Napoli secondo Dolce & Gabbana. Lo spot dei cliché con i vip di Game of Thrones

Tutti pazzi per Il Trono di Spade. Un po’ meno per i due spot di Dolce & Gabbana, che vedono protagonisti due attori della celebre serie tv americana. Le critiche non sono mancate, nonostante la sontuosa produzione. Troppi cliché? Secondo gli stilisti questa è Napoli: pizza, Pulcinella e feste in strada. Senza fare troppo gli intellettuali…

Per il sud Italia hanno un amore viscerale, una felice ossessione. Tanto da averne fatto la loro musa eccellente: un pozzo di ispirazioni, umori, stili, memorie, seduzioni. Corrispondenze di infuocati sensi. Domenico Dolce e Stefano Gabbana hanno trasposto nelle loro collezioni quel tripudio di folclore, religiosità, esotismo ed erotismo, esuberanza e idolatria, miseria e nobiltà, che nell’immaginario collettivo incarna l’anima del meridione. È lo spirito creativo alla base di t-shirt, abiti, accessori, e poi spot, fashion show, campagne pubblicitarie.
Un universo riconoscibile, sostenuto da una narrazione forte e squisitamente pop: il fenomeno Dolce & Gabbana, gioiosa macchina da guerra mediatica, mette insieme Hollywood, la Casa Bianca, Mediaset, le feste a Portofino, l’armadio di Madonna o Simona Ventura; ma anche le periferie urbane di un’Italia un po’ tamarra e un po’ sentimentale: le stesse che i due stilisti saccheggiano qui e là con scaltrezza e di cui sono al contempo inarrivabile modello, fra mutande contraffatte e trend virali.
E intanto il pubblico si divide: chi li ama, per quest’estetica preziosa e ruffiana, che schiaccia l’occhio al kitsch e al popolare, e chi li detesta per le stesse ragioni.

NAPOLI E IL TRONO DI SPADE. GLI SPOT CHE NON INCANTANO

L’ultima occasione di dibattito è la video-doppietta pubblicitaria dedicata al profumo The One, versione pour femme e pour homme. Gli ingredienti sono giusti: un super brand, una grossa produzione, la firma di un apprezzato regista italiano come Matteo Garrone; ma soprattutto la partecipazione di due star: Emilia Clarke e Kit Harington, la “Madre dei Draghi” e il “Guardiano della Notte” del mitico Trono di Spade, serie tv che ha sedotto orde di fan in tutto il pianeta.
Dal fantastico mondo dei Sette Regni, Emilia e Kit si sono trovati nel cuore di Napoli – lei con un sexy tubino nero, lui in camicia bianca e giacca blu -, passeggiando tra la folla al ritmo di “Tu vo’ fa’ l’americano”, l’intramontabile hit anni ’50 di Renato Carosone. Tutt’intorno maschere della commedia dell’arte partenopea, marinai, bancarellai, pescivendoli, pizzaioli, arzille vecchiette, signore gaudenti e bambini danzanti… Set esplosivo: lei si rimpinza di spaghetti, lui balla, tutti cantano e ridono, in un chiasso trionfale esploso attorno ai due stranieri. Belli e stregati.
Gli spot, però, non hanno fatto breccia. E stavolta tocca dare ragione alla vox populi. Stereotipi su stereotipi, as usual. Un’infilata di dejà vu spinti fino alla macchietta, e la cosa certo non indigna – quello dell’indignazione facile è ormai l’inutile sport del Paese – ma fa molto sbadigliare.

