Dialoghi di Estetica. Parola a Thomas Köner

Thomas Köner è un artista che lavora con suoni e immagini per realizzare “meditazioni audiovisive che esplorano le nozioni di tempo, memoria e presenza nello spazio”. Attivo nell’ambito della musica ambient e techno sin dall’inizio degli Anni Novanta, sia da solo che come metà del leggendario duo Porter Ricks, Köner è attualmente considerato una figura quasi mitologica della scena elettronica contemporanea. Ha di recente pubblicato la versione integrale de “La Barca”, un’esperienza di viaggio multisensoriale che è lo spunto di partenza per questo nuovo dialogo.

La Barca è un’opera monumentale che forse non ha senso “sezionare”. Eppure è uscito nella sua interezza solo di recente in edizione digitale. A cosa era dovuta la scelta di farlo uscire selezionando solo alcune tracce nel 2009? Ragioni contingenti, di formato?
Sì, sono state ragioni contingenti a farmi decidere di “nascondere” le altre tracce rispetto alla versione integrale. Quando ho dovuto scegliere quali tracce selezionare per l’edizione in CD (Fario, 2009), che conteneva circa la metà dei brani, l’ho fatto in maniera del tutto casuale.
I pezzi che compongono questo ciclo sono stati concepiti come esperimenti, come pagine scritte di un diario, non pensavo originariamente di pubblicarli tutti. Poi però mi hanno convinto che forse quello che dici tu è vero, non ha senso sezionare quest’opera, e così prima è uscita la versione in doppio vinile nel 2009 (con cinque tracce in più) che è andata esaurita in pochissimo tempo. Così mi sono deciso: era arrivato il momento di pubblicare l’opera nella sua interezza.

Dunque ora c’è tutto…
Sì, l’edizione digitale ha tutti i ventidue brani, finalmente corredati dai visual. Penso che l’opera abbia il suo giusto formato.

Ogni singolo brano è stato creato in una città diversa del mondo durante il biennio 2008-2009. In che modo il viaggio influenza il tuo lavoro?
La musica de La Barca è la più personale che abbia mai fatto, è interamente costruita sulle situazioni acustiche che mi hanno colpito durante due anni di viaggi intorno al globo. Poi c’è il livello visivo. In quel periodo avevo strumenti per registrare che portavo costantemente con me. Spesso quegli strumenti registravano anche durante la notte, mentre io dormivo.
A un livello superficiale, dunque, questo lavoro potrebbe essere interpretato come il tipico saggio sull’arte dei field recordings (in questo caso audio-video). Ma non è così, è un’opera su tutto ciò che risuona e si riverbera nell’ambiente circostante (termine da prendere alla lettera); è un’opera che riflette su quel processo per cui tutto l’ambiente che ci circonda diventa man mano sempre più poroso, che rende trasparente ma allo stesso tempo offusca il confine che esiste tra me e l’ambiente che mi circonda.

Credo che il rapporto tra il sé, l’ambiente e gli strumenti di registrazione, tre elementi che hai appena citato, sia il cuore del tuo intero percorso artistico.
Decisamente. Hai mai fatto esperienza di quella sensazione di déjà-vu acustico o visivo, di una memoria improvvisa che ti riporta all’odore di una strada, di una folata di vento che toccandoti ti connette a un altro luogo o a un momento del passato? È come se fossimo dotati di uno strumento di registrazione incarnato che lavora ininterrottamente nel nostro corpo.
Ciò che poi uno può catturare con una macchina fotografica o con un registratore è solo la superficie. Io sono interessato a creare un dialogo tra queste due cose: il dentro (gli “strumenti di registrazione” che possediamo per natura, la memoria che spesso è accessibile solo in maniera involontaria) e il fuori (le registrazioni superficiali che puoi ottenere grazie a uno strumento tecnologico.

