Jusep Torres Campalans e Nat Tate, due artisti dimenticati tra realtà e finzione

L’editore Neri Pozza pubblica, in prima edizione italiana, il leggendario “Nat Tate. Un artista americano. 1928-1960”. Il progetto ha un illustre “antenato” curato dal geniale Max Aub. Ecco le storie di due artisti che non esistono.

Che cosa accomuna Jusep Torres Campalans e Nat Tate, due grandi pittori dimenticati? Li unisce il fatto che non esistono, sono due geniali invenzioni letterarie e artistiche, sono una beffa. Cocktail intelligentissimi tra realtà e finzione. Nat Tate viene “riscoperto” quaranta anni dopo il “ritrovamento” delle opere di Torres Campalans. Quasi tutti gli elementi dell’inganno sono veri, i due artisti no, le opere sono di mano di Aub e Boyd, le fotografie “documentarie” sono montaggi e foto di sconosciuti, raccolte ai mercatini.
Max Aub è uno scrittore di lingua spagnola, avanguardista, ribelle, impegnato politicamente. Magnifici il suo Delitti esemplari e la sua pièce dedicata a Che Guevara El Cerco, in cui il vecchio Comandante viene descritto quale era, un eroe romantico. Aub è nato in Francia nel 1903, visse dal 1914 al 1938 in Spagna, poi brevemente in Francia ‒ dove fu imprigionato in quanto comunista ‒, poi nel 1942 rifugiò in Messico, dove restò fino alla morte, nel 1972.
William Boyd è uno scrittore, sceneggiatore, drammaturgo. Con David Bowie e la direttrice di Modern Painters, Karen Wright, inventa Nat Tate, il nome è una sorta di crasi tra National Gallery e Tate Gallery, Boyd è nato in Ghana da genitori scozzesi, da qui il riferimento a due istituzioni artistiche inglesi stra-note, Boyd ha studiato arte.
Aub e Boyd non si limitano al testo, creano le opere. Trovano le immagini, false ovviamente, della vita dei due grandi, pubblicano i loro lavori superstiti. Aub e Boyd danno gli indizi per capire che si tratta di una burla, di una gigantesca, stupenda, presa in giro.
Aub cita nell’occhiello uno statement di Santiago de Alvarado (che non esiste) “Come si può avere la Verità, senza mentire?”. Nel prologo rimanda al Cervantes del Don Chisciotte, chiaramente indirizza il testo nel territorio della finzione, del romanzo; per tale motivo, con una sottigliezza senza eguali, definisce il prologo: Prologo indispensabile. Lì si nascondeva la realtà, in bella vista, come la Lettera rubata di Poe.

DUE ARTISTI INVENTATI

Boyd e il Duca Bianco fissano la presentazione del libro il primo di aprile, April’s Fool. Tate si uccide esattamente l’8 gennaio, data di nascita di David Bowie. Il nome stesso dell’artista è una chiave di lettura nemmeno troppo nascosta. A emergere sono il fine, coltissimo, umorismo di Aub e la sottesa critica di Boyd agli “Young British Artists”, allora deità dell’arte contemporanea, sulla cresta dell’onda, ricchi come Creso, celebrati come star del rock. Boyd li definisce grandi comunicatori, non grandi artisti. Della beatificazione dell’Espressionismo Astratto non è convinto, e Tate è un espressionista astratto, artisti osannati ma forse sopravvalutati (e che l’Espressionismo Astratto sia parte culturale/artistica del totalizzante progetto di dominio USA sull’Europa e sul mondo distrutti dalla guerra ‒ c’è da dire, salvati dagli USA in una non trascurabile percentuale ‒ è più che un sospetto).
Ma, ancora: date uno sguardo alle opere che seguono. Il Campalans/Matisse potrebbe essere un Matisse; il Campalans/Klee potrebbe essere un Klee; il Tate di Bridge 11 e di Portrait of K. (palese rimando a Kafka, forse …) potrebbero essere opera di un espressionista astratto americano, il disegno pure. Le creature immaginarie degli scrittori, le loro opere, diventano vere. Andy Warhol scrisse: “Ignoro dove l’artificiale finisca e cominci il reale”; Picasso: “Tutto ciò che puoi immaginare è reale”; Albert Einstein: “La realtà è una semplice illusione, sebbene molto persistente” e lo ha pure dimostrato. Il confine tra finzione e realtà è veramente incerto.
Ma procediamo in ordine cronologico:

Max Aub Jusep Torres Campalans (Gallimard, Parigi 1961)

Max Aub Jusep Torres Campalans (Gallimard, Parigi 1961)

JUSEP TORRES CAMPALANS

Max Aub conosce nel 1955, durante un giro di conferenze in Messico, un pittore anziano, triste e dimenticato: José Torres Campalans, detto Jusep. L’incontro con l’artista avviene nello Stato messicano del Chiapas. Torres Campalans era vissuto a Parigi negli anni prima della Grande Guerra, in cui a Parigi c’erano tutti: Picasso, de Chirico, Savinio, Ezra Pound, Braque, Hemingway, Stravinsky… Nel dialogo con il vecchio pittore, Aub viene colto da nostalgia e decide di raccontare la vita e le opere di questo artista sfortunato. Campalans fuggì prima della guerra in Messico, non dipinse più. Fu dimenticato. Il progetto si focalizzava inizialmente su una esposizione, a Città del Messico, dell’opera superstite di Torres Campalans. Quanto si era salvato dal bombardamento della casa del collezionista H. R. Town, poi passato nelle mani di un dirigente franchista che, avendo saputo delle ricerche di Aub e forse sentendosi in colpa per un passato oscuro, mette le opere di JTC a disposizione del progetto espositivo.
La mitica casa editrice francese Gallimard, nella ancor più prestigiosa serie NRF (Nouvelle Revue Française), decide di pubblicare, nel gennaio del 1961, la edizione francese del libro di Aub, edito in spagnolo nel 1958.

PAROLA A MAX AUB

Il testo di Aub, dopo il classico prologo (appunto intitolato Prologo indispensabile) narra dell’incontro con l’artista. Una esaustiva sezione “Annali” fissa gli avvenimenti letterari, artistici e musicali tra il 1886 e il 1914. Poi la biografia vera e propria e una ricca pagina di ringraziamenti; Aub, infatti, ha intervistato mezzo mondo (Braque, Kahnweiler, Malraux…). Poi una antologia di testi di JTC, la trascrizione del leggendario Quaderno verde. Finalmente le conversazioni tra JTC e Aub e la riproduzione delle opere, estesa nella edizione Gallimard, ridotta nella edizione Mondadori del 1963 e nella successiva edizione Sellerio del 1992. Segue la edizione a cura di Theoria. Struggente il ricordo di Aub: “Mi viene in mente, con un po’ di malinconia, una lontana colazione. Era il 1937, io ero seduto tra Bonnard e Vuillard, con Maillol di fronte. Stavamo aspettando inutilmente Picasso. Fu lì che per la prima volta – me lo ricordo solo adesso – udii fare il nome di Torres Campalans. ‘Che cosa ne è stato?’. ‘Sparito senza lasciare traccia. Aveva del talento’”.