Il punto non è tanto l’aver raccontato una Napoli lontana realtà, come hanno lamentato alcuni: uno spot non è un documentario o un film neorealista. Il punto è non offrire un balzo in avanti, uno scarto, una vera fascinazione. Che poi, un pezzo di Napoli c’è davvero in quest’allegra parata. Sembra di vederle, in versione amplificata, le veraci feste prematrimoniali consumate nei vicoli dei Quartieri Spagnoli, davanti alla telecamere del Boss delle Cerimonie. Ma allora molto meglio l’originale, rispetto alla copia patinata confezionata da una griffe.
E giustamente s’è difeso, Gabbana, con un lungo messaggio via Instagram: “Chest fa venì e turisti a Napule: i miti, i luoghi comuni, le figurine stampate nell’immaginario collettivo, gli stereotipi, mica le dissertazioni sociologiche e le sofisticherie intellettuali”… Questa è la Napoli che piace, dice lui: quella da cartolina, quella dei souvenir. Gli ‘intellettualismi’ (se così vogliamo definire tutto ciò che va oltre il pittoresco) non portano numeri, né poesia. Sarà.
E in effetti i primi a crederci, non di rado, sono proprio i destinatari stessi dei luoghi comuni. Un esempio in tema: il corno rosso alto 60 metri, che il sindaco De Magistris vuole installare sul Lungomare di Napoli per le prossime feste di Natale, che tipo di messaggio dà? Spazi pubblici intitolati alla più scontata rappresentazione folk, valorizzati (si fa per dire) da mega souvenir apotropaici. Stereotipi anti-sfiga. L’immagine che diamo di noi – in questo come in altri mille casi – sopravvive in molte forme, inevitabilmente: pubblicità incluse.

L'abito di Dolce e Gabbana sipirato al Gattopardo, Palermo, 2017

L’abito di Dolce e Gabbana ispirato al Gattopardo, Palermo, 2017

LUSSO E CLICHÉ A PALERMO

È un po’ la stessa sensazione che restava appiccicata addosso scorrendo i modelli della collezione Alta Moda AI 2017/18, presentati in pompa magna lo scorso luglio a Palermo. Stampa in fibrillazione, ricevimenti esclusivi, vagonate di vip, location monumentali – da Piazza Pretoria al Duomo di Monreale – per quello che è stato l’evento dell’estate.
Una bella occasione di visibilità per la città, ma sull’abito-cassata tutto glassa e marzapane, sul vestito da gran ballo con maxi effige del Gattopardo, sui pomposi longdress ispirati ai carretti siciliani, sul tubino luccicante blu e oro con tanto di icona bizantina, sulle canotte con ricette illustrate, sul tripudio di ex voto, piume, decori sgargianti, pon pon, mazzi di fiori, merletti, borse di paglia, sacre corone imperiali… Le perplessità sono più d’una.
Un carnevale fiammeggiante, zeppo di cliché, che resta concluso in sé stesso: quanta forza c’è nel processo di elaborazione del gusto, nella ridefinizione dello stile, nella rilettura dei segni, dei simboli, delle storie? Il mero quadretto della tradizionale resta tale, anche se la fattura è di pregio e il lusso da capogiro.

L'abito cassata di Dolce e Gabbana presentato a Palermo

L’abito cassata di Dolce e Gabbana presentato a Palermo

PIÙ NOIA CHE MAGIA

Si tratterebbe, in alternativa, di attingere dalla tradizione per estrarne altri coté, altre aperture, livelli sommersi o laterali. L’elemento magico, quello simbolico, quello differente e controverso – e mai il Sud fu tema più azzeccato – si fanno materia estetica e poetica quando la costruzione dei miti d’oggi si misura col tessuto profondo dei grandi miti di sempre. Ma “Il piccolo-borghese è un uomo incapace di immaginare l’Altro”, per dirla con Barthes. E quando l’altro si mostra irriducibile, non addomesticabile, ecco che viene trasformato in “puro oggetto, spettacolo, marionetta”. È  qui che l’”esotico” appare.
C’è allora una complessità nel discorso della e sulla moda, qualcosa che sul piano del corpo, della pelle, del gusto e dell’immaginario collettivo affronta un intreccio di stereotipi, conflitti, eredità, desideri, tradimenti, mutazioni, travestimenti e denudamenti, sfiorando vecchie mitologie e provando a costruirne di nuove. Sfida non facile: il banale è in agguato là dove identità e memoria, masticate in superficie, si infiacchiscono tra la copia, la retorica o la decorazione inutilmente fastosa. Lo scarto non arriva, la noia sì.

– Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, giornalista, editorialista culturale e curatrice. Ha innsegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a…

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