È morto a 76 anni il filosofo e teorico dell’arte Mario Perniola

Ad annunciarlo su Facebook l’amico e allievo Giuliano Compagno. Perniola, originario di Asti, insegnava all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata ed era uno dei più importanti filosofi italiani, protagonista del dibattito sul contemporaneo.

“Mario Perniola ci ha lasciati. Era un grande filosofo. È stato Maestro e Amico di una vita. Il suo pensiero non ci ha lasciati. È rimasto qui”. Così Giuliano Compagno, allievo e amico di Mario Perniola, comunica in una nota su Facebook la scomparsa dello scrittore e saggista, teorico dell’arte contemporanea. Sullo stesso social network che il filosofo aveva definito in una lunga intervista su L’espresso, datata 2016 e a firma di Umberto Sebastano un potenziale “cimitero virtuale ecumenico e globale”.
Perniola era nato ad Asti il 20 maggio 1941, aveva 76 anni. Si era formato all’Università di Torino, sotto la guida di Luigi Pareyson, ma nel periodo di studi aveva incontrato anche Gianni Vattimo e Umberto Eco, di soli dieci anni più grandi. Negli anni della contestazione era stato strettamente in contatto con il movimento situazionista di Guy Debord, con cui diventa amico e con il quale avvia un fruttuoso confronto. Dall’approccio situazionista nasce la rivista Agaragar, da Perniola ideata e diretta dal 1971 al 1973. Sono innumerevoli le riviste ideate e le cattedre ricoperte da questo straordinario intellettuale italiano. Fino alla cattedra di ordinario di estetica all’Università degli studi di Roma Tor Vergata, dove ha fondato il Centro studi e documentazione Linguaggio e Pensiero e la rivista di studi culturali e di estetica «Ágalma». Con lo stesso nome nel 2000 aveva avviato per i tipi di Mimesis la rivista di studi culturali e di estetica Ágalma, alla quale hanno collaborato nel tempo Gillo Dorfles, Massimo Donà, Jean-Marie Straub, tra gli altri.

Mario Perniola – L'arte espansa - Einaudi

Mario Perniola – L’arte espansa – Einaudi

IL PENSIERO SULL’ARTE

Importante il suo contributo alla teoria dell’arte contemporanea, con testi come I situazionisti, del 1972, in cui racconta la storia del movimento, L’alienazione artistica, del 1971 che ripercorre la relazione tra arte ed economia in periodi come l’Antica Grecia e il Rinascimento, insospettabili eppure all’origine della compromissione della creatività attraverso quello che oggi definiremmo “mercato” o “sistema”. Ma di arte Perniola aveva scritto tantissimo. Negli ultimi due decenni erano usciti per Einaudi L’arte e la sua ombra (2000), Il sex appeal dell’inorganico (Einaudi, 2004) e L’arte espansa (Einaudi, 2015), che Artribune aveva raccontato qui. “L’arte”, spiegava nel primo, “oggi più che mai, lascia dietro di sé un’ombra, una sagoma meno luminosa in cui si ritrae quanto di inquietante e di enigmatico le appartiene. Quanto più violenta è la luce con cui si pretende di investire l’opera e l’operazione artistica, tanto più nitida è l’ombra che esse proiettano; quanto più diurno e banalizzante è l’approccio all’esperienza artistica, tanto più l’essenziale di essa si ritrae e si protegge nell’ombra”. E, scagliandosi contro la commistione sempre più forte tra arte e comunicazione, rincarava la dose ne L’arte espansa: “La bolla speculativa di quel ‘mondo dell’arte’, iniziato alla fine degli anni cinquanta del Novecento e caratterizzato dalla solennizzazione culturale delle avanguardie storiche, il cui nume tutelare fu Marcel Duchamp, è finalmente scoppiata. Essa aveva creato un microambiente culturale che ha cercato per cinque decenni di rinnovarsi continuamente, ricorrendo a tutta una serie di mode più o meno effimere che si presentavano sotto nomi provocatori e preoccupandosi soltanto di mantenere sotto il controllo di pochi galleristi, collezionisti e mediatori rapaci, con la complicità delle istituzioni pubbliche, il diritto alla legittimazione e alla consacrazione di prodotti che solo nominalmente potevano essere definite ‘opere d’arte’, ma erano in realtà feticci artistici”.

GLI ULTIMI LIBRI

Tra gli ultimi libri è uscito nel 2016 per Mimesis (insieme a Estetica italiana contemporanea, Milano, Bompiani, 2017), Del terrorismo come una delle belle arti. Storiette che racconta le vicende grottesche di un militante trotskista argentino, condannato a morte dai suoi ex compagni di partito, con sentenza da eseguirsi il giorno della rivoluzione. A questa storia si intrecciano le vicende della rivista Agaragar e di tutti gli artisti, gli scrittori, gli intellettuali, i bohémiens che vi hanno partecipato. È una sorta di testamento e di racconto biografico, di lascito riassuntivo del proprio pensiero, della propria filosofia e delle radici da cui è nata. Degli interlocutori e dei dibattiti cui ha partecipato e di tutti i compagni.

IL RICORDO DI GIULIANO COMPAGNO

“Era una figura originale e complessa. Ho conosciuto Perniola mentre stavo preparando una tesi su Georges Bataille. Mario era stato il primo ad analizzarne il pensiero in ‘Bataille e il negativo’ (Feltrinelli, 1977), chiarendo l’antisurrealismo dell’autore francese. Perniola era un intellettuale non aderente alle mode culturali. Era un pensatore non marxista, lontano da posizioni politiche, non legato all’enclave culturale che ha dominato il Paese per molti anni. Ma non per disprezzo, perché s’annoiava, credo”, così racconta ad Artribune Giuliano Compagno, amico e allievo. “La nostra amicizia”, continua, “è nata da un interesse universitario, ma è rimasta forte anche quando ho lasciato l’università per trasferirmi in Norvegia. Avevamo una grande affinità perché eravamo due outsiders. Perniola, ad esempio, viene dalla letteratura. Il suo secondo libro, Tiresia (1968) era un romanzo. Successivamente grazie agli studi a Torino con Pareyson si è convertito agli studi estetici. Ma è sempre rimasto con un piede fuori. Lo scorso autunno ha presentato un testo teatrale intitolato ’24 ore’ e uscirà postuma una sua autobiografia che racconta decenni di esperienze intellettuali e umane. Tra narrazione, riflessione, racconto con margini filosofici. Mario era una persona staccata dalla convenzione universitaria. Non era un uomo da concorsi. Eravamo legati dal senso della libertà”.

SCUOLE E POTERE

C’è una storia che accomuna questa generazione di studiosi”, conclude Compagno. “Non hanno formato una scuola perché sono cresciuti nel momento in cui la figura del filosofo si trasformava in una star internazionale. Non c’era dunque il tempo per formare una scuola, di creare discepoli. Ma meglio così, in fondo. ‘Scuola’ significa potere, significa ambizione. Credo che la morte di Mario costituisca la più grande perdita per la filosofia italiana degli ultimi 30 anni. Mario è un uomo irriproducibile”.

– Santa Nastro

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Santa Nastro

Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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