La nuova Galleria Nazionale di Roma. L’opinione di Dobrila Denegri

Riprende il dibattito sulla mostra ospite della rinnovata GNAM di Roma. Una riflessione sul valore della storia, interpretata dall’arte contemporanea come un riferimento e non più come un limite invalicabile. Sulla falsariga di un’altra grande rassegna in corso nella Capitale…

TEMPI DIACRONICI
La mostra Time Is Out of Joint, intesa come riallestimento della collezione della Galleria Nazionale di Roma ha suscitato molte reazioni critiche e prese di distanza. Più che esprimere una posizione pro o contro, vorrei proporre una lettura di questa operazione.
Il titolo Time Is Out of Joint o, tradotto in italiano, Il tempo è fuori asse, indica che si tratta di una riflessione sul tempo. Se avessero fatto riferimento all’antropologia culturale, i curatori avrebbero potuto affermare che il tempo è una categoria relativa. Intendere il tempo in modo lineare e progressivo è la caratteristica del nostro modello culturale occidentale, ma questo modo non è né unico né assoluto.
Hanno citato Shakespeare, ma avrebbero potuto ispirarsi a molte altre fonti letterarie – una tra le più belle è sicuramente quella di T.S. Elliot da Four Quarters: “What might have been is an abstraction / Remaining a perpetual possibility / Only in a world of speculation. / What might have been and what has been / Point to one end, which is always present”.
Anche nella fisica teorica e nella teoria delle stringhe avrebbero potuto trovare interessanti argomenti per parlare dell’esistenza di diverse dimensioni spazio-temporali simultanee, nonché di un numero (pressoché) infinito di universi possibili.
Comunque, sul fronte dell’allestimento, sembra che abbiano lavorato attorno alla relatività del tempo. E ciò facendo, utilizzando per la maggior parte opere della collezione, sembra che abbiano messo in discussione la stessa nozione della storia (o della storia dell’arte) e la funzione che un’istituzione di stampo museale, e quindi storico, debba espletare. Introducendo diacronia e omettendo cartelli esplicativi, hanno creato un vero corto circuito.

Switch House, Tate Modern © Iwan Baan

Switch House, Tate Modern
© Iwan Baan

UN ESEMPIO OLTREMANICA
Questo approccio diacronico è stato paragonato a quello usato da altri musei internazionali, soprattutto dalla Tate Modern di Londra. A mio parere questa analogia è sviante. Proporre una metodologia e fare un gesto simbolico sono due cose del tutto diverse.
È vero: con gli allestimenti delle sue collezioni, la Tate ha messo in discussione certi canoni. Negli Anni Novanta, ai tempi di Lars Nittve e Iwona Blazwick, si è tentato di scardinare l’idea dell’“artista-caposcuola” e del “capolavoro”, opponendo alla verticalità e alla gerarchia l’orizzontalità di un approccio che si basa sulla narrazione. Questa nuova linearità ha permesso anche agli artisti, cosiddetti minori, e alle opere non considerate dirompenti, di acquisire un loro posto nella storia. E quindi, si trovavano un ritratto vicino a un altro ritratto, un paesaggio vicino a un paesaggio, di maestri ed epoche diversi. Anche se andiamo alla Tate Modern oggi, spesso nelle mostre della sua collezione (a ingresso gratuito) ci troviamo di fronte ad accostamenti formalmente consonanti. Ad esempio, vediamo accostati due quadri in cui figure geometriche colorate fluttuano su una superficie bianca. Ciascuna ha un’esauriente didascalia, la quale informa che il primo dipinto è datato ai primi del Novecento ed è opera di un artista russo, il secondo è degli Anni Cinquanta dello stesso secolo ed è opera di un brasiliano. Ma non c’è alcuna prova scientifica che l’artista brasiliano abbia mai veramente “guardato” proprio quell’artista russo. Quindi, solo per grandi linee si potrebbe dire che il costruttivismo russo sia importante per comprendere il neoconcretismo brasiliano, ma ciò non toglie l’arbitrarietà dell’accostamento di quei due quadri specifici. Questo esempio è indicativo, però, di una specifica metodologia che la Tate sta mettendo in opera da alcuni anni e che fa parte di un processo di ristrutturazione della storia dell’arte. La storia dell’arte moderna, come intesa sinora, rimane prevalentemente una storia dell’arte occidentale. In un mondo globale, un museo che si rivolge a un pubblico numeroso e multietnico cerca di offrire una visione della storia dell’arte che (ora) integra altri modernismi – quelli provenienti dalle aree culturali per tanto tempo ritenute marginali –, che adesso entrano a far parte di una visione della storia più complessa e più completa.

