Cabinet / Bernardo Strozzi – Piero Manzoni

Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA BKV FINE ART
Via Fontana, 16, 20122 Milano, MI, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

Dal lunedì al venerdì, ore 10 - 13 e 14 - 19

Sabato su appuntamento

Vernissage
16/10/2025

ore 18,30

Curatori
Giovanna Manzotti
Uffici stampa
ANNA DEFRANCESCO COMUNICAZIONE
Generi
arte contemporanea

Due mostre: “Cabinet. La Collezione Scarzella in dialogo con la Collezione Koelliker” e “Bernardo Strozzi – Piero Manzoni. Presenza Assenza”.

Comunicato stampa

BKV Fine Art presenta Cabinet, a cura di Giovanna Manzotti, da un’idea di Edoardo Koelliker. In programma dal 17 ottobre al 19 dicembre 2025, il progetto espositivo, allestito nella nuova sala della galleria, si configura come un dialogo tra una selezione di opere della Collezione Scarzella – nata nel 2011 dalla passione per l’arte contemporanea e dalla spinta al sostegno di produzioni artistiche emergenti – e della Collezione Koelliker.

Il titolo della mostra rimanda ai “cabinet of curiosities”, mobili nei quali venivano esposti oggetti rari e curiosi che a loro volta arricchivano le Wunderkammer, piccoli musei privati risalenti al Cinquecento, sviluppatisi poi nel Seicento e nel Settecento. Le Wunderkammer erano organizzate con lo scopo di “convocare il mondo in uno spazio finito, di ridurlo emblematicamente, di metterlo alla portata dello sguardo in modo da appropriarsene, dominarlo.” In questi luoghi di stupore il tempo pareva collassare: l’accostamento insolito, l’ibridazione e lo spostamento di senso facevano precipitare ogni cronologia o datazione, e così gli oggetti convivevano in uno spazio senza coordinate. Il termine ‘cabinet’, se in parte si discosta dal suo originale significato, vuole qui evocare un vasto e articolato dispositivo per allestire e comprendere la realtà, privo dei rigidi schemi con i quali siamo soliti separare l’antico da ciò che è moderno e contemporaneo.

Allestita all’interno della nuova sala espositiva della Galleria BKV Fine Art, la mostra si articola attraverso una selezione di opere scelte per la loro capacità di non suggerire immediatamente una provenienza geografica e temporale, con lo scopo di stimolare la produzione di immaginari inediti.

“Ne emerge - sottolinea Giovanna Manzotti, curatrice della mostra - un assortimento di contaminazioni visive, storiche e culturali, un gioco di simmetrie, incroci e corrispondenze. Le due collezioni, legate da uno sguardo sul mondo che si fa portavoce di curiosità e meraviglia verso ciò che di 'diverso' le circonda, nonché da un interesse per i processi legati alla conservazione, alla memoria e al collezionismo in tutte le sue forme, si parlano e, parlandosi, si ritrovano vicine con piacevole stupore”.

Il percorso espositivo si apre con Hearts on Ice (2024) di Jack O’Brien, opera appartenente a “Cherry”, serie che l’artista ha iniziato nel 2021. Il lavoro consiste in una stampa fotografica ritoccata con pastello e vernice spray, sulla quale è stato applicato un oggetto in acciaio di uso comune. Visibile attraverso uno strato di plastica termoformata che imita fenomeni organici, processi e atteggiamenti che si infiltrano all’interno della materialità della società dei consumi e del desiderio, la ciliegia è un’icona pop, un rimando a molteplici forme di sensualità ed erotismo. La sua etimologia allegorica è rintracciabile in vari momenti e culture del passato: dagli antichi greci come elisir di prosperità, ad opere d’arte rinascimentali, dalle slot machine del XIX secolo, alla segnaletica dei sexy shop, fino alle campagne pubblicitarie di alcuni noti brand di moda. È un invito a leggere Cabinet attraverso una lente geografica elastica e atemporale che trova in inedite connessioni e nell’ibridazione simbolica, visiva e materica una delle sue possibili chiavi di lettura.

