Il tesoro d’arte di Adolf Hitler sbuca a Monaco di Baviera. 1.500 capolavori di proprietà nazista, da Klee a Kokoschka, da Kirchner a Nolde: tutto come in un film (di George Clooney)

La versione della “Truman Show society” è questa: un perfetto spot per il film di George Clooney. Così i dietrologi più esasperati, quelli che non temono di sfiorare la fantapolitica, leggeranno la notizia del giorno e anche del mese, in area artistica, l’annuncio che sta facendo impazzire tutta la rete: il ritrovamento, in un appartamento […]

La versione della “Truman Show society” è questa: un perfetto spot per il film di George Clooney. Così i dietrologi più esasperati, quelli che non temono di sfiorare la fantapolitica, leggeranno la notizia del giorno e anche del mese, in area artistica, l’annuncio che sta facendo impazzire tutta la rete: il ritrovamento, in un appartamento dell’hinterland di Monaco di Baviera, del tesoro di Hitler. 1.500 opere d’arte accantonate dal nazisti, in parte perché trafugate a collezionisti ebrei, in parte perché appartenenti a quella “arte degenerata” tanto osteggiata dal regime. Ma perché lo spot al bel George? Perché The Monuments Men, l’ultimo colossal di Clooney, in uscita in Italia per la prossima stagione, si incentra proprio su questa vicenda, sul nucleo di opere d’arte sparite negli anni Trenta, che un manipolo di critici e direttori di musei cerca di recuperare in Germania.
Se non una manovra organizzata, certamente un bel colpo di fortuna. Anche perché di nuovo non c’è nulla: le vicende oggi venute alla luce grazie all’inopinato scoop di Focus Germania, risalgono al 2010/2011, ed erano tenute riservate dagli inquirenti, anche se in rete se ne trovava già traccia. Si sapeva di questo personaggio d’altri tempi, l’ottantenne Cornelius Gurlitt, nullafacente sconosciuto al fisco tedesco, privo di pensione e persino di assistenza sanitaria: un fantasma, che però un giorno viene beccato su un treno con 9mila euro in contanti, di cui non sa spiegare l’origine. Da lì – siamo nel 2010 – le indagini, la perquisizione della casa di Schwabing, sobborgo di Monaco di Baviera, e la scoperta del tesoro.
Si entra in quella che pare a sua volta la trama di un film: dietro a una parete costruita da cibo in scatola, ammassati fra sporcizia e polvere, la finanza scopre i 1,500 capolavori, opere di Beckmann, Chagall, Dix, Klee, Kokoschka, Liebermann, Kirchner, Marc, Matisse, Nolde, Picasso. Valore totale stimato, un miliardo di euro. Non c’è The Lion Tamer, di Max Beckmann, che Gurlitt – bisogna pur mangiare – aveva da poco venduto tramite la casa d’aste Lempertz a Colonia per circa 900mila euro. L’inchiesta riconduce al padre di Gurlitt, Hildebrand, un ex direttore di museo incaricato dai nazisti per vendere le opere all’estero, che invece riuscì a farle sparire, dichiarando in seguito alle truppe alleate che tutta la sua collezione era stata distrutta nel bombardamento di Dresda. Per ora vi lasciamo con questi racconti mezzo letterari, e con questi paradossali sospetti di strumentalizzazione: adesso parte la caccia alla “lista di Gurlitt”, ed alle immagini delle opere…

The Lion Tamer, di Max Beckmann, l'ultima opera venduta da Gurlitt

The Lion Tamer, di Max Beckmann, l’ultima opera venduta da Gurlitt

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Massimo Mattioli

Massimo Mattioli

É nato a Todi (Pg). Laureato in Storia dell'Arte Contemporanea all’Università di Perugia, fra il 1993 e il 1994 ha lavorato a Torino come redattore de “Il Giornale dell'Arte”. Nel 2005 ha pubblicato per Silvia Editrice il libro “Rigando dritto.…

Scopri di più