Time is out of joint - exhibition view at Galleria Nazionale, Roma 2016 - photo Giorgio Benni

Time is out of joint – exhibition view at Galleria Nazionale, Roma 2016 – photo Giorgio Benni

METODI POST-STORICI
Quindi, l’operazione Time Is Out of Joint non la riterrei una proposta metodologica, ma piuttosto un gesto simbolico. Per quanto importante, la GNAM non è nella stessa categoria della Tate, e non dispone dei mezzi per fare un discorso che hanno intrapreso alcuni grandi musei internazionali. Dunque rimane l’autorità e la legittimità curatoriale per fare un gesto, simbolico e radicale. Quello della Galleria Nazionale si può paragonare a un altro gesto – a mio parere particolarmente riuscito – operato di Hou Hanru quando ha “svuotato il museo” da oggetti e artefatti, interpretando lo spazio, e trasformandolo in una grande cassa di risonanza, con la sua “mostra” di interventi sonori. Si potrebbe dire che il problema del MAXXI era lo spazio troppo fluttuante, quello della GNAM era il tempo troppo immobile. E quindi, un gesto di azzeramento. Una pagina bianca tra due capitoli. Un intervallo tra due atti.
Rimane poi la critica per la mancanza di strumenti informativi ed educativi. Prenderei un esempio a caso. Vedere ora un Tapies temporalmente decontestualizzato cela la specifica e importante storia di quest’opera: fu esposta alla Biennale di Venezia del 1958, in uno dei momenti salienti del movimento Informale, grazie anche a due Leoni d’Oro assegnati proprio agli artisti Spagnoli: Tapies per la pittura e Chillida per la scultura. Ma questo non appariva neanche prima, quando quest’opera era circondata dalle sue “contemporanee”, esposta in un allineamento cronologico che comunque poco restituiva a quel momento storico e ai suoi moti artistici. Oggi viviamo in un tempo che si considera post-storico. Dopo la caduta del Muro di Berlino intere nazioni hanno perso la loro storia. Io provengo da un Paese così. La nozione di storia come qualcosa di monolitico ed epico è stata messa in crisi. La storia collassa, e poi si riscrive. Un processo traumatico, ma anche liberatorio. E quando si riscrive, la storia prende sempre le sembianze del presente.

Domenico Quaranta, Cyphoria, exhibition view - Credits OKNOstudio - Courtesy La Quadriennale di Roma

Domenico Quaranta, Cyphoria, exhibition view – Credits OKNOstudio – Courtesy La Quadriennale di Roma

