Mostre multimediali: una risorsa strategica?

Format espositivo fra i più utilizzati oggigiorno, le mostre multimediali rappresentano una risorsa preziosa, nell’ottica di promuovere il patrimonio culturale in maniera accessibile e intuitiva. Ricorrendo a un know-how tecnologico e a una professionalità che in Italia non mancano.

Se parliamo di mostre e di musei (ma soprattutto di mostre) forse è il settore più in crescita, in sommovimento, in sviluppo. Almeno nel nostro Paese. Non per caso è uno degli ambiti che negli ultimi mesi abbiamo cercato con maggior attenzione di analizzare e decrittare, andando a caccia delle prospettive e delle chiavi di lettura di addetti ai lavori, critici, curatori, organizzatori e imprenditori.
Parliamo delle mostre multimediali. E già qui è necessario il primo distinguo, perché la confusione, come accade quando si ha a che fare con qualcosa di “nuovo” (per quanto si possa considerare nuova la multimedialità…), è elevatissima.
Una prima distinzione sommaria può essere tra mostre che hanno la multimedialità e la tecnologia come contenuto (artisti che usano la tecnologia, realtà virtuale utilizzata come opera d’arte e via dicendo) e mostre che invece hanno la multimedialità e la tecnologia come mezzo e strumento per capire e interpretare meglio, per divertirsi di più, per incrementare l’attenzione e per coinvolgere.

Le istituzioni (ma anche le fondazioni private, ad esempio quelle bancarie) dovrebbero prestare maggiore attenzione a questo specifico settore di ricerca e produzione, perché qui l’Italia ha ancora tutte le carte per dire la propria a livello globale”.

In questa fase ci interessa il secondo ambito. Ed è proprio incentrato sul coinvolgimento il punto di partenza. Esperienzialità, interazione, immersività. Tutti concetti relativamente nuovi, se applicati a una mostra, ma tutti concetti che hanno un unico, semplice, banale, ancestrale target: il coinvolgimento. Come coinvolgere di più le persone? Come carpire l’attenzione di un pubblico sempre più distratto e abituato alle straordinarie possibilità di engagement che anche un mero telefono riesce a esprimere? Come convincere i più giovani, nativi digitali al mille per mille, a frequentare una mostra d’arte o a entrare in un museo? La sfida in definitiva è questa ed è straordinariamente interessante analizzare chi sta cercando di intraprenderla.
Fra l’altro la fase pionieristica è passata. Ci sono state forzature, c’è stato cattivo gusto nel presentare ricostruzioni e percorsi virtuali, c’è stata una terrificante autoreferenzialità tecnologica. Oggi, grazie alle riflessioni scientifiche sul tema e grazie ai miglioramenti tecnologici, tutto questo è ancora presente, ma in netta diminuzione. Anche perché molti studiosi, storici dell’arte, museologi hanno superato le tare e gli imbarazzi e si sono gettati nella partita, raccogliendo la sfida.
Di tutto questo, come si diceva sopra, abbiamo parlato a lungo e l’invito è davvero a riprendersi i numeri precedenti di Artribune, dove ritrovate (in due puntate) un condensato di dibattito non certo esaustivo ma illuminante.

UN SETTORE STRATEGICO

Quello che non abbiamo sottolineato, però, ce lo siamo tenuto buono per sottolinearlo in questo editoriale estivo, di passaggio fra due stagioni, e quindi utile per buttar giù i propositi per l’annata lavorativa a venire. Siamo convinti, infatti, che questo settore sia non solo interessante, non solo culturalmente e artisticamente rilevante, non solo di grande potenzialità per aumentare il pubblico dei musei, andando a toccare persone che proprio grazie a certe scorciatoie tecnologiche potranno smettere di considerare l’esperienza culturale qualcosa di avulso da sé. Siamo convinti che questo settore sia qualcosa di più: che sia strategico per il sistema Paese. Che sia insomma un ambito dove si possa e si debba scommettere a livello produttivo, in termini di nuove opportunità di lavoro, di sviluppo economico, di crescita delle aziende. Le istituzioni (ma anche le fondazioni private, ad esempio quelle bancarie) dovrebbero prestare maggiore attenzione a questo specifico settore di ricerca e produzione, perché qui l’Italia ha ancora tutte le carte per dire la propria a livello globale: ci sono le competenze, c’è la capacità ideativa, c’è il know-how, c’è la creatività necessaria alle aziende. L’Italia può essere, insomma, il posto dove deve venire chi vuole sviluppare questi applicativi che, giocoforza, saranno sempre più richiesti dai musei e dagli organizzatori di mostre di tutto il mondo.
Di più. L’Italia può e deve essere il luogo dove questi strumenti trovano la più ampia e compiuta applicazione. Non tanto per ciò che riguarda le grandi mostre multimediali che abbiamo avuto modo di analizzare nell’ultima stagione (van Gogh, Caravaggio o Klimt) quanto per l’archeologia che, effettivamente, in Italia non difetta in termini di qualità e quantità. Un esempio di eccellenza si è visto all’Ara Pacis di Roma (anche qui tecnologia italiana, appunto!) con il progetto L’Ara com’era; un altro caso interessante è nell’area archeologica di Brescia. Ma immaginiamoci cosa potrebbe diventare per i turisti l’archeo-patrimonio italiano quando riusciremo a renderlo fruibile con una realtà aumentata degna di questo nome. Cosa c’è di più strategico di qualcosa che rende i tuoi beni culturali più fruibili, più comprensibili, più accessibili, più appetibili per un turismo di qualità, e il tutto realizzato con una tecnologia e con professionalità che risiedono nel tuo Paese?

Massimiliano Tonelli

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #38

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Massimiliano Tonelli

Massimiliano Tonelli

È laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Siena. Dal 1999 al 2011 è stato direttore della piattaforma editoriale cartacea e web Exibart. Direttore editoriale del Gambero Rosso dal 2012 al 2021. Ha moderato e preso parte come relatore a…

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