Secondo Michelangelo Pistoletto il primo “santo dell’arte” è Papa Francesco
L’artista ha così definito il pontefice argentino: non come provocazione, ma come dispositivo simbolico che mette in gioco immaginazione, responsabilità e una nuova idea di sacro per il XXI Secolo
Il gesto compiuto da Michelangelo Pistoletto il 17 dicembre 2025 – la proclamazione di Papa Francesco come primo santo dell’arte – non si lascia leggere come una semplice trovata mediatica. Al contrario, si presenta come un atto artistico nel senso più forte: un gesto che istituisce senso, produce realtà simbolica, e ci costringe a riconsiderare il rapporto tra arte, immaginazione e sacro nel presente. Dall’immagine della croce sulla tomba a Santa Maria Maggiore alla forma video-specchiante dell’opera dell’artista: un atto che non canonizza, ma sposta di campo, riattivando un’aura dentro la tecnica e aprendo uno spazio di senso condiviso.

Il pensiero di Pistoletto su Papa Francesco
L’origine dell’opera non è teorica. È visiva. Pistoletto mi raccontò di essere rimasto colpito dalle immagini televisive della tomba di Papa Francesco a Santa Maria Maggiore: una lastra sobria, una croce. In un primo istante quella forma poteva rimandare alla crocifissione, alla sofferenza; poi, guardandola meglio, sembrò aprirsi come un orizzonte, non più un segno verticale del sacrificio ma uno spazio abitabile. È da questa “imposizione dell’immagine” che il gesto ha preso avvio, fino alla decisione maturata nel cuore della notte: “Francesco ha voluto morire da artista. Ha fatto della propria vita un’opera”.
“Francesco – Santo dell’arte”: l’opera di Pistoletto
Nel video Francesco – Santo dell’arte Pistoletto mette in scena una ritualità sobria. Il dispositivo specchiante – corpo e riflesso, presenza e distanza – impedisce qualsiasi culto diretto: non c’è un’icona da venerare, ma una macchina di rimandi che chiama in causa chi guarda. Non si tratta di “rappresentare” il sacro: si tratta di riattivarlo, o meglio: di renderne percepibile l’emersione. Santo, in fondo, rimanda a sancire: un gesto che istituisce valore. Qui avviene una traslazione decisiva: non una canonizzazione religiosa, ma uno spostamento di campo. La “santità” viene sottratta al solo registro dogmatico e riportata a una funzione simbolico-operativa: una figura di responsabilità, un’etica resa visibile, una forma di autorità morale senza potere. In questo senso, Papa Francesco appare come il pontefice che più di altri ha lavorato sull’immaginario: attraverso gesti, immagini, posture pubbliche, viaggi ai margini. La sua “opera” non è un testo, ma una pratica di mondo.
Papa Francesco, primo santo dell’arte
Il rovesciamento più interessante, però, è un altro: Pistoletto riattiva un’aura attraverso un mezzo tecnologico, digitale, post-cinematografico. Non contro la tecnica, ma dentro la tecnica. È un passaggio che incrina l’idea – ancora dominante – di un’arte contemporanea ridotta a denuncia o decostruzione, e rilancia la possibilità dell’arte come pratica istituente: capace di aprire spazi di senso condiviso. Per questo credo che di questo gesto si dovrà parlare: non perché offra una risposta, ma perché apre una possibilità. Nella mia esperienza, la santificazione artistica di Papa Francesco mi appare come un atto che, attraverso l’immaginazione, rende percepibile ciò che a lungo resta implicito: una forma di sacro non istituita, non dogmatica, ma emergente – come una figura che affiora dallo sfondo del mondo.
Francesco Monico
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