Il futuro della fotografia. Vol. II

Seconda puntata per il talk show sulla fotografia. Con un altro giro di risposte alla nostra domanda sul futuro di questo linguaggio artistico, ormai storico ma sempre più attuale. In che modo sta cambiando la fotografia? Quali nuovi scenari si stanno delineando in conseguenza dell'avvento delle nuove tecnologie e di un ecosistema visivo in continua mutazione? E come cambia il ruolo del fotografo in questo contesto?

NICOLETTA LEONARDI
storica della fotografia
La fotografia sta cambiando, ma in un certo senso cambiare in continuazione è nella sua natura. È vero che la Kodak non produce più la leggendaria pellicola Kodachrome, come è vero che il settore del fotogiornalismo è in crisi a causa dello stallo dell’editoria cartacea d’informazione e dell’avvento del crowdsourcing. Lo stesso crowdsourcing ha inoltre invaso quello che fino a qualche anno fa era il mercato della stock photography; oggi in Rete è possibile trovare immagini per usi editoriali caricate da fotografi non professionisti i cui diritti costano pochi centesimi.
D’altra parte, però, è anche vero che quando Fox Talbot inventò il procedimento negativo/positivo, il dagherrotipo vide la sua fine. In altre parole, se si guarda alla storia della fotografia, ci si trova di fronte a un lungo elenco di innovazioni che hanno portato a continui mutamenti dei procedimenti fotografici, delle forme materiali delle fotografie, delle modalità della loro produzione e della loro distribuzione, degli usi sociali e culturali del mezzo e delle professioni a esso legate. Dunque, piuttosto che chiederci cosa ci sia di nuovo nella fotografia, sarebbe forse più proficuo mutare completamente prospettiva e domandarci cosa ci porta a definire la fotografia digitale e gli altri media classificati come “nuovi” utilizzando le categorie di nuovo e di vecchio. 

Pier Francesco Frillici

Pier Francesco Frillici

PIER FRANCESCO FRILLICI
critico e storico dell’arte
Il tempo attuale è scandito dai ritmi incessanti della comunicazione. La fotografia rende evidente questo processo sistematico attraverso i recenti dispositivi di diffusione delle immagini, i quali, grazie a possibilità sempre crescenti di condivisione e accesso ai dati, determinano nuove identità, nuove politiche, saperi, storie, immaginari culturali. La fotografia mette a disposizione, attivandola in nostra compresenza, quella che per noi diviene la “realtà”. La sua “mediazione, sebbene l’iper-veloce circolazione delle immagini abbia, in effetti, aumentato la complessità del mondo, può ancora dimostrarsi necessaria per la (r)esistenza della civiltà umana.
Tecnicamente questa linea di contatto sembra assottigliarsi, le distanze critiche annullarsi, il tempo regolatore del pensiero contrarsi fino a sparire, a vantaggio, si dice, di un’interconnessione simultanea, di un’auspicata partecipazione diretta senza limiti. Scenario pericoloso perché autentico miraggio di democrazia compiuta, che invece, per realizzarsi, dovrebbe darsi norme di comportamento e criteri d’attenzione. Chiunque oggi usi la fotografia di fatto è un mediatore con una funzione etica cruciale: il dover prospettare soluzioni puntuali e corrette alle istanze della realtà, senza le quali sarà veramente difficile salvaguardare il futuro.                                                                      

Elisa Medde

Elisa Medde

ELISA MEDDE
managing editor di foam magazine
L’impennata tecnologica ha prodotto cambiamenti più quantitativi che qualitativi. Ha cambiato più il nostro modo di ricevere e interagire con l’immagine fotografica che altro. Si scattano tantissime immagini perché ci sono tantissime persone che posseggono macchine che permettono di farlo, ma questo non ha prodotto una vera e propria avanguardia, per adesso. Le nuove tecnologie vengono usate in larga parte per produrre linguaggi visivi vintage, per imitare stili passati, per produrre più velocemente (e in serie) effetti che prima erano realizzati in camera oscura.
Per assurdo, molti tra i progetti più interessanti degli ultimi anni vengono da fotografi molto giovani che utilizzano tecniche antiche (foto stenopeiche, stampe al collodio, collage, interventi su stampe) o che consapevolmente si rifanno a determinate stili e correnti remixandoli, demistificandoli o anche trascendendo dalle stesse categorie del fotografico. Questo però senza alcuna nostalgia. Al contrario, dando una rinnovata importanza all’oggetto fotografico, alla sua fisicità e alla sua (quantomeno) limitata riproducibilità. Il tutto con linguaggi e significati assolutamente contemporanei.

