Ines Musumeci Greco e la sua collezione traslocano. Case d’arte a Roma

Un testo di Mariagrazia Pontorno, artista e docente, per raccontare di una casa romana che ha fatto storia. È quella di Ines Musumeci Greco, collezionista e maieuta. Che ora trasloca. E gli artisti impacchettano le opere.

Al numero 12 di via della Mercede c’è una lapide con un epitaffio: “Qui visse e morì Gianlorenzo Bernini, sovrano dell’arte al quale si chinarono reverenti papi, principi, popoli”.
In realtà l’iscrizione è stata collocata al posto sbagliato, infatti la dimora di Bernini era al civico precedente, il numero 11, il palazzo a fianco. Quando Ines Musumeci Greco attraversò per la prima volta la soglia del portale bugnato, accolta nell’androne dalla statua di Diana cacciatrice ritratta come divinità lunare, la dea dovette apparirle come un auspicio propizio, così bella, determinata e regale .
Casa Musumeci Greco è stata per diciotto anni punto di riferimento per l’arte e gli artisti. Qui Ines ha immaginato la sua vita, legandola inscindibilmente a uno spazio privato e pubblico, affettivo e monumentale, interiore e museale, in cui l’equilibrio tra pieno e vuoto è stato mantenuto in maniera naturale ma rigorosa e pensata. La sua collezione ha sempre trasmesso un senso di libertà, movimento e freschezza, dando l’impressione di un vivace e costruttivo work in progress. Centinaia le opere presenti nei 400 mq della casa, sia negli ambienti living che nella zona notte e nei servizi, ma così ben installate da avere ognuna la propria importanza, il proprio spazio.

Moving Art - casa Musumeci Greco - Selfie - Giovanni De Angelis , Andrea De Fusco, Mariagrazia Pontorno, Ines Musumeci Greco, Alessandro Sarra - © Giovanni De Angelis

Moving Art – casa Musumeci Greco – Selfie – Giovanni De Angelis , Andrea De Fusco, Mariagrazia Pontorno, Ines Musumeci Greco, Alessandro Sarra – © Giovanni De Angelis

Sul parquet sono presenti le tracce di quasi due decenni di passaggi. Ines lo ha voluto conservare così, come testimonianza della vita che transita, che lascia segni: conversazioni, presentazioni dei progetti di artisti emergenti, performance, feste. Perché l’arte contemporanea è ciò che avviene adesso, mentre si discute, si pensa, ci si incontra, si vive insomma. E lei, supportata dall’intelligenza di Giuliano, suo marito, e dal sorriso di Aurelia, sua figlia, ha deciso di partecipare a questo processo e stare a fianco degli artisti, generosamente. I comodi divani gialli del suo salotto sono testimoni di conversazioni assurde, divertenti, a volte malinconiche. E lei, sempre bella, ad ascoltare con curiosità e con fare maieutico ciò che ognuno aveva da dirle, spesso stranezze che poi avrebbero preso forma di opera.
Da via della Mercede 11, Ines e la sua collezione stanno traslocando e gli artisti a lei più vicini hanno simbolicamente impacchettato alcune delle opere più significative, per elaborare un momento di transizione e traumatico come il trasloco in una sorta di rituale laico, silenzioso e delicato, discreto e fragile. E così il Chorus di Marina Abramovic, la Veduta di Parigi di Vik Muniz, le 12 gelatine di Mario Schifano, Une village sans  frontières di Chen Zen, il Nuvolari di Luigi Ontani, le ceramiche di Giacinto Cerone insieme ad altre decine di opere compagne di strada hanno iniziato a sfilare in processione sotto l’Arco rivestito dalla carta da parati di Francesco Simeti: dirette verso la nuova casa di Ines, che prenderà la forma della sua nuova vita. Perché l’anima di una casa coincide sempre con quella di chi la abita.

Mariagrazia Pontorno

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