Ritratto di Nat Tate

Ritratto di Nat Tate

NAT TATE

La casa editrice di David Bowie, 21 Publishing, presenta, in un prestigiosissimo party nello studio di Jeff Koons, la monografia che lo scrittore William Boyd ha dedicato a Nat Tate, maestro dimenticato dell’Espressionismo Astratto americano: Nat Tate. An American Artist. 1928-1960. È il 1998. La biografia di Tate è drammatica, commovente. Nato, forse, a Union Beach, New Jersey, nel 1928. Padre sparito prima della sua nascita, la madre lo porta a Peconic, Long Island, dove lavora come domestica per una famiglia agiata. Mary muore in un incidente automobilistico nel 1936, Nat viene adottato dalla famiglia per la quale la madre lavorava. Appassionato di pittura e disegno, studia sotto la guida di Hans Hofmann tra il 1947 e il 1950. Da Provincetown (Mass.) si trasferisce a New York, le prima mostra nel 1952. Uno dei suoi principali “luoghi” artistici è la rappresentazione dei ponti, già di per sé oggetti metaforici. Nat si appassiona alla poesia di Hart Crane, che pure ispirò a Tate il tema dei ponti, con il suo The Bridge (1930). Lo scoprono e lo rendono famoso il poeta Frank O’Hara e la gallerista Janet Felzer. Purtroppo Nat beve in modo smodato, perseguitato dal fantasma dell’abbandono paterno e dalla morte della madre. Nel 1959, dopo un viaggio in Europa e i cruciali incontri con Braque e con Picasso, Nat è impressionato dalla qualità dell’arte europea, inizia la ricerca e il buyback delle sue opere, ad alcuni collezionisti le chiede in prestito per, dice, “migliorare” i dipinti. In realtà li distrugge, il 99% dei suo lavori viene bruciato dall’artista. Tate, imitando la morte dell’amato Hart Crane, si suicida l’8 gennaio 1960, gettandosi nella baia di New York, dal ferry di Staten Island. Il libro di Boyd documenta la vita di Tate, con immagini, testimonianze, opere superstiti, lettere. Gore Vidal lo ricorda come dotato amante di Peggy Guggenheim, spesso dignitosamente brillo. Sir John Richardson ricorda l’incontro tra Picasso e Tate, lui era presente, essendo notoriamente il biografo inglese di Pablo Picasso. Al party a “casa” Koons c’è il meglio di New York ‒ Schnabel, Stella, Paul Auster, McInerney. Si sprecano le espressioni di dolore e sconforto di intellettuali, artisti e star, affranti per la terribile perdita e il colpevole oblio che ha colpito un genio.

TATE E CAMPALANS NELLA TWILIGHT ZONE

Il meccanismo della beffa contiene sempre il suo svelamento, è parte necessaria, essenziale della burla. Forse, se Boyd e Aub non avessero rivelato lo scherzo, alcune opere di Tate e Campalans potrebbero essere in collezione. Tate e Campalans, nati per burla, destinati a irridere le superstar dell’arte di ieri e di oggi, sono divenuti, paradossalmente, loro stessi celebrities. A Campalans hanno creduto in tanti e per anni non hanno ammesso la finzione. La “vita” di Tate non abbandona Boyd, il libro è tradotto ovunque. Tate è recensito sui media di tutto il mondo, gli vengono dedicati documentari. Squilibrati, mitomani affermano di essere Nat Tate. Campalans e Tate sono vivi in ciò che gli anglosassoni chiamano Twilight Zone (termine con il quale, in aviazione, si indicava il momento in cui, in fase di atterraggio, la linea dell’orizzonte scompariva sotto il velivolo, lasciando per un momento il pilota senza riferimenti, ma succede anche guidando l’automobile al tramonto). La traduzione è: Zona del Crepuscolo, una zona in cui due differenti stati di esistenza si incontrano. Dunque, come detto, siamo al confine incerto, ambiguo, tra vero e falso, reale e immaginario. Falsificazioni ingegnose, intelligenti, divertenti, acide, sarcastiche, verosimili, operate da chi sa come maneggiarle, crearle e renderle credibili, più che credibili.
Hats off (tanto di cappello) per Aub e Boyd, ma anche per il Duca Bianco: sappiamo che Bowie era un grande artista, qui al genio aggiunge anche uno humor raffinato e molteplice.
Nietzsche scrisse: “Goditi la Vita, questa non è una prova generale”. Onore e gloria alla intelligenza, alla ironia, all’arte, al sapere.

Stefano Piantini

William Boyd ‒ Nat Tate. Un artista americano. 1928-1960
Neri Pozza Editore, Milano 2020
Pagg. 104, € 19
ISBN 9788854519015
https://neripozza.it

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Stefano Piantini

Stefano Piantini

Stefano Piantini (Venezia, 1956). Laureato alla Università Bocconi (1980). Editore Incaricato di Electa SpA, membro del CdA di Electa, Electa Umbria, Electa Napoli, Arnoldo Mondadori Arte, Membro del Comitato Direttivo del Gruppo Elemond (1982-1996) Assistente al Presidente del Touring Club…

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