Hillary Clinton e il Nasdaq. L’editoriale di Aldo Premoli

Facebook e Google, Microsoft e Apple. Sono queste le aziende che sostengono la Clinton. Insieme a una manciata di potenti del fashion system. Tutto molto progressista…

Il mainstream è tutto con lei. Ma non sarei così sicuro che questa sia una buona notizia per Hillary Rodhman Clinton. Durante la New York Fashion Week di febbraio, Anna Wintour, la “potentissima” direttrice di Vogue America, alla sfilata di Marc Jacobs indossava la t-shirt appositamente disegnata dallo stesso stilista con il volto della candidata alle elezioni presidenziali trattato con un tripped-out che sarebbe piaciuto a Warhol. Mica il solo, perché di t-shirt limited edition nella linea Made for history in vendita sullo shop online della Clinton ci sono pure quelle di Tory Burch e Dao-Yi Chow and Maxwell Osborne di Public School. Oltre alla fashion community, Hillary ha alle spalle anche potentati della new economy come Google, Apple, Microsoft e Facebook. I loro fondatori, del resto, si fanno ritrarre quasi sempre in t-shirt, sottolineando la loro coolness in contrapposizione con i completi dei banchieri di Wall Street, di quelli dei magnati del petrolio o di quelli, meno esposti ma non meno potenti, dei produttori di armi.

Tory Burch per Hillary Clinton

Tory Burch per Hillary Clinton

Tutto chiaro, dunque: di qua Hillary e i progressisti, di là i conservatori, il grottesco Trump e coloro che lo hanno sfidato durante le primarie repubblicane, ovvero il pistolero Cruz, il non meno insidioso Rubio. In realtà qualcosa non quadra: a partire dal fatto che i primi quattro titoli per capitalizzazione del Nasdaq di New York non appartengono a un’industria farmaceutica, a una petrolifera e a un produttore di armi, ma appunto a Google, Apple e Microsoft.
All’interno dello stesso partito democratico e dello staff della Clinton, partita con un enorme vantaggio sui rivali nella corsa alla candidatura, sono in molti a domandarsi come sia stato possibile che un 75enne come Bernie Sanders abbia attratto tanti voti e soprattutto fosse votato dai più giovani. Sanders non ha esperienza di politica estera e propugnava una visione del welfare più simile a quella di un Paese europeo che a quella classica made in Usa. Il voto che lo ha raggiunto è soprattutto un voto anti-Clinton: Hillary fa parte di una dinastia politica da molti ormai considerata irritante. In politica estera e per quel che riguarda la regolamentazione bancaria, il suo programma è assolutamente indistinguibile da quello dei repubblicani. Sanders si è invece espresso senza ambiguità per quel che riguarda diseguaglianza economica, sociale, di razza, di sesso e contro l’imperialismo. Obama diceva cose molto simili durante le sue primarie, anche se via via è diventato più “realista”.

Maxwell Osborne and Dao-Yi Chow of Public School per Hillary Clinton

Maxwell Osborne and Dao-Yi Chow of Public School per Hillary Clinton

Dunque, il ragionamento di molti giovani americani era il seguente: difficilmente Bernie ce la farà (e infatti non ce l’ha fatta), ma se alle primarie la Clinton già si esprime come sta facendo, siamo alla frutta. L’impatto della t-shirt da 45 dollari indossata da Anna Wintour su questo elettorato è stato nullo, proprio come è accaduto per la carta patinata, per i grandi marchi del lusso e per certi show off ormai fuori dal tempo, non facile, che siamo vivendo

Aldo Premoli
trendforecaster e saggista

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #29

Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua 
inserzione sul prossimo Artribune

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

Scopri di più