Le potenzialità del digitale. Intervista a Maria Grazia Mattei

L’emergenza Coronavirus sta dimostrando le numerose potenzialità del digitale. Ma come dobbiamo muoverci per sfruttarle al meglio? Abbiamo intervistato Maria Grazia Mattei, fondatrice e presidente di MEET, il centro di cultura digitale di Milano.

L’avanzata rapida del contagio ha scosso l’Italia e in particolare il settore culturale del nostro Paese, causandone un brusco arresto. Le maggiori istituzioni culturali, ma anche le realtà più contenute, hanno iniziato una corsa alla “condivisione online” della propria offerta formativa, evidenziando il gap tra la diffusione dei contenuti “fisica” e quella digitale.
Maria Grazia Mattei, fondatrice e presidente di MEET, il centro di cultura digitale di Milano nato nel 2018 con il supporto di Fondazione Cariplo, ha creduto nel digitale sin dagli esordi della sua carriera professionale. Dalla brillante esperienza, iniziata nel 2005, di Meet the Media Guru, open talk sul digitale in tutte le declinazioni, è riuscita a creare un luogo di riferimento della cultura mediatica in cui sperimentare le infinite potenzialità della rete per non averne più paura.

Il sistema culturale italiano, e non solo, ha dimostrato di avere ancora numerose reticenze in merito alla digitalizzazione dell’offerta culturale. Ci si domanda spesso se il digitale sia in grado di colmare il vuoto creato dall’impossibilità di fruire fisicamente gli spazi. Nella sua opinione, si potrebbero raggiungere gli stessi livelli di empatia e coinvolgimento dello spettatore anche sul web?
Ciò che accomuna, oggi, le diverse tipologie di iniziativa culturale è la riscoperta del digitale inteso come rete, evidenziandone la capacità connettiva e laboratoriale fattiva e non solo potenziale. Ci siamo resi conto del divario tra due dimensioni, quella fisica e quella virtuale, e quanto sia necessario trovare un punto di incontro. Non vogliamo assolutamente che l’online prenda il sopravvento sullo spazio fisico, ma non possiamo più ignorare il fatto che internet non sia solo un corollario, un semplice veicolo di comunicazione, ma anche uno spazio di relazione.
Una volta superato lo scoglio dell’accettazione a livello percettivo, oltre che culturale, di questo potente mezzo, il salto di maturazione avviene quando si concepisce una dimensione ibrida tra spazio fisico e virtuale, in cui confluiscono esperienze e contenuti. In questo modo si crea una connessione empatica con il fruitore, nonostante essa abbia luogo in rete.
Abbiamo assistito a un proliferare di narrazioni e, per chi ha avuto la pazienza di seguire questa fioritura di conversazioni, abbiamo assunto che ci sono molti più contenuti di quanti se ne potessero immaginare. Non a caso sono stati aperti anche gli archivi. Ora, però, c’è bisogno di entrare nel merito delle singole realtà, non solo quella museale ma anche le biblioteche, le sale concerti, l’editoria… e coinvolgere le produzioni digital first che affianchino le singole istituzioni nell’elaborazione di contenuti che siano specifici per l’esperienza online. Non basta “traslare” i contenuti dal luogo fisico al web.

Lo scarto, dunque, consiste nello smettere di concepire il web come uno strumento di comunicazione e iniziare a leggerlo come un ambiente che necessita di contenuti specifici per prendere forma…
La pandemia mondiale ha innescato repentinamente la transazione verso la digital literacy [alfabetizzazione digitale N.d.R.] e ha spinto le persone a misurarsi con le tecnologie per necessità, poiché nella rete tutti abbiamo ritrovato il contatto con l’esterno. Un cambiamento di paradigma nel nostro stile di vita enorme. E il genio, quando è uscito dalla lampada, non riesci a riportarlo dentro. Ad esempio: la Direzione Generale Musei l’anno scorso ha emesso un “libro bianco” sulla digitalizzazione e innovazione dei Musei per il triennio 2019-2021 che ora sta davvero iniziando a ingranare. Lo stesso sistema scolastico, probabilmente, troverà che l’integrazione del digitale nel suo modello educativo possa essere un valore aggiunto all’offerta formativa. Il terreno fertile c’è, le tecnologie ci sono, perfino la rete con il 5G sta potenziando le sue performance, quello che manca è una visione globale sul tema che traghetti la digitalizzazione verso una concreta linea produttiva.

Maria Grazia Mattei

Maria Grazia Mattei

È questa la visione che state mettendo sul tavolo denominato “Charrette” con L’Institute without Boundaries del George Brown College per “Ripensare la cultura”? Quali sono i progetti e le forze in campo?
L’Institute without Boundaries è un programma di formazione avanzata sul design collaborativo del George Brown College di Toronto di cui il MEET fa parte. Con loro stiamo cercando di sviluppare formule che portino in rete produzioni digital first che rispondano alla crescente richiesta di modelli di sostenibilità economica per iniziative su digitale. La metodologia adottata è stata chiamata Charrette, ed ha destato l’interesse di altri importanti istituti internazionali come l’Harvard University. Abbiamo anche creato un format, Future ways of living, già sperimentato da noi due volte in forma di grande laboratorio con ospiti internazionali, proprio per lavorare a soluzioni pragmatiche con diversi interlocutori.

