Il sottosuolo di Fendi. Nell’ex Fondazione Pomodoro, a Milano

C’è un tesoro al di sotto dell’headquarter di Fendi in via Solari a Milano, creato da uno degli artisti contemporanei italiani più famosi nel mondo: Arnaldo Pomodoro. Un tesoro sconosciuto ai più, ma che costituisce una ricchezza per la città e merita visibilità, anche in funzione di Expo 2015. Noi siamo andati a vederlo.

La genesi dell’opera di Arnaldo Pomodoro è articolata ma sintetizzabile in tre passaggi: nella mostra del 1995 La culla di Babilonia alla Galleria Giò Marconi, il portale di Ingresso nel labirinto fa la sua prima comparsa come installazione a parete; nella mostra del 1997 presso San Leo, nel Palazzo Mediceo, Pomodoro lo rielabora con un primo vano retrostante; nel 2008, con il rilevamento degli spazi di via Solari (ex acciaierie Riva-Calzoni) per adibirli a laboratorio e poi a sede della Fondazione Arnaldo Pomodoro, prendendo spunto dallo scavo di alloggio del tornio, l’artista decide che lì prenderà forma il suo personale labirinto.
L’opera diventa così un work in progress fino al 2011. Il resto è storia nota e, purtroppo, invano dibattuta: la Fondazione, latenti le istituzioni, è costretta a trasferirsi negli attuali spazi, affascinanti ma molto più contenuti, di vicolo dei Lavandai e il suo gioiello, intrasportabile, resta incastonato nel sottosuolo. In accordo con la casa di moda Fendi l’opera, però, rimane visitabile dai soci della Fondazione secondo un calendario di incontri prestabiliti.

Arnaldo Pomodoro, Ingresso nel labirinto, 1995-2011 - photo Vaclav Sedy

Arnaldo Pomodoro, Ingresso nel labirinto, 1995-2011 – photo Vaclav Sedy

L’installazione è un environment di circa 170 mq che si struttura in un insieme di vani, corridoi e porte girevoli, completamente rivestiti in fiberglass patinato con interventi in bronzo e pavimento di lastre in rame dalla matericità evidente. All’ingresso, nella stanza della rotativa, un grande rullo, inciso con le trame peculiari e indecifrabili di Pomodoro, genera lo spazio come srotolandosi sulle pareti: è un omaggio alla scrittura sumera, al potere della comunicazione e all’epopea di Gilgamesh.
Il labirinto, utilizzato qui come metafora della condizione umana, protegge un nucleo di significati che si svelano attraverso l’atto del procedere. È articolato in un percorso che allo stesso tempo conserva e genera forme: alcune opere storiche, così come modelli di opere mai realizzate, che diventano humus per nuove creazioni.

Arnaldo Pomodoro, Ingresso nel labirinto, 1995-2011 - photo Vaclav Sedy

Arnaldo Pomodoro, Ingresso nel labirinto, 1995-2011 – photo Vaclav Sedy

Nel cuore dell’opera si cela una sorta di mausoleo, la stanza di Cagliostro dove, su un pavimento a mosaico sottoposto al piano di calpestio, si staglia un giaciglio, luogo di morte del controverso alchimista. Qui la luce proviene dall’alto: infatti la storia tramanda che l’ultima cella nella quale fu rinchiuso Cagliostro avesse accesso unicamente dal soffitto.
L’opera realizza una sintesi fra scultura, architettura e scenografia, ma anche oreficeria nei suoi dettagli più minuti. Inoltre, per il suo essere libero da committenze o destinazioni altre, questo luogo sembra una sorta di spazio della libertà di espressione in cui sperimentare forme che diventeranno opere in sé.

Giovanna Procaccini

www.fondazionearnaldopomodoro.it

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Giovanna Procaccini

Giovanna Procaccini

Giovanna Procaccini, nata a Napoli, vive a Milano. È laureata in architettura e specializzata in storia dell’arte all’Università degli Studi di Napoli Federico II. È diplomata come addetto alla conservazione e restauro dei dipinti su tela. Critica e curatrice, si…

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