Architetti d’Italia. Mario Cucinella, il tecnologico

Nuovo appuntamento con i protagonisti dell’architettura nostrana raccontati da Luigi Prestinenza Puglisi. Questa volta a finire sotto i riflettori è Mario Cucinella, considerato uno degli eredi di Renzo Piano, ma in realtà munito di una grande autonomia progettuale. Complice un intelligente approccio alla tecnologia, ancora non del tutto accettato in Italia.

C’erano diverse ragioni per meravigliarsi quando nel 2014 il neo designato senatore a vita Renzo Piano individuò in Cucinella, Alvisi e Milan i tutor dei giovani progettisti che all’interno del laboratorio G124 avrebbero affrontato il tema delle periferie.
Sembrava, infatti, che i rapporti tra Piano e Cucinella fossero stati, per usare un eufemismo, imbarazzati, a causa delle tante voci che volevano l’uno come erede dell’altro. E ciò, come avviene in tutte queste forzate attribuzioni, piace poco al Maestro, che non ha alcuna voglia di cedere il primato, e al discepolo, il quale vede di cattivo occhio il fatto che non si riconosca l’originalità della propria ricerca.
Come in tutte le scelte di Piano, la designazione dei tre tutor era, invece, strategicamente perfetta. E non solo perché Alvisi, Cucinella e Milan vantavano un profilo professionale ed etico ineccepibile, ma proprio perché i tre si muovevano lungo strade diverse. Affiancandoli e ponendoli sullo stesso piano, si troncava sul nascere ogni discorso sull’eredità culturale, mostrando appunto che il Maestro si era mosso in direzioni molteplici e che quindi, se proprio si voleva porre la questione, la si sarebbe dovuta affrontare in modo diverso.
Lasciamo per adesso Milan, un ingegnere che ha collaborato a lungo con Piano e con altri importanti studi professionali, ed esaminiamo i profili divergenti dei due architetti Alvisi e Cucinella.

EREDITÀ A CONFRONTO

Se Massimo Alvisi può ricordare il Piano della Fondazione Beyeler a Riehen, cioè l’architetto elegante e attento al dettaglio, Mario Cucinella ricorda il Piano che continua a fare i conti con il Centre Pompidou, sia pure dopo averlo filtrato con la tecnologia più soft.
Di queste due anime è bene sottolineare che, in Italia, è più apprezzata la prima.
Le strutture tecnologiche piacciono poco mentre è preferito l’High Touch, cioè il bello stile, moderno quanto basta, lussuoso senza ostentazioni e nello stesso tempo intelligente, colto e contestuale e magari con una facciata di legno e un tetto verde. Lo testimonia, oltre al crescente apprezzamento per lo studio di Alvisi e della sua partner Kirimoto, il successo di De Lucchi, Piuarch e Park Associati, solo per citarne tre fra i più bravi e che, ciascuno a modo proprio, sono anch’essi i protagonisti di un certo modo di intendere l’eredità Piano.
Il successo di critica e di pubblico diminuisce invece quando si vuole trovare un collegamento tra la forma e un’idea tecnologica più avanzata delle consuete, quando cioè l’edificio non corrisponde alle regole del decoro urbano o architettonico o delle mode e voglia, invece, essere il prodotto di una logica formativa interna, per esempio di un diverso modo di captare o di gestire l’energia.

Mario Cucinella Architects, Centre for Sustainable Energy Technologies, Ningbo, photo Daniele Domenicali

Mario Cucinella Architects, Centre for Sustainable Energy Technologies, Ningbo, photo Daniele Domenicali

IL CORPO A CORPO CON LA TECNOLOGIA

Ebbene, questo corpo a corpo con la tecnologia in Italia non è mai stato ben visto, nonostante il fatto che non si siano mai raggiunti gli eccessi dell’architettura parametrica, quella alla Greg Lynn, che, deformando in maniera grottesca i volumi per ottenere performance solo in teoria strabilianti, sanno un po’ di parodia.
Lo stesso Piano ha faticato non poco per sdoganare il certamente non parametrico Centre Pompidou e le sue costruzioni in cui più forte si sentiva l’imperativo tecnologico.
L’approccio verso l’architettura che Cucinella potrebbe rivendicare riguarda sicuramente questo secondo aspetto: basta pensare all’edificio costruito per i Guzzini o il Centre for Sustainable Energy Technologies di Ningbo.
Il risultato è stato che, proprio per tale atteggiamento sperimentale e fiducioso nel progresso, Cucinella, pur essendo apprezzato da un pubblico soprattutto di giovani, non riesce a sfondare nell’Italia nostalgica, cinica e disincantata. E così raccoglie molti più risultati, premi e riconoscimenti all’estero, soprattutto nel mondo anglosassone, dove è considerato il migliore progettista italiano della sua generazione che da noi, dove è visto come un ingenuo tecnocrate, che si illude di poter realizzare case sostenibili a 100mila euro, dimenticandosi di pensare a ben più fondanti temi heideggeriani o neotafuriani.
Anche i suoi rapporti con l’università, se si escludono alcuni recenti avvicinamenti grazie all’intelligente e preveggente opera di Maurizio Carta, sono stati molto problematici a partire dai suoi rapporti tempestosi con l’Università di Ferrara. Ma che le università sembrino fare di tutto per allontanare i migliori progettisti pare sia oramai un fatto assodato.