LA QUADRIENNALE
Subito dopo la frequentatissima riapertura della Galleria Nazionale c’è stato un secondo momento del rispolvero romano: l’inaugurazione di un’altra storica istituzione, La Quadriennale.
Il titolo onnicomprensivo di tutte le proposte curatoriali è Altri tempi / altri miti. Anche qui viene citato un tempo altro, associato al mito, che si potrebbe generalmente intendere come una storia la cui veridicità è inverificabile. Anche qui i tempi sono scardinati. Sebbene la Quadriennale dovrebbe notificare le tendenze artistiche correnti, è varia sul piano generazionale: accanto agli “emergenti” ci sono anche alcuni maestri. Ma sarebbe scontato pensare che questo sia il punto. È il contenuto tematico di alcune proposte curatoriali che fa riflettere e stranamente ci ricollega al tema dell’impostazione della mostra Time Is Out of Joint.
Ad esempio, troviamo una delle recenti opere di Francesco Vezzoli che testimonia una svolta formale nel suo percorso artistico. Dopo anni in cui tutto ruotava intorno alle celebrities – e quindi implicitamente attorno a temi come il tempo, la vanità o Vanitas –, Vezzoli ha cominciato ad attingere da quell’immenso bacino iconografico che la scultura statuaria classica o neoclassica offre. Interrogato sul significato di questa svolta ha dichiarato: “Sto uccidendo i padri”. È una sua licenza artistica. Come tale si accetta, senza neanche approfondire troppo. Poi, poco distante si vede un ragazzo giovane, seduto per terra e a petto nudo, che ritaglia teste di sculture antiche dai libri di storia dell’arte e le poggia per terra in modo da essere calpestate e trasportate dai nostri passi. Con la performance di Maloberti involontariamente diventiamo attori di questa scena in cui la storia si dissipa come la polvere. Proseguendo, troviamo di nuovo un riferimento alla storia, che qui prende sembianze di una rievocazione delle cronache mondane nell’opera di Rä di Martino. Per le mostre della Quadriennale i panelli didattici ci sono, ma brevi e generici fino al punto da sembrare interscambiabili. Comunque menzionano una riflessione sulla storia. Negli anni passati ci sono già state diverse mostre basate sull’assunto che “il passato è un paese straniero”, per dirla con Leslie Poles Hartley. Dagli artisti d’oggi i momenti storici e le importanti figure storiche sono usati come riferimento (ma anche e sempre più spesso come referenza).

Time is out of joint - exhibition view at Galleria Nazionale, Roma 2016 - photo Giorgio Benni

Time is out of joint – exhibition view at Galleria Nazionale, Roma 2016 – photo Giorgio Benni

INCENTIVARE IL CONTEMPORANEO
In ogni modo, alcune opere di artisti contemporanei potrebbero funzionare come indicazioni per una possibile lettura della mostra Time Is Out of Joint. La si potrebbe vedere come una mostra che parla attraverso il linguaggio dell’arte contemporanea e attraverso i temi che essa affronta. In particolare il tema dell’azzeramento, del bisogno di portare tutto al punto di partenza, della necessità di ridefinire le fondamenta e ripensare le strutture fondanti. In questo modo, anche la mostra Time Is Out of Joint diventa un interessante statement. Fa pensare che la Galleria Nazionale (che abbandona l’aggettivo “moderna” – da tempo svuotato da suo significato originale) potrebbe diventare un nuovo interlocutore che entra sulla scena per rafforzare la Roma contemporanea. Si potrebbe obiettare che a Roma ci sono già due musei d’arte contemporanea (almeno sulla carta), ma non credo che un’altra (o qualsiasi) piattaforma sia di troppo. Anzi, quando si tratta di una piattaforma che rafforza la volontà di mettersi e metterci in gioco, il minimo da fare è di pretendere da se stessi tanto quanto si pretende dagli altri quando c’è da produrre significato.

Dobrila Denegri

Roma // fino al 15 aprile 2018Time Is Out of Joint
a cura di Cristiana Collu
in collaborazione con Saretto Cincinelli
GNAM
Viale delle Belle Arti 131
06 32298221
[email protected]
http://lagallerianazionale.com

Roma // fino all’8 gennaio 2017
16. Quadriennale d’arte – Altri tempi altri miti
PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI
Via Nazionale 194
06 39967500
www.quadriennale16.it

MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/56677/time-is-out-of-joint/
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/56688/16-quadriennale-darte-altri-tempi-altri-miti/

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Dobrila Denegri

Dobrila Denegri

Dobrila Denegri is art historian and curator, living and working in Rome (Italy), Belgrade (Serbia) and Torun (Poland). Since 2002 she is artistic director of nKA / ICA (Belgrade) – an independent cultural association which organized since 2001 till 2010…

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