La parete principale della sala ospita una serie di opere orchestrate in una composizione “rumorosa”, rivelando un display che vira verso l’elemento oggettuale, declinato rispettivamente in forma pittorica, scultorea e fotografica. L’olio su tela ClearhistoricXL (2024) di Kelsey Isaacs restituisce un linguaggio che gioca con le convenzioni della pittura astratta. I suoi lavori, simili a nature morte deformate da lenti e flash, sono realizzate a partire da set fotografici che l’artista allestisce e illumina all’interno del suo studio, esplorando luce, superficie e memoria. Ogni dipinto risulta essere un assemblaggio di parti multiple, un’istantanea di una composizione isolata in cui gli oggetti sono collocati in relazione precaria gli uni agli altri, fotografati, smontati e poi riorganizzati per rientrare in un nuovo circuito di informazioni visive. Alla costruzione quasi distorta di questa realtà fa da contraltare un apparato di manufatti antichi e oggetti scultorei contemporanei della Collezione Koelliker installati su alcune mensole. Sparsi senza ordine rigoroso, essi giocano con lo spazio, e la collocazione di ogni oggetto può costantemente essere rinegoziata nel suo dialogo con ciò che gli sta accanto. Così Tenebrae (2023) di Tarek Lakhrissi, delicato fuoco scultoreo in vetro soffiato facente parte di un più ampio progetto che rivisita l’Inferno dantesco prendendo spunto dalla riscrittura queer della Divina Commedia della poetessa, saggista e teorica femminista Monique Wittig, si ritrova vicino ad una caraffa cesellata in ottone dorato decorata con lo stemma della famiglia dogale dei Pisani di Venezia. Poco più in basso, troviamo la ceramica smaltata Rooster Racer (2023) di Sharif Farrag, la cui iconografia audace e cartoonesca fonde stili tradizionali e tecniche che esprimono l’identità ibrida sirio-egiziana dell’artista.

Il campionario di oggetti continua con un’altra ceramica smaltata e vetro fuso, Dew Drops on Crescent Cave (2023), nella quale Heidi Lau plasma una forma ambigua, a tratti un’entità zoomorfa, che accoglie tra le sue mani una rovina ricoperta di vegetazione e strutture coralline. Un vero ramo di corallo, classico pezzo da Wunderkammer, è collocato poco più alto in tutto il suo significato magico e religioso che lo connota dai tempi antichi fino al Rinascimento: antiveleno e amuleto dei marinai a protezione di tempeste e fulmini, nella tradizione cristiana, l’albero del corallo era associato a quello della Croce e al sacrificio di Cristo. L’elemento zoomorfo si ripresenta, infine, anche nell’imboccatura della salsiera degli ateliers viennesi risalente al XIX secolo, realizzata in argento e cristallo di rocca, materiale le cui proprietà sono da sempre associate al miracolo e alla magia. Il terzo elemento a completamento della parete fa “precipitare” l’osservatore dentro l’eterogeneità vertiginosa di una Wunderkammer qui trasposta su carta da parati. Vasi, brocche, coppe, utensili, oreficerie, soprammobili, cofanetti e altri oggetti, sono qui protagonisti di un palcoscenico della storia, il cui fondale è dipinto a tema floreale. Li vediamo “animarsi” ulteriormente di meraviglia, intensificando la loro catena di potenze associative e svelando ossessioni che vanno ben oltre slanci collezionistici.

L’attiguo dipinto a olio e foglia d’oro su tavoletta di Gino De Dominicis si offre come un invito alla riflessione, nonché alla continua e tenace ricerca dell’immortalità, quest’ultimo uno dei temi che l’artista ha frequentato con ossessione nel suo lavoro. Urvasi e Gilgamesh fa parte di una serie più ampia proposta da De Dominicis a partire dal 1979. Egli, dopo aver maturato una certa diffidenza verso le correnti concettuali, si riavvicina alla pittura, ampliando i temi della sua ricerca, raccontando l’ipotetico incontro fra due antichissime civiltà, quella sumerica e quella indiana, personificate nelle figure di Gilgamesh, leggendario re di Uruk, città dell’odierno Iraq, e in quella di Urvasi, ninfa celeste indù, simbolo di desiderio e amore e resa immortale dalla sua straordinaria bellezza. L’immagine dell’unione di questi due personaggi mitologici è un ossimoro visivo: i loro profili graficamente stilizzati, sono rivolti l’uno di fronte all’altro in tutte le opere della serie. L’unica variazione sul tema è lo sfondo che si apre tra di loro, qui restituito in paesaggio senza tempo rivestito da una foglia d’oro.

