Saranno abili manager i neo direttori nominati da Franceschini?

Sarà probabilmente il punto più dolente per i nuovi venti direttori dei principali musei italiani, nominati ieri 18 agosto dal ministro Dario Franceschini. Ovvero: ottimi storici dell’arte ma niente affatto ferrati nelle questioni manageriali. Proprio su questo punto riflette Stefano Monti in questo articolo.

GLI STRALI DI PHILIPPE DAVERIO
Alle ore 13 del 18 agosto si è conclusa la lunga procedura di selezione internazionale per i direttori dei venti principali musei italiani prevista dalla riforma Franceschini. E subito, dalle più importanti testate online del Paese fino ai social network, c’è stato un grande dibattito sulla scelta. Tra le voci più dure, quella di Philippe Daverio che si sofferma sulla decisione del Mibact di aprire il concorso anche a figure internazionali. Lo fa con un’asprezza che fa riflettere sul malessere che il nostro Paese sta vivendo in questi anni, dicendo: “Stiamo parlando di direttori che non toccano nemmeno la caviglia dei nostri sovrintendenti storici, i quali erano sommi intellettuali rispettati e venerati in tutto il mondo. Lei pensa davvero che un promettente e brillante storico dell’arte tedesco possa abbandonare la Germania per dirigere un museo italiano con tali pastoie burocratiche, per metà dello stipendio? La verità è che nessuno di questi nuovi direttori stranieri è un autentico califfo”.

IL MUSEO NELLA CIRCULAR ECONOMY
Preferisco non entrare nel merito delle singole scelte ma sul profilo professionale su cui avrei puntato per dirigere un “museo dei nostri tempi”.
Un direttore di un museo deve ormai assolutamente avere tra le proprie attitudini quella di immaginare il futuro, di sperimentare idee, progetti, prodotti e servizi ad alto valore aggiunto e si deve prefiggere l’obiettivo di dare vita a modelli di attività e produzione sostenibili, capaci di generare output che incontrino i desideri della domanda e sappiano stimolarli, restando competitivi sul mercato.
Nell’era della crisi e della circular economy, laddove sharing e swapping sono le parole chiave del futuro, che variamente mutuate dal vocabolario inglese stanno entrando nel nostro linguaggio quotidiano, il sistema museale – come altri settori – è chiamato a rivedere i propri paradigmi di crescita.
Non più conservare, ma valorizzare. Ecco, dunque, che il museo deve diventare oggetto di ripensamento: attrazione di nuovi pubblici e offerta di servizi innovativi per dare vita a un luogo della cultura che sappia reinventare se stesso e il proprio futuro, e tendere a una crescita integrata e sostenibile.

La Pinacoteca di Brera

La Pinacoteca di Brera

MUSEI E INNOVAZIONE
Il ruolo dei musei nella vita quotidiana? Fondamentale. Asset di crescita e veicolo di innovazione, capaci di incidere sullo sviluppo economico del territorio, di arricchire il capitale umano e sociale ivi presente, stimolare connessioni e inedite intersezioni, i musei sono sempre più spesso chiamati a dare nuova vita e significati a contenitori altrimenti destinati all’oblio.
Troppo spesso in questi anni la ritrosia a considerare la cultura come un mercato, in cui domanda e offerta sono destinate a incontrarsi perché c’è un’industria culturale capace di rispondere agli stimoli della domanda, ha portato alla produzione di inefficienze nella gestione economica delle istituzioni museali.
Al fine di non reiterare simili approcci, gli obiettivi principali di un direttore devono essere quelli di stimolare la crescita della domanda e, soprattutto, individuare dei modelli di gestione in grado di garantirne la sostenibilità economica, facendo tutto il possibile per attivare un’innovazione di processo e di prodotto, puntando a una maggiore apertura alla partecipazione e al coinvolgimento del pubblico e della comunità locale.

