Alfredo Jaar – Abbiamo amato tanto la rivoluzione

Informazioni Evento

Luogo
FONDAZIONE MERZ
Via Limone 24, Torino, Italia
Date
Dal al

martedì-domenica 11-19, lunedì chiuso.
Festività Natalizie | Christmas holidays
Aperture e orari | opening time
24.12.2013 aperto dalle 11 alle 16 | open 11am-4pm
25.12.2013 chiuso | Closed
26.12.2013 aperto dalle 11 alle 19 | open 11am-7pm
30.12.2013 chiuso | Closed
31.12.2013 aperto dalle 11 alle 16 | open 11am-4pm
01.01.2014 chiuso | Closed
06.01.2014 aperto dalle 11 alle 19 | open 11am-7pm Apertura straordinaria! | Special opening!

Vernissage
04/11/2013

ore 19

Contatti
Email: info@fondazionemerz.org
Biglietti

intero Euro 5,00 ridotto Euro 3,50 (studenti, gruppi organizzati min. 10 persone) gratuito (bambini fino a 10 anni, maggiori di 65 anni, disabili) ingresso gratuito ogni prima domenica del mese

Artisti
Alfredo Jaar
Curatori
Claudia Gioia
Generi
arte contemporanea, personale
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Rappresentante del padiglione cileno alla 55 Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia e artista scelto per l’edizione 2013 della rassegna di arte pubblica torinese Luci d’Artista, Alfredo Jaar (Santiago del Cile, 1956) fa suo l’ottimismo della volontà e con determinazione, da anni, sollecita all’autoconsapevolezza e alla responsabilità verso il mondo e quello che accade. Il suo lavoro e ricerca artistica toccano le corde dell’emozione, conoscono la poesia e poi arrivano diritti all’obiettivo.

Comunicato stampa

Dal 5 novembre la Fondazione Merz presenta nei propri spazi espositivi ALFREDO JAAR. Abbiamo amato tanto la rivoluzione, una grande mostra personale di un indiscusso protagonista dell’arte di oggi, a cura di Claudia Gioia.

Rappresentante del padiglione cileno alla 55 Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia e artista scelto per l’edizione 2013 della rassegna di arte pubblica torinese Luci d’Artista, Alfredo Jaar (Santiago del Cile, 1956) fa suo l'ottimismo della volontà e con determinazione, da anni, sollecita all'autoconsapevolezza e alla responsabilità verso il mondo e quello che accade. Il suo lavoro e ricerca artistica toccano le corde dell'emozione, conoscono la poesia e poi arrivano diritti all’obiettivo.

Per la Fondazione Merz Alfredo Jaar ha ideato un nuovo progetto giocato sul concetto di riflesso e di riflessione che, nel solco del suo interesse per la relazione tra cultura e vita democratica, interroga il senso della memoria e dell'impegno politico degli anni Sessanta e Settanta, non per commemorare, ma per tornare a promuovere la cultura come fattore di cambiamento.

La mostra, composta da circa 60 opere, ha inizio con una grande installazione costituita da milioni di pezzi di vetro e specchio che coprono quasi interamente il pavimento della Fondazione. Lo spettatore, camminando su una distesa riflettente di macerie che è anche spazio della memoria, è invitato a ripensare ai momenti difficili della storia collettiva, e allo stesso tempo si ritrova a compiere un esercizio di conoscenza di se stesso. Ciò che rimane degli insegnamenti, del giudizio della storia, delle rovine, diventa la base per la rinascita e la spinta per il riscatto.

Nel percorso alcune pareti della Fondazione si coprono interamente di lavori realizzati da Alfredo Jaar a partire dai primi anni Settanta fino ad alcuni ideati appositamente per la mostra. Opere dedicate ad Antonio Gramsci, Pier Paolo Pasolini, Giuseppe Ungaretti, alla denuncia delle dittature in America Latina e all'impegno politico degli anni Sessante e Settanta, si combinano con altre di artisti come Mario Merz, Yoko Ono, Nancy Spero, Gerhard Richter, Fabio Mauri, Yves Klein, Joseph Kosuth, Michelangelo Pistoletto, Hans Haacke, Alighiero Boetti, personalità che con il loro percorso non smettono mai di interrogare il mondo.

In occasione della mostra è previsto un catalogo con immagini a colori, testi critici e apparati bibliografici edito dalla Fondazione Merz.

Specifically created for this exhibition, Alfredo Jaar’s new project plays on the idea of reflection (as both reproduction of images and thought or consideration) along the trajectory of his interest in the rapport between culture and democratic life, as he questions the sense of memory and political participation in the Sixties and Seventies. And he does so not as an act of commemoration, but rather to constantly engage in promoting culture as a decisive factor for change.