Verso la Biennale: anche Gillo Dorfles tra i sessanta artisti che firmano i chokhor del Padiglione Tibet, ruote rituali in ceramica che invocano un buon karma. Mentre l’esecuzione dei mandala diventa una live performance

Si chiamano chokhor, che nella lingua tibetana sta per “ruote della legge”. Si tratta di semplici cilindri cavi: al loro interno nastri in carta di riso portano impressi inni e preghiere nel nome del Buddha. Ogni cilindro è rotante rispetto a un perno centrale, in modo che il movimento produca lo sbriciolamento dei nastri e […]

Si chiamano chokhor, che nella lingua tibetana sta per “ruote della legge”. Si tratta di semplici cilindri cavi: al loro interno nastri in carta di riso portano impressi inni e preghiere nel nome del Buddha. Ogni cilindro è rotante rispetto a un perno centrale, in modo che il movimento produca lo sbriciolamento dei nastri e la loro dispersione rituale, a invocare un buon karma per se stessi e l’intera umanità. Sono ruote d’artista quelle che animano la seconda edizione del Padiglione Tibet ideato da Ruggero Maggi, che nei giorni della Biennale sbarca in Laguna nello SpazioPorto dell’ex Chiesa di Santa Marta. I chokhor portati a Venezia sono in ceramica di Albissola, progettati da una sessantina di artisti dai percorsi più vari e variegati – tra loro anche l’eterno Gillo Dorfles – accompagnati da opere video dello stesso Maggi e di Ciriaca+Erre, Francesca Lolli, Marco Agostinelli e Marco Rizzo. L’operazione tende a tenere alta l’attenzione sul dramma dimenticato del Tibet, che nonostante il regime torrentizio delle notizie resta ingabbiato dall’occupazione cinese, limitato nell’espressione di una cultura e una tradizione millenarie. Un saggio delle atmosfere e delle ritualità tibetane arriva, nei giorni dell’inaugurazione del padiglione – dal 29 maggio al 1 giugno – con la presenza di monaci buddisti intenti nella minuziosa esecuzione di mandala: quando la pratica religiosa si confonde con l’arte performativa

– Francesco Sala

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Francesco Sala

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