Thomas Köner, Novaya Zemlya

Thomas Köner, Novaya Zemlya

Cos’è per te una composizione audiovisiva? Ho letto da qualche parte che concepisci i sensi indipendenti l’uno dall’altro. Una supposizione che le neuroscienze e la psicologia della percezione hanno messo pesantemente in discussione con argomenti e dati sperimentali molto convincenti.
Sono interessato alla relazione che sussiste tra immagine e suono: è per questo che cerco di convogliare in un’unica esperienza percezione visiva e percezione uditiva. Ma probabilmente una simile relazione non esiste, nel senso che ogni senso è altamente specializzato per svolgere la propria funzione in maniera indipendente. Si potrebbe dire che sono interessato a relazionarmi a ciò che, di suo, resta (almeno talvolta) irrelato.

E le combinazioni tra vista e olfatto, tatto e udito, di cui parlavi prima?
Tutte le combinazioni estetiche sono molto simili, da un certo punto di vista. Pensi sia meno arbitrario associare il sapore di certe spezie a una terza maggiore? O associare la pressione della suola di una scarpa sul terreno con una variazione del gradiente di colore, dal giallo al verde, per esempio? Queste relazioni o combinazioni sembrano puri nonsense, ma non mi sembra meno arbitrario accostare le immagini in movimento di un film alla colonna sonora “adeguata”. Un buon lavoro audiovisivo deve funzionare al 100%, a tutti i livelli. Se chiudi gli occhi deve rimanere un buon brano musicale, e viceversa, se ti tappi le orecchie devi essere davanti a immagini che ti colpiscano.

Thierry Charollais ha scritto nelle note di Novaya Zemlya (Touch 2012) che il tuo potrebbe essere considerato un lavoro di “geografia metafisica”. Il termine geografia, spesso preceduto dal prefisso “psico-” è utilizzato quasi sempre quando si parla della tua musica. Pensi che il suono abbia la capacità di ricreare l’idea di un luogo o addirittura di ricreare aspetti di un viaggio reale?
Qualsiasi posto, ovunque tu sia nel mondo, è raggiungibile solo tramite la mediazione dello spazio che è lo spazio della tua mente. Ovunque tu sia fisicamente collocato, resti sempre confinato nello spazio della tua mente. Un’esperienza pura della “geografia” è impossibile, perché sarebbe differente per ogni differente individuo. Nello stesso senso, sono consapevole del fatto che non esista un’esperienza pura della musica o del suono.

Quindi quella di mettere a punto una cartografia sonora è un’impresa irrealizzabile?
Qualunque cosa succeda, succede in qualche luogo. Non solo l’operazione di registrare o produrre è marchiata a fuoco da questa ovvietà, anche la fruizione lo è. Questo marchio è ciò su cui si incentra la mia ricerca. Questo è il motivo per cui la mia musica ha determinate qualità spaziali, che sono parte del mio linguaggio musicale: distanza, orizzonte, gradi di profondità, dissolvenze…

A cosa stai lavorando, e qual è, a tuo avviso, il futuro della musica elettronica?
Sto lavorando a un progetto che avrà luogo a Città Sant’Angelo, dove organizzerò delle “passeggiate audio-visive” nelle sale del Museolaboratorio: è un lavoro che avrà un impatto sonoro, spaziale e visivo. Penso che possa essere rappresentativo rispetto alla direzione verso cui sta andando la mia ricerca: voglio lavorare localisticamente, piuttosto che su scala globale. Il futuro della musica elettronica è locale, proprio come il futuro della buona cucina: tante piccole e deliziose esperienze fatte e servite con amore.

Vincenzo Santarcangelo

http://thomaskoner.com/
http://labont.it/

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Vincenzo Santarcangelo

Vincenzo Santarcangelo

Vincenzo Santarcangelo insegna al Politecnico di Torino e allo IED di Milano. Membro del gruppo di ricerca LabOnt (Università di Torino), si occupa di estetica e di filosofia della percezione. È direttore artistico della rassegna musicale “Dal Segno al Suono”,…

Scopri di più