A Spoleto 5 mostre per l’estate di Palazzo Collicola. Kentridge protagonista
A Spoleto, Palazzo Collicola ospita cinque esposizioni tra arte contemporanea, archivi e paesaggi critici. E c’è il grande William Kentridge protagonista di una importante retrospettiva

Nel venticinquesimo anno dalla sua fondazione, Palazzo Collicola conferma la propria funzione di sensibile osservatorio sul contemporaneo, articolando un ciclo espositivo che tiene insieme pratiche visive, archivi, territori e memoria collettiva. Al centro del progetto, in corso fino al 2 novembre 2025, la mostra di William Kentridge, figura tra le più dense e stratificate dell’arte globale. Intorno, quattro altri progetti – tra fotografia, editoria d’artista e arte pubblica – costruiscono un racconto corale, attento alla porosità tra linguaggi e contesti.
William Kentridge a Palazzo Collicola a Spoleto
La mostra, a cura di Saverio Verini in collaborazione con il Festival dei Due Mondi, occupa per intero il Piano Nobile del museo e propone oltre cinquanta opere che attraversano gli ultimi venticinque anni di lavoro dell’artista sudafricano. Film d’animazione, disegni, sculture, taccuini e installazioni restituiscono una poetica in cui il disegno non è mai gesto formale, ma processo conoscitivo: un pensiero che si muove, si cancella, ritorna, si riscrive.
Il titolo, Pensieri fuggitivi, non è solo il nome di un’opera video ma una dichiarazione di metodo. Le immagini non sono mai fisse: attraversano echi privati e risonanze politiche, Sudafrica e Mediterraneo, memoria e militanza. L’intero impianto della mostra è giocato sulla tensione tra permanenza e transitorietà, tra le rovine della storia, la possibilità dell’immagine e la potenza della parola.
Il filo che da anni unisce Palazzo Collicola al Festival dei Due Mondi, nel 2025 prende il nome di Kentridge. Due gesti ne segnano la presenza: The Great Yes, The Great No, performance che porta in scena i temi ricorrenti della sua ricerca – la fragilità del potere, la forma del dubbio, il corpo come spazio critico – e la firma sul Manifesto di Spoleto68, un atto che inserisce Kentridge nella genealogia visiva del Festival.

Quattro sguardi sul presente: le altre mostre a Palazzo Collicola
Le altre quattro mostre, disposte nei diversi livelli del museo, costruiscono un racconto corale. Non una narrazione lineare, ma un sistema di rimandi tra archivi, paesaggi, segni e memorie. Ogni progetto attiva una diversa forma di interrogazione sul nostro presente visivo.
Stefano Cerio. Corpi d’aria
A cura di Stefano Chiodi, la mostra raccoglie due serie fotografiche realizzate in contesti fragili, segnati dal sisma (L’Aquila) o dal mutamento climatico (Brenva). Le immagini ritraggono strutture gonfiabili – cupole, tendoni, piscine – sospese in paesaggi vuoti, quasi post-umani. Cerio lavora per sottrazione, lasciando che l’impronta dell’umano sia solo evocata: forme che sembrano simulacri di socialità, o dispositivi temporanei in attesa di essere riattivati. Una grammatica del precario, dove la fotografia registra ma non spiega, e anzi amplifica la soglia tra realtà e artificio.
Listen to Your Eyes
Un inedito spaccato della collezione Primo De Donno, a cura di Viaindustriae e Saverio Verini. Libri d’artista, poesia concreta, grafica editoriale, materiali effimeri: un atlante della sperimentazione visiva dagli anni Sessanta a oggi, in cui la parola si fa immagine e viceversa. L’editoria come forma autonoma e politica dell’arte, capace di tenere insieme gesto, riproduzione e diffusione.




Mahler & LeWitt Studios. 10 anni di attività
A dieci anni dalla sua fondazione, il progetto internazionale di residenza artistica viene raccontato attraverso opere, documenti, materiali d’archivio. La mostra – curata da Guy Robertson – è una riflessione su un’idea di comunità artistica in dialogo con il contesto urbano e paesaggistico. Un archivio vivo, dove il passato recente diventa materia critica e progetto di futuro.
Festival dei Due Mondi. Manifesti 1958–2025
Una selezione di manifesti storici del Festival – da Alberto Burri a Willem De Kooning, da Anish Kapoor a Joan Miró – che ripercorre quasi settant’anni di iconografia del Festival. Non semplice memorabilia, ma affresco mutevole di un’identità pubblica: ogni manifesto è un dispositivo di senso così come ogni edizione è stata riflessione sul proprio tempo. I
Una presenza fuori asse: Gianni Politi
A margine del percorso di Palazzo Collicola, ma in dialogo con il clima del Festival e le proposte del museo, si colloca la mostra di Gianni Politi nella Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo a cura di Saverio Verini.
Il titolo – Le cose non saranno mai più come prima (del potere anarchico dell’amore) – suggerisce una riflessione sul trauma, la perdita e la possibilità di ricomposizione. L’allestimento sobrio, essenziale e rispettoso fa da contraltare a due sculture e sei tele coloratissime che abitano lo spazio.
Asia Simonetti
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