Stefano Cerio

Stefano Cerio

STEFANO CERIO
artista
Il futuro della fotografia dipende molto da come si evolverà la sua percezione. In questo momento storico non esistono di fatto divisioni nelle arti visive rispetto al media utilizzato. Il linguaggio contemporaneo è diventato un unicum che non dipende dalla tecnica impiegata ma dalla capacità di attualizzare il proprio linguaggio.
La fotografia è rimasta separata da questa grande fusione. Questo da una parte è colpa dei singoli operatori che non si sono resi conto di questa trasformazione, rimanendo legati ai canoni classici del linguaggio fotografico; d’altra parte le grandi istituzioni museali hanno lasciato che la fotografia seguisse il suo percorso senza tentare di inserirla in maniera stabile nella propria programmazione. Il venire meno di questa distinzione porterà, a mio avviso, a una serie di nuove possibilità per l’artista che sceglie coscientemente il mezzo fotografico per esprimere la propria tematica.

Marco Delogu

Marco Delogu

MARCO DELOGU
fotografo, editore e direttore del festival di fotografia di roma
La fotografia è l’unica arte senza uno star system, senza gerarchie: tutto ciò è ancora più forte dopo le rivoluzioni tecnologiche. È un’arte veloce, per facilità produttiva e per capacità di critica collettiva, mentre è spesso latitante la critica specializzata. Il cinema e la letteratura richiedono investimenti importanti, la fotografia no: un bel libro si può fare con meno di 10mila euro e altrettanto una bella mostra. Favoriti dal rapporto con il museo Macro e dalla presenza delle accademie di cultura straniere, a Roma riusciamo a fare un festival da oltre dieci anni con pochi soldi e moltissime idee.
Sono d’accordo con Francesco Zanot sul concetto di esperanto (io stesso faccio ritratti seriali e osservazioni della natura) e credo che la cosa più importante sia la crescita sempre più grande di una fotografia d’autore sganciata dalle committenze. La crisi e i cambiamenti tecnologici hanno generato un movimento di fotografi che riflettono maggiormente sulla propria identità, sul rapporto forte e profondo tra la visione e l’interiorità.

Giuliano Sergio

Giuliano Sergio

GIULIANO SERGIO
storico dell’arte e curatore
Negli ultimi due secoli la fotografia ha costruito la memoria e la storia della nostra epoca: un patrimonio sterminato che ogni fotografo ha di fronte a sé. Il futuro della fotografia è il suo passato, è la possibilità di riconfigurare gli immaginari accumulati nella coscienza collettiva e depositati in archivi sterminati. Le ricerche che più mi interessano sono quelle rivolte a dare forma a questo patrimonio, a farlo dialogare con i diversi linguaggi dell’arte.
Il ruolo del fotografo oggi è quello dell’artista, le distanze tra arte e fotografia sono tramontate, mentre quelle culturali sono ridotte a un velo sottile, un residuo difficile da giustificare. Un fotografo oggi può archiviare, visualizzare, proiettare, registrare, convertire e manipolare una tale quantità di immagini, in una maniera così rapida che tutto ciò comporta un nuovo modo di concepire il proprio lavoro.
Le nuove tecnologie aprono possibilità comunicative e compositive straordinarie, una sovrapposizione di piani difficilmente controllabile che sta costruendo l’estetica del futuro. L’artista non partecipa all’informazione, ma alla composizione di questa estetica. Il suo contributo non è sociale ma antropologico, permette un orizzonte di senso ai nuovi linguaggi, li umanizza. La fotografia in questo caso è un oggetto enigmatico, capace di invertire il suo percorso temporale: il documento diventa proiezione di una memoria che ci permette di prefigurare il futuro.

David Horvitz

David Horvitz

DAVID HORVITZ
artista
Non sono sicuro di cosa significhi ‘fotografo’ in questo contesto. Può trattarsi di qualcuno che riflette criticamente sulla fotografia attraverso l’uso di qualche genere di processo fotografico, che sia bloccato nel passato analogico o proiettato verso l’uso delle nuove tecnologie (magari scattando immagini senza usare una macchina fotografica). Oppure parliamo di qualcuno che, semplicemente, fa fotografie? Chiunque possieda un telefono o un iPad. Non parliamo proprio di tutte le persone al mondo, ma sicuramente di moltissime. Mia madre è una di queste. Tempo fa mi ha inviato l’immagine di un tramonto dalla California. Se fossi stato online nel momento in cui lo ha mandato – non mi ricordo se ero connesso – avrei visto la stessa immagine del sole che lei stava vedendo, solo pochi secondi dopo, anche se ero lontano migliaia di chilometri. Un collasso della distanza. La distribuzione istantanea della visibilità quotidiana del mondo.
Lo streaming live è in giro già da un po’, ma oggi possiamo trasmettere istantaneamente qualsiasi cosa. Poco tempo fa ho installato una webcam per far vedere a tutti la crescita di alcuni alberi che ho piantato. Sì, potete osservare, in tempo reale, la lentezza di un albero che cresce. Ma c’è anche un altro aspetto da considerare: cosa dire della sorveglianza? Delle telecamere di sicurezza? Dei droni? Chi è il fotografo dietro questi congegni? E, ancora: cos’è esattamente oggi un telefono?