Nella quadreria accanto i temi del mito, della conoscenza, della memoria e del costante confronto tra il presente e differenti temporalità storiche danno vita a complesse narrazioni in cui icone, simboli, rappresentazioni grafiche e scrittura si potenziano vicendevolmente. Questo bagaglio trova espressione nell’opera di Fabrizio Cotognini, il cui lessico affonda le radici nel Barocco, nel Rinascimento, nell’alchimia medievale e in discipline quali sociologia, filosofia e botanica. I suoi due disegni in mostra Tarocco 3 (2016) e Olimpo 2.0 Ercole (2019) – rispettivamente realizzati su un acquaforte del XVIII secolo e una incisione del XIX secolo, di cui Cotognini è appassionato collezionista – e la tecnica mista su carta nera francese True story full of lies (2018) recuperano immaginari del passato, alterati con interventi chirurgici e “sacrali” quali cancellature, disegni a mano e note a margine, restituite come appunti scritti tanto fittamente da rimanere quasi indecifrabili. L’olio e matita su tela Senza titolo (Spettatore di TV) (1996) di De Dominicis – artista che Cotognini annovera tra i suoi maestri – ricolloca un’azione quotidiana dentro ad uno spazio enigmatico che non è circoscritto a quello dell’esperienza comune, bensì a quello di un evento cosmico, mettendo in atto una contemplazione anche ironica ma puntuale del tema dell’immortalità.

La mostra prosegue con l’opera di Bri Williams, la cui pratica si avvale principalmente di oggetti e materiali trovati che vengono manipolati e rielaborati in assemblaggi di vari medium. In Omen (Crow) (2024), frammenti di mobili antichi, oggetti dal significato mistico o personale e detriti conservati all’interno di involucri tattili modellati nel sapone e nella resina (materiale usato allegoricamente per contenere ed esaminare i traumi del passato, ma anche come pulizia spirituale), sono restituiti in una sorta di fermo immagine di un processo scultoreo in continua trasformazione. Gesti materiali ai quali si aggrappano strati di memoria affettiva sono visibili anche nelle composizioni astratte di Molly Rose Lieberman. Approdata alla pittura attraverso scrittura, disegno e assemblaggio, l’artista utilizza spesso strutture preesistenti nelle quali crea le condizioni spaziali per far affiorare segni e forme. While remembering acorns, a mouth-full of shells (2023) è una composizione astratta a olio, cera fredda, pennarello, pastello e collage lavorati su masonite, il cui telaio in acciaio è ripiegato verso l’interno. Da supporto posteriore, la masonite diviene dunque superficie esterna, tesa ad ospitare una possibile figurazione che, come suggerisce il titolo, tenta di ricordare qualcosa, un elemento naturale. La metafora della memoria tra frammenti di materia e tracce di un tempo vissuto appartiene anche alla ricerca di Remo Bianco che nel 1956 scrisse il “Manifesto dell’Arte Improntale”, nel quale dichiara che la sua scelta degli oggetti non è casuale, ma sottintende un necessario rapporto con la sua esperienza esistenziale, con “tutto ciò che è venuto a contatto con me.” Gli oggetti del suo calco in gomma a freddo Impronta (1958) assumono il significato di una metafora liberatoria e trasformano in bassorilievi le tracce della quotidianità.

Il percorso continua con Blindness, Blossom and Desertification IX (2024), tecnica mista su cotone grezzo di Monia Ben Hamouda, artista figlia di un calligrafo islamico. Il dipinto fa parte di una serie più ampia di opere che nascono dall’urgenza dell’artista di confrontarsi con le necessità fondamentali dell’arte all’interno delle pratiche rituali e dell’ambiente naturale. Con l’impiego di spezie, polveri di ibisco, cenere, carbone, argilla rossa, paprika e terra, Ben Hamouda crea riferimenti segnici e testuali che rimandano alle superfici di rocce legate all’arte fin dagli albori dell’umanità. Queste immagini sono il risultato di rapidi gesti della mano, del lancio di polveri e di pennellate che imitano il testo arabo che l’artista ha praticato fin dall’infanzia. L’abilità tecnica di quest’ultimo richiama l’arte della calligrafia, in cui lo scrittore tiene una pagina bianca accanto all’opera come superficie per “scaldare la mano.”

