Giuseppe Penone a Firenze. La Prospettiva Vegetale che parla all’uomo

Ancora una volta ospite dell'ecosistema di una reggia, dopo Versailles a Parigi, Venaria a Torino, Villa Medici a Roma, Penone semina stavolta i suoi alberi di bronzo in una posizione quasi all'incrocio dei venti. Nel punto di un'angolazione multipla fra i blocchi in bugnato di Palazzo Pitti, le tegole rosse della cupola del Brunelleschi, l'obelisco e le statue del parco, adornate dalla vegetazione rigogliosa che ne abbraccia ogni più remoto anfratto. La recensione della mostra del vincitore del Praemium Imperiale 2014.

Qualsiasi gesto che muta fisicamente un contesto è da considerarsi scultura. Anche un respiro, perché modifica l’aria che lo circonda. Un contatto è un’azione di scultura, sebbene non sia possibile distinguere se la scultura sia il prodotto di esso, o se sia la mutazione della mano a produrne la forma. Quando si respira, introduciamo nello spazio esterno aria modificata, che ha molto meno ossigeno e caratteristiche diverse da quella circostante. È una presenza invisibile, ma è già una sagoma di scultura che ci accompagna nel corso della vita. Respirando aria contenuta nell’aria, è come se si procedesse tradizionalmente con gesso e creta, lavorando la superficie e la materia, affrontando vuoti e pieni, presenza e assenza: e tanto quanto il respiro, anche il vuoto può prendere forma, e l’invisibile rendersi visibile. Perché l’arte visiva crede nelle immagini anche quando le nega, o le mette sotto scacco. E se è vero che le forme potenti sono nel mondo da molto prima di noi, non possiamo fare altro allora che confrontarci con esse.
Bisogna amare lo spazio per descriverlo così minuziosamente come se vi fossero tante piccole molecole di mondo. E quando la natura si rifiuta di svelare da sola i segni, resta solo l’arte a poter sfoderare gli strumenti di costrizione attraverso cui quest’ultima, violentata senza il minimo danno, riesca infine a lasciarseli scappare.

Giuseppe Penone a Forte Belvedere (foto Valentina Grandini)

Giuseppe Penone a Forte Belvedere (foto Valentina Grandini)

Persuadere dolcemente la natura a rivelare i suoi più intimi segreti: questo diviene dunque il compito dello scultore, ed è ciò che da sempre compie nel suo lavoro Giuseppe Penone (Garessio, 1947), amorevole innestatore di simboli che subito vi si è addentrato per forgiare le sue creature, tanto naturalmente fittizie quanto artificialmente vive, quasi investito della divinizzante missione di estrarne la linfa vitale, lo spirito intrinseco come lo definirebbero i pagani. Ancora una volta ospite dell’ecosistema di una reggia, dopo Versailles a Parigi, Venaria a Torino, Villa Medici a Roma, l’artista semina stavolta i suoi alberi di bronzo in una posizione quasi all’incrocio dei venti, nel punto di un’angolazione multipla fra i blocchi in bugnato di Palazzo Pitti, le tegole rosse della cupola del Brunelleschi, l’obelisco e le statue del parco, adornate dalla vegetazione rigogliosa che ne abbraccia ogni più remoto anfratto.
Sullo sfondo di una tanto imponente cornice naturale, congiungendo gli spazi esterni del Forte Belvedere a quelli del Giardino di Boboli, l’artista ha scolpito per l’occasione un’inedita traiettoria tutta da percorrere, composta da ventidue opere tra alberi e marmi, di cui quattro collocate al Forte e le restanti nel Giardino. È la sua personale Prospettiva Vegetale, osservata dall’alto di un bucolico orizzonte nevralgico che geme rugiada e storia allo stesso pulsante ritmo vitale: un Corridoio Vasariano en plein air sembra svettare così parallelamente a quello reale, che proprio qui, attraverso un astuto intreccio di passaggi nascosti, collegava il Forte a Palazzo Vecchio, passando per gli Uffizi e Boboli.

Giuseppe Penone a Forte Belvedere (foto Valentina Grandini)

Giuseppe Penone a Forte Belvedere (foto Valentina Grandini)

Riprende allora proprio la linea stentorea e orgogliosa di un albero la prima scultura installata dall’artista davanti all’Anfiteatro del Giardino di Boboli, un albero dalle nodose venature di un bronzo che mima il legno, e dalle autunnali foglie color oro, urna e nido che custodisce tra i suoi rami un’enorme sfera in granito, come richiamo esplicito alla globalità dell’esistenza. Luci e ombre è il titolo di quest’opera, esemplificativo del fil rouge dell’intera mostra. La luminosità è quella del Sole, eterna fonte di vita che riverbera simbolicamente sulle lamine d’oro che ne rivestono le foglie. L’ombra è quella della profondità di un abisso al contempo reale e immaginato, concretizzato nelle radici che affondano con disperata determinazione verso il basso. “L’albero va verso il cielo, e la chioma nella sua forma ampia e sferica è un elemento vivo che si allarga e cresce per accogliere il massimo della luce. Ecco il perché della doratura che ho messo sulle foglie. Il bronzo invece è un elemento collegato alla forza di gravità, che porta giù verso la profondità della terra. Verso il buio“, racconta Penone.
Esattamente come il Brunelleschi che lo accompagna sullo sfondo, unico per la sua idea di spazio e per l’intuizione prospettica, anche Penone in fondo è alla ricerca di un ordine da dare al mondo, trovando un’unica logica possibile solo nella natura: da qui il suo desiderio irrefrenabile di respirarne l’ambiente e la materia grezza, al punto da giungere a spingersi fin dentro al nucleo dei tronchi, per scavarli e modellarli a suo piacimento, toccando e trasformando in maniera quasi alchemica l’organico nell’inorganico, e viceversa. “Sento il respiro della foresta, odo la crescita lenta e inesorabile del legno, modello il mio respiro su quello del vegetale, avverto lo scorrere dell’albero attorno alla mia mano“.

Sergio Givone, Giuseppe Penone, Cristina Acidini

Sergio Givone, Giuseppe Penone, Cristina Acidini

La sua arte risponde a quell’idea michelangiolesca di una presenza primigenia dell’opera all’interno della materia, che non a caso è propria anche di certa scultura primitiva. Giacché gli antichi sapevano bene che non si può certo usarla come si vuole, in quanto essa ha un suo carattere, fisico o spirituale che sia, che necessita comunque di essere tutelato e rispettato, qualora portato allo scoperto. Il sentiero di Penone lo rispetta ma soprattutto lo rispecchia, e incredibilmente ci rispecchia: a dispetto delle apparenze, è ricavato dalle molecole di un ambiente che, nonostante tutto, è e rimane antropomorfo. Perché l’uomo in fondo è natura e il paesaggio non è altro che il suo più complesso ed ambizioso prodotto, esattamente come lo è la cultura di quest’ultimo. E allora usiamolo, questo prodotto tanto simile a noi, per scolpirne tanti altri ancora che possano sempre più somigliarci, e magari forse anche migliorarci.

Sarah Venturini

Firenze // fino al 5 ottobre 2014
Giuseppe Penone – Prospettiva Vegetale
a cura di Arabella Natalini e Sergio Risaliti
in collaborazione con Once-Extraordinary Events
FORTE BELVEDERE
Via di San Leonardo 1
055 2768224 / 055 2768558
[email protected]

 

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