La forma della leggerezza
“La forma della leggerezza” è una mostra che si propone di indagare il concetto di leggerezza attraverso i lavori di cinque artisti.
Comunicato stampa
La forma della leggerezza
17 - 31 Maggio 2012
Salvatore Marchesani / Veronique Massenet / Harumi Matsumoto / Gemma Rossi / Elena Vollmann
Inagurazione / Opening Giovedì 17 maggio ore 18.
La leggerezza è un filo sottile che, al pari della gravità e della pesantezza, percorre le arti visive del secolo passato e di quello in corso ponendosi, di volta in volta, come valore, attitudine o sensazione. Per i dadaisti la leggerezza è libertà dalle regole politiche, morali e artistiche della società, ma è soprattutto un concetto che rinnova e amplia i confini dell’arte fino a comprendere “tutti gli oggetti, i sentimenti (..) le apparizioni (..) il salto elegante e senza pregiudizio da un’armonia ad un’altra”(T. Tzara, 1918).
I futuristi, che pure esaltano la forza primigenia della materia, “l’entusiastico fervore degli elementi primordiali”, si nutrono di immagini in cui la leggerezza è emancipazione dal “culto del passato”, dal “formalismo accademico”, è audacia dei “voli che solcano i cieli”, è dinamismo, velocità, “radiosa visione di luce”, è forma sottratta alla realtà e sospesa in uno spazio fantastico nelle “visioni cosmiche” di Enrico Prampolini e dell’areopittura.
I surrealisti sottraggono il pensiero alla pesantezza della ragione e si affidano alla leggerezza del sogno, non per sfuggire alla realtà ma per ricondurli entrambi all’equilibrio su cui si fonda l’integrità dell’individuo, e così facendo puntare alla “creazione di un mondo in cui l’uomo trovi ilmeraviglioso: un regno dove egli si sciolga da ogni gravezza e inibizione, da ogni complesso, attingendo una libertà impareggiabile e incondizionata” (M. De Micheli, 1966).
Anche quando, nel secondo dopoguerra, emerge una tragica coscienza del reale e il “male di vivere” s’impone al fare artistico, sopravvive un desiderio di leggerezza, come un fiume carsico che scorre in profondità e riemerge, ad esempio, in certi dipinti monocromi di Barnett Newman, in cui il colore dà forma all’inesprimibile, nei campi cromatici di Mark Rothko, che azzerano ogni riferimento alla realtà, al suo disordine, ai suoi rumori per suscitare atmosfere immateriali in cui la luce è trascendenza e spiritualità, nelle grandi tele di Franz Kline, in cui bianco e nero, cioè levità e peso, sono entrambi componenti della pittura come della vita. “La scia dei movimenti di una torcia vibrata nell’aria” è la suggestiva installazione che LucioFontana realizza nel 1951 per lo scalone d’onore della IX Triennale di Milano (Concetto Spaziale, opera distrutta), piegando un tubo al neon - “nuovo elemento entrato nell’estetica dell’uomo di strada” - lungo quasi centro metri per creare un grande arabesco di luce. Un’opera che segna la vittoria del gesto, della sua“pensosa leggerezza” sulla corruttibilità della materia, perché, come scrive Fontana nel 1947, “l’arte rimarrà eterna come gesto, ma morrà come materia”. Leggerezza che trionfa sulla pesantezza nelle Spiralidi Roberto Crippa, per cui vortici e grovigli sono “acrobazie spaziali” che traducono l’energia vitalistica in segno, o che diventa uno stato della materia- al pari dell’equilibrio, della fluidità, del galleggiamento, dell’elasticità- in alcuni lavori di Giovanni Anselmo e Gilberto Zorio, tra le voci più originali dell’Arte Povera.
E’ soprattutto con i Mobiles di Alexander Calder che la leggerezza diventa parte integrante del linguaggio artistico, particolarmente della scultura, per generare forme che vivono e vibrano nello spazio in un bilanciamento di pieni e di vuoti. Concetto che è alla base della ricerca di alcuni dei più significativi artisti contemporanei, come Daniela De Lorenzo, Pae White, Franco Menicagli, Ernesto Neto, Hans Schabus, Tobias Putrih, Beth Campbell, le cui opere abbandonano il repertorio tradizionale della scultura in favore di composizioni variabili che rispondono alla poetica della precarietà e dell’effimero e che intendono lo spazio come dialettica di opposti, morbido e rigido, pesante e leggero, statico e mobile.