Chiude la mostra, ma potrebbe anche aprirla il Ritratto di Umanista, un dipinto ad olio su tela attribuito a Lorenzo Lotto. All’interno di un percorso espositivo cadenzato da oggetti e opere di varia natura e difficile collocazione temporale, questo dipinto, che subito attribuiamo a un determinato periodo storico, nonché a una certa iconografia legata alla ritrattistica del Rinascimento, ci appare, per contrasto, come una presenza dalla natura enigmatica. Chi è l’uomo nel ritratto, che ruolo ha nei confronti di tutti questi oggetti, e che funzione svolge all’interno di questo cabinet?

La Collezione Scarzella: Un Dialogo tra Materia, Memoria e Nuove Visioni
Nata nel 2011 dal volere dell’imprenditore Giovanni Scarzella e della moglie Camilla Previ, la Collezione Scarzella vanta oggi oltre 150 opere. Offrendosi come riflesso di una passione personale, la Collezione si articola attraverso opere concettuali, pittoriche e scultoree, esplorando l’arte emergente nelle sue molteplici espressioni. La selezione delle opere non può prescindere da un importante nucleo di artisti italiani, ma si estende tra le geografie di tutto il mondo, grazie a una ricerca spesso accompagnata da viaggi dedicati. Gli artisti in Collezione utilizzano la materia pittorica e scultorea per esplorare tematiche come la natura, la memoria e le tradizioni, intese come profonde riflessioni sulla transitorietà e la permanenza. Pur proiettata verso linguaggi contemporanei, la Collezione mantiene un dialogo costante con l’ancestrale e il classico, radicando ogni scelta in un profondo rispetto per la storia dell’arte. La Collezione Scarzella è un ponte vibrante tra passato e futuro, innovazione e memoria.

La Collezione Koelliker
La Collezione Koelliker è stata costituita dall’industriale Luigi Koelliker, cultore e mecenate delle arti figurative, nella sua casa-museo di Milano. Annovera quadri, statue dell’evo antico e moderno, medaglie, maioliche, monetieri, mobili, bronzi, orologi rinascimentali e barocchi, pezzi d’oreficeria, tessuti antichi, armature da samurai, strumenti musicali e scientifici come intere Wunderkammern. Particolare attenzione è prestata allo stato conservativo e alla disposizione dei pezzi, impostata secondo criteri di simmetria basati sul grande collezionismo del passato. La sezione pittorica dedicata agli antichi maestri vanta più di millecinquecento dipinti, con una propensione alla ritrattistica che sfoggia diverse centinaia di pezzi. Di questo amore per il ritratto, Luigi Koelliker rivela le seguenti ragioni: “Soffermarsi davanti a un ritratto è incontrare una persona. La guardi negli occhi e cerchi di capire che cosa c’è dietro. Nei ritratti è la vita che pulsa, c’è l’uomo, c’è l’intelligenza dell’azione”. Fra i dipinti, che annoverano tele di tutte le scuole pittoriche italiane dal ‘500 al ‘700, spicca un importante nucleo caravaggesco e una considerevole sezione lombarda. Nell’intento di salvaguardare e promuovere i valori artistici, per molto tempo Luigi Koelliker ha sostenuto fondazioni di studi italiane e straniere, musei, riviste d’arte, esposizioni pubbliche, finanziandone i cataloghi e soprattutto sostenendo onerosi e improcrastinabili interventi di restauro, sovente vitali per alcuni capolavori custoditi in Italia, come la Pietà Rondanini di Michelangelo (2002 - 2004), le Sette opere di misericordia del Caravaggio o la Madonna del Romanino poi esposta al Museo Diocesano di Milano.

Dal 17 ottobre al 19 dicembre 2025, la galleria BKV Fine Art di Milano presenta la mostra Bernardo Strozzi – Piero Manzoni. Presenza Assenza, realizzata in collaborazione con la Fondazione Piero Manzoni, che accosta le opere di due grandi maestri dell’arte italiana. Bernardo Strozzi (Genova, 1581 – Venezia, 1644), figura cruciale della pittura del primo Seicento a Genova e Piero Manzoni (Soncino, 1933 – Milano, 1963) artista innovativo nel panorama artistico milanese e internazionale del dopoguerra.