CUCINELLA E L’ETERONOMIA

Se dovessi scrivere un saggio sull’opera dell’architetto, lo intitolerei certamente: Cucinella o dell’eteronomia.
Osservate le sue opere e mai in nessuna troverete una citazione storica, un riferimento letterario. Non nel senso che non ce ne siano, ma che sono del tutto irrilevanti rispetto al senso dell’opera che punta a ottenere performance e ispirare comportamenti, azioni, reazioni.
E questo fu, credo, il guaio delle celebri Gocce da lui progettate per il centro di Bologna. L’opera, nonostante la sua discrezione, il suo rifiutarsi di diventare un inserimento urlato e nonostante recuperasse a uso pubblico un sottopasso inutilizzato e degradato, non aveva appeal classicheggiante e nemmeno un elemento stilistico che lo facesse passare per tradizionale. Dialogava con il contesto, oltretutto fasullo e in gran parte ricostruito in stile, ma parlando una lingua moderna.
Cucinella, che in quegli anni aveva in ballo il più grande progetto degli edifici del Comune, di fronte alla crescente protesta popolare si trovò con le mani legate e dovette accettare l’umiliazione di vedere smontata la propria opera, senza poterla difendere. Imparò, credo, due lezioni. La prima è che in Italia chi tocca il centro storico muore. Come ha insegnato lo stesso Renzo Piano che, quando ne parla, tira fuori le categorie del dov’era e com’era: tranquillizzatevi, amici miei, sembra dire, non voglio modificare alcunché. La seconda è che l’architettura deve fare di più che ottenere performance e suscitare azioni e reazioni. Deve produrre empatia. E difatti questa parola è sempre più ricorrente negli ultimi scritti e nelle recenti conferenze di Cucinella. È un destino: in Italia se non si è High Touch almeno occorre essere empatici. Siamo nati per piacere. E il piacere conta più che il convincere. O forse si convince solo piacendo.

Mario Cucinella Architects, COIMA, Porta Nuova, Milano

Mario Cucinella Architects, COIMA, Porta Nuova, Milano

LA TECNOLOGIA COME METODO

Dicevamo che Cucinella è uno dei pochi architetti italiani a credere a qualcosa di preciso: la tecnologia. E proprio per questo ne ha una visione che non corrisponde a quella dell’immaginario fantascientifico, che tende a vederla in termini esclusivi di ferro e vetro. La sua visione la raccontava con una diapositiva nelle sue prime lezioni: un cammello, con una antenna per essere localizzato con il GPS, che portava in groppa un pannello solare che serviva a refrigerare un mini frigorifero con delle medicine. Il cammello era infatti il compagno di un medico condotto (niente a che vedere con l’architetto condotto di Renzo Piano, che è una straordinaria finzione retorica per tranquillizzare Sgarbi, Settis e Italia Nostra) che si muoveva tra i villaggi nel deserto per portare assistenza e, appunto, medicinali e vaccini non deteriorati dal caldo.
Un esempio, quindi, in cui convivono, senza troppi problemi di coerenza formale, tecnologie antiche e moderne, tese a perseguire il risultato con il massimo impiego di intelligenza e il minimo impiego di mezzi. In questo senso la lezione principale di Cucinella è che la tecnologia è un metodo di sopravvivenza, di utilizzo delle risorse. Un metodo, non uno stile. Se riuscirà a introdurre in Italia questo modo di ragionare, vedrete che diventerà il nostro più importante architetto. Per farlo non dovrà farsi prendere troppo da ansia da empatia. E Cucinella è un troppo abile venditore per rinunciare a questa voglia di essere accettato. Ma il percorrere questa scorciatoia sarebbe un peccato perché, in fondo, è, fra gli eredi di Piano, quello che ha le qualità per tradirlo, denunciandone la deriva High Touch, bella ma senza sbocchi significativi, recuperandone l’anima modernamente tecnologica, riuscendo così a mettere a frutto la sua lezione migliore.

Luigi Prestinenza Puglisi

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Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi (Catania 1956). Critico di architettura. Collabora abitualmente con Edilizia e territorio, The Plan, A10. E’ il direttore scientifico della rivista Compasses (www.compasses.ae) e della rivista on line presS/Tletter. E’ presidente dell’ Associazione Italiana di Architettura e Critica…

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