Il tax free e il costo del disinteresse. Sulle promesse di Renzi

È nella pancia dell’Artbonus e si chiama “Tax Free Shopping”. Una grande opportunità per le aziende e per lo Stato, mettendo a frutto quel che i turisti extra-comunitari spendono nel nostro Paese. Ma come al solito siamo in estremo ritardo. Almeno in teoria, tutto dovrebbe partire il 23 luglio…

ARTBONUS: PIÙ CHE PERFETTIBILE
Una delle prime manovre annunciate dall’attuale governo ha avuto come oggetto la cultura e come slogan il cosiddetto Artbonus. Con tale strumento (fra l’altro molto migliorabile) il team di Renzi voleva intraprendere una conversazione di tipo comunicativo con una larga parte dell’elettorato italiano, che lamentava nelle precedenti legislature una scarsa attenzione alle grandi opportunità fornite dal sistema culturale e turistico italiano.
Per un attimo, in molti avranno pensato che un disegno di legge perfettibile era pur sempre meglio di niente, cercando speranzosi indizi di un processo di razionalizzazione della cultura in Italia, se non altro un tiepido ma pur flebile inizio di un nuovo e costruttivo dialogo tra cultura, turismo e imprese.  Ma, ovviamente, i molti si son dovuti ricredere. Perché non solo il disegno di legge era perfettibile, ma anche inapplicato per molti aspetti. Uno dei tanti è proprio quello relativo al tax free.

IL SITEMA DEL TAX FREE
Per chi non ne fosse a conoscenza, il sistema “tax free” permette, agli acquirenti domiciliati e residenti fuori dalla Comunità Europea, di ottenere lo sgravio dell’Iva pagata sui beni acquistati dal venditore italiano o il rimborso successivo dell’Iva stessa, laddove si realizzino i presupposti previsti dall’articolo 38-quater del Dpr 633/1972.
Ora, il Tax Free Shopping è un fenomeno piuttosto importante per tutta una serie di fattori: primo perché, attraverso un meccanismo di tax refund, si incentiva la spesa media dei turisti extra-UE; secondo, perché non tutti i refund vengono effettivamente rimborsati.
Ed eccoci arrivati al punto: una manovra di fiscal policy intelligente sarebbe quella che prevede una “collaborazione” tra aziende e stato. Ad esempio: una parte della differenza tra l’Iva dovuta a rimborso e i rimborsi effettivi potrebbe essere veicolata, in gestione privata, alla valorizzazione di sistemi turistici o culturali.
Soprattutto perché, questa differenza tra Iva dovuta e non incassata dallo Stato e i rimborsi effettivi oscilla tra il milione e il milione e mezzo di euro. Al giorno. Non stupisce che quando vengano utilizzati bene, questi fondi, si notino.
Esempio virtuoso di ciò che una manovra intelligente potrebbe generare con riferimento a questo particolare strumento è rappresentato dalla Fondazione Prada che, magistralmente, ha mostrato che la valorizzazione dei nostri asset turistici e culturali è di estremo interesse, soprattutto per quelle realtà che necessitano di un brand paese molto forte cui associarsi con sempre più orgoglio.
A quanto pare, tuttavia, questa necessità non è altrettanto percepita dal Governo, che da quell’ormai l’ontano lancio mediatico dell’Artbonus, su questo punto si è mostrato del tutto impreparato. E lento.

La nuova Fondazione Prada, a Milano

La nuova Fondazione Prada, a Milano

BREVE STORIA DELL’ARTBONUS
Partiamo dal principio: a fine luglio 2014 il Decreto Artbonus viene convertito in legge e iscritto all’interno della Gazzetta Ufficiale.
All’interno del decreto, proprio in quell’articolo 13-bis, è sancito che entro 45 giorni sarebbe stato istituito, con Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, il famoso tavolo di lavoro per la definizione di nuovi criteri per la gestione del fenomeno tax free, che in cinque mesi avrebbe prodotto le proprie osservazioni e i propri indirizzi.
Stando a quanto il Governo stesso ha dunque normato, il tavolo di lavoro avrebbe dovuto essere operativo già entro la fine di settembre. Ma, a quanto pare, Renzi e i suoi avevano un po’ sottovalutato qualcosa, dato che in data 7 ottobre una interrogazione parlamentare (4-06300) sollecitava l’adempimento di quanto disposto.
Non che l’interrogazione abbia portato a qualcosa di concreto: di fatto, il tavolo è stato istituito solo il 23 febbraio 2015, data che, nelle ipotesi originarie, avrebbe dovuto corrispondere al termine del mandato piuttosto che al suo avvio.

DOMANI È UN ALTRO GIORNO?
23 febbraio – 23 luglio: vedremo se almeno questa scadenza verrà rispettata, anche se il ritardo finora accumulato ha notevolmente inficiato quei caratteri di estrema urgenza che giustificavano l’introduzione di questo dettaglio all’interno di un decreto-legge.
Motivo di tale urgenza era infatti quello di stabilire come trattare il tax free prima dell’Expo e dei suoi milioni di visitatori stimati, e come indirizzare parte del plus-valore da esso derivante.
Certo non si potrà procedere con indirizzi fiscali retro-attivi, e altrettanto sicuramente le direttive non diverranno operative prima che l’esposizione universale abbia termine.
Risultato: un’altra occasione perduta per la cultura, per il turismo e per il nostro Sistema Paese. E del tax free nessun beneficio, se non quello del dubbio. E il dubbio è che, forse, questo ritardo fosse in parte voluto.

Stefano Monti
in collaborazione con Arturo Aletti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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