Un accostamento inedito, di una trentina di opere, che mette in relazione due artisti di epoche diverse e in apparenza inconciliabili per intessere un dialogo serrato tra la rigogliosa pittura barocca di Strozzi – la presenza, a cui allude il titolo della mostra – e gli Achromes di Manzoni l’assenza, realizzati in diversi materiali come la tela grinzata, il panno cucito, la fibra di vetro, il polistirolo o il cotone idrofilo, tra pienezza espressiva e grado zero della pittura.

Nati a distanza di quasi quattrocento anni, il primo “da poveri si onorati parenti”, mentre il secondo da famiglia aristocratica, Strozzi e Manzoni sono figure diverse ma accomunate dallo spirito di libertà nella ricerca. Entrambi intraprendono degli studi a cui non saranno mai destinati, Strozzi di Lettere e Manzoni in Giurisprudenza; entrambi sono autodidatti: il genovese frequenta per soli due anni la bottega di un pittore toscano per poi scoprire una vocazione religiosa che lo porta in convento e non gli permette di diventare un “maestro”, mentre il milanese fugge la vita universitaria per frequentare gli studi degli amici pittori legati al movimento nucleare.

Per entrambi l’arte risulta una forza propulsiva intrinseca, che non necessita di basi accademiche per lasciare un’impronta. Il lavoro del pittore genovese prende avvio da echi caravaggeschi. Come vediamo nel Martirio di Sant’Orsola (1618 – 1620 ca.), esposto in mostra, omaggio all’opera di Caravaggio di eguale soggetto, Strozzi si concentra sulla superficie pittorica, tirata come in un effetto di lamine battute, create da pennellate fitte e pastose giustapposte l’una all’altra, dove la luce non entra nel ductus pittorico ma rimbalza sulla materia, come accade per il cappello del carnefice che sta per colpire Sant’Orsola.

La fase veneziana, l’ultima nella carriera di Strozzi, presenta un accentuarsi della libertà di stesura pittorica, evidente soprattutto nelle pennellate bianche dei ritratti, genere in cui è specializzato in questo periodo, come ad esempio nel Ritratto di frate cappuccino (1635 – 1640 ca.). La pennellata veloce e i contorni più sfumati creano una pittura che si sfalda nella luce.

Uso originale dei materiali è anche quello che caratterizza gli Achromes di Manzoni, quadri senza colore, più che bianchi, dove la superficie diventa un’area di libertà tendente all’infinito. E ancora di più, in questa serie di opere è centrale proprio il tema dell’assenza, come scrisse l’artista nel 1960: “Perché invece non vuotare questo recipiente? Perché non liberare questa superficie? Perché non cercare di scoprire il significato illimitato di uno spazio totale, di una luce pura e assoluta? […] la questione per me è dare una superficie integralmente bianca (anzi integralmente incolore, neutra) al di fuori di ogni fenomeno pittorico, di ogni intervento estraneo al valore di superficie: un bianco che non è un paesaggio polare, una materia evocatrice o una bella materia, una sensazione o un simbolo o altro ancora: una superficie bianca che è una superficie bianca e basta”.

A corredo dell’esposizione sarà pubblicato un catalogo con testi di Flaminio Gualdoni, Gaspare Luigi Marcone e Gabriele Reina oltre alla riproduzione di tutte le opere esposte.

La mostra è realizzata in collaborazione con la Fondazione Piero Manzoni, rappresentata da Hauser & Wirth.
Si ringrazia Aon per il supporto.

BKV Fine Art
Nata alla fine del 2023 dall’incontro di Paolo Bonacina, Edoardo Koelliker e Massimo Vecchia e specializzata in dipinti di antichi maestri e artisti italiani e internazionali del XX secolo, la galleria si trova a Milano, a due passi dalla Rotonda della Besana, in uno storico palazzo cittadino d’inizio Novecento. Tre piani signorili avvolti da boiserie e velluti alle pareti, dedicati tanto ai cultori dell’arte antica quanto a quelli dell’arte moderna. Nel maggio 2025 la galleria ha inaugurato una nuova sala pensata per ospitare progetti speciali inediti: mostre di artisti meno noti al grande pubblico, installazioni site-specific, focus tematici e accostamenti trasversali tra le arti, anche di diverse epoche.