INCLUSIONE E SERVIZI AGGIUNTIVI
Quello che ormai appare lampante è la profonda spaccatura che si registra fra chi manifesta una forte volontà di partecipare alla vita culturale e chi rivela, invece, il più totale disinteresse. L’obiettivo non può essere altro che capire che tipo di esperienze proporre ai diversi interlocutori, andando a costruire la partecipazione del pubblico progressivamente, attraverso un insieme di iniziative che si inseriranno armonicamente in una visione più ampia, che unisca la sfera culturale al welfare e allo sviluppo socio-economico del territorio.
Parlare della visita culturale in termini di esperienza pienamente soddisfacente mi porta a riflettere su un altro degli aspetti dell’offerta, che sono stati per anni poco considerati: i servizi aggiuntivi, o servizi al pubblico. Investire sui servizi aggiuntivi, in un’ottica di innovazione, sperimentazione e qualità, consentirebbe di rendere l’istituzione museale più flessibile e attenta alle esigenze del proprio pubblico, da un lato, e i cittadini italiani e stranieri più invogliati a fruire del patrimonio storico artistico del nostro Paese, dall’altro.

Cecilie Hollberg

Cecilie Hollberg

DAL CATTOLICESIMO AL CALVINISMO
Queste mie brevi riflessioni e su cui credo da anni, convinto che l’arte e la cultura costituiscono settori strategici per l’economia – settori nei quali vale la pena di investire per la crescita e la riconversione economica così come per la qualità della vita – mi spingono a dire che ormai è diventato quanto mai fondamentale fare un “salto culturale”, ripensare il ruolo dei musei e le modalità di intervento nel settore.
Come ho avuto modo di affermare più volte, stimolare l’intervento del privato nella cultura è uno degli imperativi da seguire e, per farlo, è necessario creare un sistema incentivante, ovvero un sistema che agevoli e renda possibile una partecipazione più profonda e diffusa alle attività culturali.
In quest’ottica, è innanzitutto fondamentale proseguire sulla strada del mecenatismo diffuso, che presuppone un approccio alla cultura sicuramente più vicino alla tradizione calvinista che a quella cattolica, e che dipende da fattori sociali e civili. Proprio per questo vi è la necessità da parte delle istituzioni di dare un segnale forte, un segno tangibile della volontà di guidare questo cambiamento culturale, rendendo incentivante anche per il singolo sostenere l’offerta del territorio e diventare parte attiva del sistema.
Se da un lato è importante rilanciare il fundraising, dall’altro bisogna guardare alla progettualità culturale, con l’obiettivo di stimolare l’intraprendenza delle organizzazioni e agevolarle nell’ideazione, nella programmazione e nel lancio di iniziative, eventi, attività.
Procedere su questa strada vuol dire, quindi, avvalorare una presa di responsabilità da parte delle organizzazioni culturali.

OTTIMI STORICI, PESSIMI MANAGER?
La partecipazione culturale della popolazione, la capacità della cultura di generare occupazione, la fiducia delle imprese nella scelta della cultura quale veicolo di sponsorizzazione, il consolidamento del legame fra il singolo e il patrimonio sono tutti fattori strettamente legati alla strategia di valorizzazione che questi nostri venti prodi gladiatori dovrebbero mettere in campo, e che se utilizzati con efficacia sarebbero in grado di innescare un sistema virtuoso.
Ed è di questo sistema virtuoso che oggi abbiamo un incredibile bisogno, ma i sogni di un nuovo ordine delle cose anche questa volta si infrangono; primo sulle scelte che sono state fatte, tutti straordinari storici dell’arte ma che con difficoltà racchiudono nelle loro esperienze e nella loro indole almeno la metà di quanto descritto; e secondo per una serie di mancanze di chiarezza da parte del ministero: prima tra tutte quella di capire come questi  “super storici dell’arte”(non manager) si interfacceranno con le sovrintendenze. Ma soprattutto chi avrà potere decisionali su chi.

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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