ebbe un legame esistenziale profondo con Capri. Dall’Isola, dove arrivava ai primi di agosto, tornava a settembre carico di programmi e d’idee. Ma, specie negli ultimi anni, idee e progetti si traducevano in preoccupazioni e ansie. Il calendario, le date, le maledette scadenze per le mostre e gli allestimenti teatrali, avvelenavano già dall’Isola la lettura serena delle cose che la pausa estiva gli aveva concesso. Della serenità di quelle settimane testimonia la quantità di taccuini pieni di disegni e abbozzi che ogni anno a Capri produceva del tutto spontaneamente. Dominano

nei suoi taccuini capresi forme, colori, temi (in particolare quello femminile) che rivelano lo spirito dionisiaco, l’eros in festa e rilassato. Alla fine della stagione estiva, quando amici e colleghi si affrettavano a rientrare nelle città, Prampolini ritardava il ritorno. Preferiva restare e vedere l’Isola senza il parossismo turistico, le vie deserte forse un po’ malinco‐ niche, di una malinconia che anticipava già le nostalgie invernali. C’è una bella lettera all’amica Enza D.P. in cui racconta quella Capri silenziosa con la pace e la recuperata solitudine, in conflitto con le sensazioni dell’estate appena finita.

Ecco Prampolini: i vissuti, le sperimentazioni, il pensare incessante attraverso schizzi sui taccuini, l’amore per Capri. Ed è quanto questa mostra restituisce e racconta.

Roma, settembre 2025

EN

Following recent renovation work, Francesco Pantaleone Gallery has expanded to include a new exhibition space dedicated to special projects.

This new setting is conceived as a natural extension of the main gallery: a more intimate environment designed to host agile and experimental exhibitions, alternating between established artists and emerging talents. The shows presented here will enter into dialogue with the main gallery’s program, creating a continuity of perspectives, timeframes, and languages that reflect FPAC’s spirit of research.

The space opens with an exhibition dedicated to Enrico Prampolini, a key figure of the Italian avant-garde of the twentieth century.

Glue, Colors, Smells

by Massimo Prampolini

Prampolini would buy the canvases and panels he planned to work on and personally prepare their surfaces. He kept a small electric stove in his studio, where he would concoct a mixture based on fish glue and other ingredients. Then he'd warn everyone to open the windows and create a draft. A terrible smell would spread throughout the large house on Via Rubicone in Rome, wafting out to the street, enveloping the nearby mimosa trees and loquats. When the mixture reached the right consistency, he’d use a large brush to carefully and slowly apply the deadly concoction. The painting would then be left to dry for several days.

But it wasn’t only paint—mostly expensive Watteau-brand tubes—that ended up on these meticulously prepared surfaces. In his studio, scattered about or stored in boxes, were materials of all kinds, ready to occupy the polymaterial space that often characterized the Prampolini style. Sulphur came from Mount Vesuvius, via the Capri painter and friend Raffaele Castello, who also sent sands of varying grain sizes and shades of grey. There were also pyroclastic soils, pozzolana, dried pieces of sea sponge, corks, sandpaper, and mother-of-pearl sheets.

As for me—speaking only of the Prampolini of his later years, due to age—I had the job of returning from Villa Borghese park with curved pieces of pine bark, small bird feathers, and bags of white gravel, each stone no bigger than a bean. A well-known modern and contemporary art museum in Rome holds one of Prampolini’s works, not on display but carefully stored in the archives: a black background crossed by a single poetic white line. It's a white that defies definition, strong and textured: Prampolini made it by crushing and gluing eggshells, which he insisted we never throw away in the kitchen. Those shells contributed, with their unique whiteness, to expressing the poetics of cosmic idealism according to the principles of material concretism—an approach he theorized from the late 1940s onward, though he had already experimented with it in his collages from the 1910s.

The studio on Via Rubicone was the beating heart of Roman non-figurative painting in the 1950s. As a child, I was allowed to open the front door when the bell rang, so I became familiar with names and faces like the ever-elegant and witty Piero Dorazio; Achille Perilli, often in uniform because he was in military service; the distinguished and gentlemanly Michelangelo Conte; and Jozef Jarema, the Polish soldier who had arrived in Rome with the Allied liberation troops and, once out of uniform, dedicated himself body and soul to organizing the Art Club. Jarema had a forceful personality and radiated energy, all the more so when he had to speak Italian, which was not his native tongue. In our family, we were convinced—and Prampolini would hint at it with an imperceptible smile—that he had fallen for our housemaid.

Prampolini had a deep, existential bond with Capri. He would arrive on the island in early August and return in September full of plans and ideas. But especially in later years, these ideas and plans often turned into worries and anxieties. The calendar, the dates, the cursed deadlines for exhibitions and theatre productions poisoned the peace of mind that the summer pause was meant to offer. That serenity is reflected in the many sketchbooks filled with drawings and studies that he spontaneously produced each year in Capri. These notebooks are dominated by forms, colors, and themes (particularly the female figure) that reveal a Dionysian spirit—joyful, relaxed eros.

At the end of the summer season, when friends and colleagues rushed back to their cities, Prampolini delayed his return. He preferred to stay and see the Island without its touristic frenzy, its empty streets tinged with a quiet melancholy—a melancholy that already foreshadowed the nostalgia of winter. There's a beautiful letter to his friend Enza D.P. in which he describes that silent Capri, filled with peace and recovered solitude, in contrast with the sensations of the summer just passed.

This was Prampolini: his lived experiences, his experiments, his constant thinking through sketching, his love for Capri. And that is what this exhibition brings to life and recounts.