Daniele De Luigi

Daniele De Luigi

DANIELE DE LUIGI
critico e curatore
La fotografia sta vivendo un momento senz’altro critico ma anche straordinariamente fertile e creativo, a dispetto di chi denuncia un suo ennesimo stato di esaurimento. La sua presenza nell’ambito delle arti visive è salda perché quasi sillogistica: l’arte contemporanea si rivolge al mondo ed è fatta della materia del mondo, che è interamente permeato dell’immagine fotografica. Tuttavia l’evoluzione e la disponibilità delle tecnologie stanno cambiando il modo in cui l’immagine esercita le proprie quotidiane funzioni sociali, culturali, informative: la fotografia di ricerca ha quindi bisogno di continuare a riflettere su se stessa, per decostruire e demistificare il sapere contemporaneo, ma al contempo fronteggia – da una posizione potenzialmente privilegiata – la nuova fame di realtà espressa dalla società globale.
Una realtà che è cambiata e che nell’età dell’informazione è costituita sempre più da elementi immateriali. In questo senso riacquista valore, accanto alle pratiche di appropriazione e risignificazione di immagini esistenti, anche la produzione di nuove. Il ruolo del fotografo come artista oggi è quello di accettare questa sfida, continuando a creare immagini ma attuando una contaminazione che sia non solo mediale e formale, ma soprattutto “cognitiva”.

Andrea Botto

Andrea Botto

ANDREA BOTTO
fotografo e docente allo ied di torino
L’attualità di Lazlo Moholy-Nagy – “Colui che ignora la fotografia, sarà l’analfabeta del futuro” – ci riporta oggi alla responsabilità dell’educazione. I profondi cambiamenti globali e la crisi del sistema italiano, anestetizzato da un ventennio dell’immagine, soprattutto televisiva, sono due fronti che non possiamo considerare separati.
C’è bisogno di ricostruire, andando forse verso un nuovo realismo. La Rete è un paesaggio vergine da esplorare, dove “verba manent” e dove si producono documenti, i cui effetti sono visibili da qualche parte nel mondo reale. Paradossalmente, c’è più realtà diffusa in Internet, che in nessun altro luogo e la fotografia, con la sua natura camaleontica, è ancora una volta in prima linea e viva più che mai. Forse sono i fotografi a essere a rischio di estinzione, soprattutto in Italia, dove le istituzioni latitano, la formazione è in piena emergenza e molto spesso la cultura fotografica è affidata a personaggi auto-investiti di ruoli guida basati sul nulla. Senza prima risolvere questi nodi, tutto il resto sarà sempre irrilevante.

Chiara Capodici e Fiorenza Pinna

Chiara Capodici e Fiorenza Pinna

CHIARA CAPODICI E FIORENZA PINNA
3/3 photography projects
La fotografia è oggi più che mai pervasa dal dono dell’ubiquità, che non appartiene solo alla sua riproducibilità, ma alla sua possibilità di essere immagine e incarnazione tattile, materiale. Ubiqua perché a cavallo fra passato e futuro, e più che mai presente. Foam, nel suo progetto The Future of the Photography Museum, mostra attraverso le proposte di quattro curatori come la fotografia si mischia con altri media, gioca con l’interazione, si fa oggetto quanto immagine, fa della sua abbondanza la sua forza.
Da questa prospettiva, la crisi dell’editoria come primo sistema di riferimento per i fotografi è per certi versi un falso problema: il ruolo del fotografo oggi è uscire fuori di sé e ritrovarsi comunicatore, imprenditore, sperimentatore delle nuove tecnologie e delle loro possibilità. Il medium e il linguaggio sempre pronti a calarsi in un mondo e a confrontarsi con molti e diversi interlocutori, che la fotografia si rivela oggi più che mai gioco di squadra. E i fotografi sempre meno autori, se non nel senso antico di chi fa crescere qualcosa. Digitali perché aperti alle nuove tecnologie, ma soprattutto pronti a toccare, con mano, nuovi orizzonti e vecchi territori.

a cura di Valentina Tanni

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #13/14

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Valentina Tanni

Valentina Tanni

Valentina Tanni è storica dell’arte, curatrice e docente; la sua ricerca è incentrata sul rapporto tra arte e tecnologia, con particolare attenzione alle culture del web. Insegna Digital Art al Politecnico di Milano e Culture Digitali alla Naba – Nuova…

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