Rem Koolhaas: la Biennale di Architettura in tre punti

Le giornate inaugurali sono alle porte. Il soggetto è la 14. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, meglio nota come Biennale di Architettura. Quest’anno la dirige Rem Koolhaas, che si fregia del titolo di antistar al posto di quello - ormai vituperato - di archistar. Quindi tutto bene? Non esattamente. Il perché lo spiega Luigi Prestinenza Puglisi.

Perché questa 14. Biennale di Architettura di Venezia è indimenticabile, o almeno ha provato a esserlo? Perché a guidarla c’è Rem Koolhaas, che è il più astuto dei personaggi che oggi si muovono sulla piazza dell’architettura internazionale. E Koolhaas ha ben chiari tre problemi con i quali fare i conti.
Il primo è lo stato di depressione bulimica in cui è caduta la produzione edilizia. Mai come ora c’è stata tanta libertà creativa e si sono realizzati tanti buoni edifici. Le star del firmamento architettonico continuano a essere chiamate in ogni punto del pianeta e non c’è un giorno in cui non si annunci in Cina, in Africa o in una qualsiasi repubblica delle banane o del petrolio un gigantesco aeroporto, un immenso centro commerciale, un esagerato centro congressi, un inusitato museo o uno sproporzionato auditorio. Eppure, nonostante questa bulimia, mai gli architetti si sono sentiti tanto in crisi, incapaci di giustificare il perché delle loro opere, privati di quella riflessione teorica che ti fa preferire di realizzare una casa di duecento metri quadrati – ma che si chiami Villa Savoie, Casa sulla Cascata o Villa Mairea – piuttosto che un complesso scintillante ma uguale a cento altri. E mai si sono sentiti tanto in colpa per non sapere più rispondere ai bisogni primari delle persone, alle esigenze prosaiche e banali, ai problemi sociali ai quali l’architettura aveva in altri anni saputo o tentato di dare una risposta.

L’architettura, sembrano concordare tutti, ha bisogno di riflettere, di rifondarsi teoricamente, di ritrovare motivazioni. E quindi di tirar fuori certezze. Valori fondamentali o Fundamentals, come  sinteticamente Koolhaas ha titolato questa rassegna. Un titolo che sembra l’uovo di Colombo, ma è un uovo che solo Koolhaas è stato in grado di mettere sul piatto con sufficiente autorità, riuscendo a imporre ai singoli padiglioni nazionali di riflettere con lui. È la prima volta, infatti, che, camminando per i Giardini della Biennale o negli spazi dell’Arsenale, incontrate non un aggregato di solisti ma un’orchestra che si interroga sul proprio passato  con il fine di far uscire l’architettura dal proprio stato di depressione.
Il secondo problema è connesso con il primo. Oggi la parola star è tabù. Personaggi come Zaha Hadid o Frank O. Gehry sono ostracizzati dal salotto buono della cultura architettonica. A loro spetta il ruolo di capri espiatori delle colpe della globalizzazione. Mentre gli altri, attraverso un abile lavoro di pr, cercano di sfuggire al bollo d’infamia. Ovviamente, cercando allo stesso tempo di costruire il più possibile e quindi di godere dei benefici in termini di commesse dell’essere una star. Anche Koolhaas, che in questo momento sta godendo una rilevantissima fortuna professionale, ha questo problema. Per lui lavora la Biennale di Venezia.

Paolo Baratta e Rem Koolhaas a Venezia - foto Giorgio Zucchiatti, courtesy La Biennale

Paolo Baratta e Rem Koolhaas a Venezia – foto Giorgio Zucchiatti, courtesy La Biennale

Alla fine del vostro percorso probabilmente anche voi sarete portati a credere che l’Olandese Volante (appunto: per essere sempre in giro alla ricerca di commesse) è più un teorico che un professionista. Che lui sia l’antistar attraverso la quale l’architettura tenterà di tornare ai valori fondamentali, si reinterrogherà, si purificherà. Dimenticherete che in questo momento in cento realtà nazionali diverse la star Koolhaas è chiamata a sostenere, grazie al suo logo no-logo, altrettante iniziative edilizie malate di quella bulimia alla quale abbiamo già accennato. “Fuck the context” è una delle frasi più citate del nostro. “Fuck the theory”, aggiungerei io sommessamente.
E veniamo al terzo problema. Che è di ogni professionista al quale è affidato il compito di organizzare un evento nel quale altri professionisti, concorrenti sugli stessi mercati, potrebbero essere valorizzati. Nei vostri giri vi accorgerete che ce ne sono pochi. Molti di meno rispetto alle altre biennali. Con il pretesto che si parla di teoria, si troveranno più architetti professionalmente inoffensivi, perché viventi ma relegati alle riflessioni accademiche o deceduti e consegnati alla storia, invece che colleghi in grado di mettere in ombra il direttore antistar, in realtà oggi unica star del firmamento architettonico riconosciuta da tutti i critici, sia col birignao che senza birignao.

Paolo Baratta e Rem Koolhaas a Venezia - foto Giorgio Zucchiatti, courtesy La Biennale

Paolo Baratta e Rem Koolhaas a Venezia – foto Giorgio Zucchiatti, courtesy La Biennale

Siatene certi: la sua Biennale sarà la terza di quelle celebri. Le altre due: quella di Paolo Portoghesi del 1980 che lanciò il Post Modern, e quella di Massimiliano Fuksas che nel 2000 lanciò la nuova architettura postdecostruttivista. Quella di Koolhaas cosa lancerà oltre a Koolhaas? L’ansia da prestazione teorica. Statene certi: da oggi in poi gli architetti cominceranno a parlare di fondamenti teorici, epistemologici e anche ontologici, e citeranno – come ai bei tempi del cineforum con dibattito – i testi, naturalmente solo sfogliati, di storia e di filosofia.

Luigi Prestinenza Puglisi

http://www.labiennale.org/it/architettura/mostra/

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #19
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Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi (Catania 1956). Critico di architettura. Collabora abitualmente con Edilizia e territorio, The Plan, A10. E’ il direttore scientifico della rivista Compasses (www.compasses.ae) e della rivista on line presS/Tletter. E’ presidente dell’ Associazione Italiana di Architettura e Critica…

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