Dovendo estrapolare i punti chiave per “Ripensare la cultura” cosa metterebbe in prima linea?
1.La necessità di un salto culturale di comprensione che la rete non è solo un veicolo di comunicazione ma un’occasione per sviluppare la produzione di contenuti digital first.
2. La Digital Experience: spingere progetti e produzioni che abbiano questa caratteristica, perché pensati da specialisti di settore, che puntino all’empatia e al coinvolgimento del fruitore.
3. L’internazionalizzazione: non si esce da questo empasse se si fa riferimento solo all’audience locale, italiana nel nostro caso.
4. L’ibridazione: la creatività non si deve integralmente spostare nella rete ma bisogna sviluppare progetti ibridi già in fase di produzione, e non successivamente. Che si tratti di una mostra, di un concerto, di una pubblicazione, questa è la chiave di volta per creare nuovi risvolti economici anche in questo settore.

In un sistema economico del comparto culturale sostenuto dalla fruizione fisica degli spazi, e dunque dalla “bigliettazione”, quali sono le soluzioni che il digitale può offrire per far sì che si inneschi un sistema di sostentamento economico delle attività culturali alternativo?
Per rispondere porto l’esempio del Transmedia Storytelling. Quando Jeff Gomez nel 2012 è venuto a parlarci della sua esperienza ci ha messo davanti alla lampante evidenza che un settore in particolare, quello del gaming, era stato in grado di stabilire interazioni con il mondo dell’editoria, della televisione, del cinema, facendo confluire i contenuti dei diversi media nella digital experience del gioco online. Il risultato è stata una diffusione a macchia d’olio di informazioni che, se relegate a un solo campo di quelli elencati, avrebbe raggiunto un numero di fruitori infinitesimale rispetto a quelli realmente coinvolti. La domanda giusta da porsi non è: “come faccio a guadagnare in rete?”, ma quali risorse mettere in campo quando si genera un progetto culturale che sia anche digitale. Per me la rete è letteralmente un ambiente, mi è stato chiaro dalla prima volta che abbiamo aperto le porte della Mediateca Santa Teresa a Milano per Meet the Media Guru: la sala aveva un numero limitato di posti ma fuori il network era composto da migliaia di potenziali ascoltatori.

Nancy Proctor a Meet the Media Guru, Palazzo Litta, Milano 2017

Nancy Proctor a Meet the Media Guru, Palazzo Litta, Milano 2017

Non a caso MEET è pioniere, con le sue iniziative, dell’esperienza digitale e oggi siete pronti a inaugurare la vostra sede fisica a Milano, segno che forse quello che sembra un paradosso è in realtà una concreta scelta strategica. Quali saranno le vostre prossime attività?
Il MEET è stato pensato come lo snodo fisico di una rete virtuale. È nel suo DNA. La programmazione “metterà in pratica” la connessione e l’interazione digitale non lavorando localmente come “piccolo museo” ma come nodo fisico di un network internazionale e generando occasioni di scambio, di laboratorio, attraverso “n” format. Segno distintivo è la sua forte connettività all’interno e dall’interno vedo l’esterno: il MEET ha tre piani interconnessi ‒circa 1500 metri quadrati progettati dall’architetto Carlo Ratti ‒ e ogni spazio può essere se stesso e un’altra cosa (spazio digitale, immersivo, che connetta a distanza le realtà coinvolte). La formula potrà essere quella della mostra ma la finalità sarà sempre quella immersiva. Per farlo abbiamo immaginato una sala con 15 proiettori, iperconnessa con l’esterno, in cui trasmettere performance live e collaborative. Anche l’auditorium sarà cinema, sala talk, ma solo per 200 posti, a dimostrazione del fatto che lo spazio fisico non è un limite reale quando c’è la rete a raggiungere chi, fisicamente, non può esserci. Immersione, collaborazione, connessione, sperimentazione internazionale, tutto accade qui ma tutto accade (anche) in rete.

Chi sarà il primo ospite?
Prima del virus avevamo organizzato una tradizionale inaugurazione dello spazio, con una mostra con installazioni digitali sulla realtà virtuale. Oggi la modalità inaugurale sarà necessariamente ridisegnata per adeguarci alle condizioni attuali, ma alcuni nomi restano. Il primo è Refik Anadol, media artist e regista turco, che crea ambienti immersivi lavorando sull’intelligenza artificiale e sulla memoria. Ci saranno performance in diretta nello spazio immersivo, delle vere opere d’arte digitale senza oggetti fisici e molto forti a livello emotivo. Non mancheranno i laboratori, che porteremo anche online… Non c’era in Italia un centro di cultura digitale ma in Europa sono tante le realtà simili alla nostra e noi stiamo attivando con esse diversi scambi. Charrette è solo una tra tante iniziative e ciò che circolerà non saranno solo le informazioni ma anche le produzioni.
Si è aperta una porta e la reazione è stata straordinaria. Si è visto il ritorno a un pensiero sulla rete vicino a quello più utopico originale: la democratizzazione e l’uso di uno strumento che sia a servizio della società. È tornato il buono della rete.
Bisogna lavorare su queste nuove strade perché non ci sono soluzioni già battute, ma ci sono diverse esperienze che, messe in dialogo, possono fare concretamente la differenza.

Flavia Chiavaroli

https://www.meetcenter.it/it/home/

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Flavia ChiavarolI

Flavia ChiavarolI

Architetto, exhibition designer e critico freelance. Osservatrice attenta e grande appassionata di architettura ed arte moderna e contemporanea riporta la sua esperienza nell’organizzazione di workshop, collabora con artisti e fotografi e aggiornando i principali social network. Dal 2012 si occupa…

Scopri di più