" La forma della leggerezza" è una mostra che si propone di indagare il concetto di leggerezza attraverso i lavori di cinque artisti - Salvatore Marchesani, Veronique Massenet, Harumi Matsumoto, Gemma Rossi, Elena Vollmann - che si servono di linguaggi differenti (pittura, scultura, installazione) e di un approccio polimaterico (gesso, stucco, carta, legno, tessuto, fili elettrici, pietre, sabbia, etc) per raggiungere effetti di levità fisica e interiore. Leggerezza intesa, quindi, sia come condizione della materia che come modo poetico di approcciarsi all’arte e alla vita. Nei dipinti di Salvatore Marchesani -tratti dalla serie La camera luminosa e Il Viaggio - la leggerezza è espressa attraverso la luminosità dei fondi bianchi e le strutture esili e precarie di lunghe scale che si aprono al centro della tela come a voler indicare un percorso in salita verso la trascendenza e la spiritualità. La camera luminosa è l’interiorità dell’uomo purificata dalle sue negligenze, dai suoi pesi, dalle sue ombre, dalle sue opacità e restituita alla splendore della luce intesa come pienezza spirituale. Ad accentuare il valore simbolico di questi lavori, la scelta di realizzare le piccole scale applicate sulla tela recuperando il legno di vecchi lavatoi e con essi il significato dell’acqua quale fonte di vita, emblema di limpidezza e fattore di purificazione.
Nelle sculture di Veronique Massenet il legno perde la sua naturale pesantezza per trasformarsi in materia duttile e leggera, che facilmente si adatta alle esigenze creative dell’artista e alla sua volontà di esplorarne le infinite potenzialità espressive. Sfidando le asperità del legno, le sue imprevedibili nodosità, Veronique asseconda e traduce in forma visibile il dinamismo insito in questa materia interpretando il movimento fluttuante di un’onda, la leggerezza della danza, lo slancio di un volo. Pesantezza che si muta in leggerezza mediante una metamorfosi non dissimile da quella che sempre scandisce la vita silenziosa dell’albero. In mostra anche le creazioni digitali ottenute modulando e componendo in maniera suggestiva le forme delle sue sculture, come a volerne svelare nuovi significati.
Le sculture di carta di Harumi Matsumotonascono come risultato di un vero e proprio amore che quest’artista giapponese nutre per i materiali poveri e di scarto, come le pietre, la sabbia e le bottiglie di plastica che usa per realizzare “l’anima” delle sue figure prima di rivestirle con migliaia di frammenti di carta che ne compongono la “pelle”.Donne per lo più, ma anche individui privi di una precisa identità se non quella che emerge dall’espressività degli occhi e dalla delicatezza dei gesti. Figure leggere quanto la carta di cui sono fatte, ma che nascondo un’interiorità “pesante”da cui dipende la loro solidità e il loro equilibrio.
Piccoli mondi sospesi nella fantasia quelli proposti da Gemma Rossi, che si serve di tessuti, carta, sassolini e conchiglie per creare deliziose miniature in cui l’osservatore può perdersi alla scoperta dei più piccoli dettagli. Casette, animali, omini che fluttuano nello spazio leggeri come in un sogno, per raccontarci storie fantastiche e cariche di suggestioni sospese sul limite sottile tra fiaba e leggenda.
Le creazioni polimateriche di Elena Volmannsi basano sul recupero di materiali semplici come il tessuto, i fili elettrici e la plastica che, sottoposti ad un intervento pittorico e opportunamente assemblati sul supporto, si trasformano in composizioni che alternano i valori di superficie all’aggetto degli spessori, e che puntano sulla luminosità della materia cromatica - accentuata dalla presenza di lampadine che mutano il quadro in installazione - come indice di soavità e leggerezza. Presente in mostra una complessa e articolata installazione che unisce al riuso di materiali di scarto nobilitati attraverso l’operazione artistica, il suo talento di stilista di moda che la vede proporre in quest’occasione una delle sue ultime creazioni “in bianco”.